Hegel e la mistica

Superata la prima, sgradevole impressione di aver a che fare con un autore il cui rispetto per i propri lettori è meno che zero, bisogna ammettere di trovarsi di fronte a un'intelligenza di prim'ordine. Nell'approfondire lo studio di questo autore succede poi un'altra cosa: improvvisamente sembra (almeno, a me sembra) che di Hegel ce ne siano due. Il primo, dotato di meravigliose intuizioni mistiche, riesce a mettere nero su bianco, quasi in modo scientifico, 'spiegazioni' che si avvicinano a squarciare il velo che nasconde un Reale intuito ed accanitamente scandagliato fin quasi a renderlo accessibile alla ragione. E scusa se è poco... Poi arriva il secondo Hegel, del tutto convinto che il cristianesimo sia la religione assoluta, e tarpa le ali al primo Hegel con involute spiegazioni di questa presunta superiorità; notiamo qui che 'primo' e 'secondo' non sono assolutamente da intendersi in senso cronologico: spesso i due si mischiano in una stessa pagina, o a distanza di poche pagine. Autore curioso....
In queste righe provo a presentare i due protagonisti e mi azzardo a contestare le conclusioni del secondo Hegel.
Senso di questa mia operazione non è cercare di definire come religione assoluta una qualsivoglia altra religione al posto del cristianesimo. Piuttosto sostengo che se proprio si vuole parlare di religione assoluta si deve ascoltare la voce dei mistici, ed anche ritengo che qualsiasi religione sia di ostacolo al mistico il quale, secondo me, non si sviluppa in una religione, ma piuttosto sorge nonostante la sua propria religione. Non credo sia un caso che i mistici speculativi (ricordo che in queste pagine parlo esclusivamente di mistica speculativa, vedi la presentazione) siano regolarmente bollati di eresia dalla religione costituita.

Nel presentare il primo Hegel farò paralleli tra il suo pensiero e quello di Maharaj, mentre Eckhart mi pare possa aiutare nello scardinare gli assunti del secondo Hegel. Non a caso voglio procedere in questo modo. Maharaj è mistico certo non cristiano ma la sua consonanza col pensiero del primo Hegel è strabiliante. Mentre Eckhart è mistico cristiano (ed anche cattolico) e sempre, nel presentare il suo pensiero, gli studiosi moderni, forti anche del sostegno del secondo Hegel, tendono a sostenere che la sua appartenenza al cristianesimo (e talvolta addirittura al cattolicesimo!) sia requisito indispensabile alla sua mistica, tanto che sarebbe impensabile immaginarne Eckhart al di fuori. Sono profondamente convinto che questo non sia vero, e tutto questo sito nasce da questa mia convinzione. Mi pare che Eckhart, come già detto, possa addirittura fornire punti d'appoggio utili a demolire proprio quelle affermazioni di Hegel sulle quali si basano coloro che lo vogliono costringere in ambito cristiano. Progetto interessante dunque, vediamo come va a finire...

Prima di incominciare, ancora una cosa: sono consapevole della grande semplificazione effettuata nelle righe seguenti, che pretendono di illustrare un pensiero complesso come quello di Hegel. Non credo però di avere introdotto gravi errori di interpretazione. Sarò grato a chiunque vorrà mostrarmeli, se presenti: scrivetemi.

I punti che ritengo fondamentali del primo Hegel sono i seguenti:

L'intuizione di fondo, sempre presente in tutta la sua opera:
"Questa è la verità: noi vediamo nell'eterna idea divina che Dio è, come spirito vivente, il differenziarsi da sé, porre un altro e in questo altro rimanere identico con sé, in questo altro avere l'identità di sé con se stesso." (da Lezioni sulla filosofia della religione, La religione assoluta, cap. IV, sez. 1)

Lo spirito:
"Lo spirito è il sapere di se stesso nella sua alienazione" (dalla Fenomenologia dello spirito, La religione disvelata, 'Il compimento del concetto dell'essenza suprema ...')

Cos'è il male:
"Da che questo insearsi della coscienza nell'elemento dell'esserci si determina immediatamente come il divenire diseguale a se stesso, il male appare come il primo esserci della coscienza andata in sé; e siccome i pensieri del bene e del male sono semplicemente opposti, e questa opposizione non è ancora risolta, questa coscienza è essenzialmente soltanto il male." (dalla Fenomenologia dello spirito, La religione disvelata, 'Il male e il bene')

Cos'è la salvezza, qui chiamata riconciliazione:
"Il soggetto non giunge da sé alla riconciliazione per mezzo della sua attività e del suo comportamento, non è con il comportamento come soggetto che si opera e si può operare la riconciliazione. Il suo comportamento è solo il porre, il fare solo da un lato; l'altro lato è il sostanziale, il fondamentale, il quale contiene la possibilità, in genere, cioè che quella opposizione in sé non esiste. Più esattamente l'opposizione si produce eternamente e pure eternamente si supera" (da Lezioni sulla filosofia della religione, La religione assoluta, cap. IV, sez. 1; corsivo mio).

Opposizione superata nell'amore:
"In questo semplice intuire se stesso entro l'Altro, l'esser-altro non è dunque posto come tale; è la differenza a quel modo che nel puro pensare essa immediatamente non è differenza alcuna; è il riconoscere dell'amore in cui i due non si opponevano secondo la loro essenza." (dalla Fenomenologia dello spirito, La religione disvelata, 'Lo spirito nella sua alienazione; il regno del Figlio')

Vediamo come il mistico non cristiano testimonia questa verità:

L'intuizione di fondo di Hegel si trova innumerevoli volte in Maharaj:
"Anzitutto, c'è l'espansione sconfinata della coscienza, l'eterna possibilità, il potenziale incommensurabile di tutto ciò che era, è, e sarà. Quando guardi una cosa, vedi l'assoluto, ma ti figuri che sia ciò che appare secondo il suo aspetto immediato, una nuvola, un albero, eccetera." (Vedi)
"Non sono consapevole di un mondo che mi sia separato." (Vedi)
"Non puoi ragionare di un inizio della coscienza. Le idee stesse di inizio e di tempo appartengono alla coscienza. Per parlare sensatamente dell'inizio di qualcosa, devi portene fuori. Ma non appena ne sei fuori, ti accorgi che quella cosa non c'è e non c'è mai stata. C'è solo la realtà, in cui nessuna 'cosa' ha essere in sé. Come le onde sono inconcepibili senza l'oceano, così tutta l'esistenza è radicata nell'essere." (Vedi)

Anche Maharaj, pur senza usare la parola 'spirito', conosce il concetto proprio di Hegel:
"Il Sé per conoscersi deve fronteggiare il suo contrario, il non-Sé." (Vedi)

ma attenzione: in questo 'contrario' non c'è il male: il male nasce solo dal ritenersi separati (quello che Maharaj chiama "egoismo" è la "coscienza andata in sé" di Hegel):
"Non c'è nulla di male nel tuo mondo, è il fatto che ti ritieni separato che crea il disordine. L'egoismo è la fonte di ogni male." (Vedi)
Anche Maharaj riconosce che il 'bene' comunemente inteso è in realtà solo 'male':
"Ma proprio il tuo altruismo è egoista, nutrito e alimentato, com'è, dal tuo io." (Vedi)

È naturale anche per Maharaj negare realtà a questo 'male', a considerarci per sempre salvi, anche, anzi soprattutto!, indipendentemente da noi stessi:
"La verità non è un premio di buona condotta, o perché hai superato gli esami. Non si ottiene. È la fonte ancestrale e non-nata di tutto l'esistente. Perciò non devi meritarla. Ne hai diritto perché sei. È tua, purché tu smetta di fuggirla inseguendola. Sii calmo e quieto." (Vedi)
"La vera virtù è la natura divina. Ciò che sei realmente, ecco la tua virtù." (Vedi)
Non che Maharaj disconosca il processo dialettico del divenire, espresso da Hegel con le parole "Più esattamente l'opposizione si produce eternamente e pure eternamente si supera":
"Come potrei [diventare completamente irresponsabile]? Come posso ferire ciò che è tutt'uno con me? Al contrario, se non penso al mondo, tutto ciò che farò gli gioverà. Come il corpo mette a posto inconsciamente se stesso, così io, senza tregua, metto a posto il mondo." (Vedi)

E anche Maharaj supera l'apparente differenza con l'amore:
"Nel cercare, scopri che non sei né il corpo né la mente, ma l'amore del sé in te, per il sé che è nel tutto. I due sono uno. La coscienza in te e in me, apparentemente separate, in realtà sono identiche: cercano l'unità e questo è amore." (Vedi)

Davvero sembra un'unica voce quella del filosofo tedesco e del tabaccaio indiano, e non si può proprio dire che qui c'entri l'induismo, il cristianesimo o chissà quale altra religione.

Però, come anticipato, Hegel non è tutto qui: il secondo Hegel è convinto che questa verità sia espressa solo dal cristianesimo, e io qui trovo insormontabili difficoltà a seguirlo. Trovo tanto difficile seguirlo, che mi risulta assai più semplice tentare di dimostrare che sbaglia!

Personalmente identifico il punto di partenza del secondo Hegel nella sua convinzione che quella che io ho chiamato poco fa la sua intuizione di fondo ("Questa è la verità: noi vediamo nell'eterna idea divina che Dio è, come spirito vivente, il differenziarsi da sé, porre un altro e in questo altro rimanere identico con sé, in questo altro avere l'identità di sé con se stesso") abbisogni di prove. Solo con questo bisogno di provare la verità riesco a interpretare quest'altra sua affermazione, a due sole pagine di distanza da quella appena citata:
"Perché ciò divenga certo per l'uomo, Dio deve apparire nel mondo in carne. La necessità che Dio appaia nel mondo in carne è una determinazione essenziale [...] solo così può divenire certezza per l'uomo, così la verità è nella forma di certezza." (da Lezioni sulla filosofia della religione, La religione assoluta, cap. IV, sez. 1).

Inoltre:
"Questo individuo [nel quale Dio appare nel mondo in carne] è unico, non ve ne sono parecchi. Nell'uno sono compresi tutti; se al contrario si trattasse di alcuni la divinità diventerebbe astrazione." (da Lezioni sulla filosofia della religione, La religione assoluta, cap. IV, sez. 1)

e, una volta posta l'unicità di Cristo (curiosamente Hegel parla continuamente di Cristo, ma lo nomina poco. Nella Fenomenologia dello spirito neppure una volta!), bisogna affrontare il problema di cosa resta "nel dileguare dell'esserci immediato di ciò che è saputo come essenza assoluta". La risposta è: "Nel dileguare dell'esserci immediato di ciò che è saputo come essenza assoluta, l'immediato riceve il suo momento negativo; lo spirito rimane Sé immediato dell'effettualità, ma come l'autocoscienza universale della comunità." (dalla Fenomenologia dello spirito, La religione disvelata, 'Il sapere speculativo come la rappresentazione della comunità nella religione assoluta'). Detto altrimenti, resta "il luogo interiore, la comunità, dapprima nel mondo, ma anche comunità in quanto nello stesso tempo si eleva al cielo, comunità che ha già Dio stesso sulla terra ed è piena della grazia o nella quale Dio è, come Chiesa, presente e attivo." (da Lezioni sulla filosofia della religione, La religione assoluta, cap. II, sez. 3).

Riassumendo in due parole: la Chiesa è la forma dello Spirito qui, sulla terra, dopo la morte in croce di Cristo, unica incarnazione di Dio, incarnatosi per dimostrare di non essere Altro da me.

Non riesco proprio ad accettare questa conclusione, ed ora provo, con l'aiuto di Eckhart, a vedere se è possibile farne a meno...

In primo luogo, il bisogno di provare questa verità.
Se invece del filosofo ascoltiamo il mistico, ci accorgiamo che questi non ha mai bisogno di prove, perché parla di un sapere che è essere:
"Chi non comprende questo discorso, non affligga per ciò il suo cuore. Perché l'uomo non può comprendere questo discorso, finché non diventa uguale a questa verità." (Vedi)
Inoltre i mistici sono concordi nell'affermare che ciò che è veramente nobile nella vita è senza perché, non si può associare un fine all'azione dell'uomo nobile, ciò che serve è servile, non nobile:
"Chi cerca Dio senza modo, lo prende qual è in se stesso, ed un tale uomo vive nel Figlio, ed è la stessa vita. Se qualcuno interrogasse per mille anni la vita, chiedendole perché vive, ed essa potesse rispondere, non direbbe altro che questo: io vivo perché vivo. Per il fatto che la vita vive del suo fondo proprio e sgorga dal suo proprio essere, per questo essa vive senza perché, perché vive per se stessa. A chi domandasse ad un uomo sincero, che opera a partire dal suo fondo proprio, perché opera le sue opere, questi, per rispondere giustamente, non dovrebbe rispondere altro che: io opero per operare." (Vedi)
Come si può finalizzare l'incarnazione, massima opera di Colui che opera a partire dal suo proprio fondo?

In secondo luogo, l'unicità dell'incarnazione.
Nella bolla In agro dominico in cui Eckhart viene condannato sono ben sette i punti che si possono ricondurre a questo concetto, e per la precisione i punti X, XI, XII, XIII, XX, XXI e XXII, il solo che qui riporto:
"Il Padre genera me come suo Figlio e come suo stesso Figlio. Tutto quel che Dio opera, è uno; perciò genera me come suo Figlio senza alcuna distinzione."
Nel dire "Tutto quel che Dio opera, è uno", Eckhart afferma il suo punto di vista sul senso dell'espressione l'unigenito Figlio di Dio: 'unigenito' non nel banale senso, caro al secondo Hegel, dell'unicità di Cristo, ma nel più ampio senso che il primo Hegel ha ben presente quando afferma "noi vediamo nell'eterna idea divina che Dio è, come spirito vivente, il differenziarsi da sé, porre un altro e in questo altro rimanere identico con sé": questo differenziarsi da sé rimanendo a sé identico è lo Spirito, il Verbo di Dio; questo è il figlio unigenito, l'unica opera di Dio. Nelle parole di Eckhart: "Dio dice sempre e soltanto una cosa. Il suo dire è uno soltanto. In questo unico dire, egli dice suo Figlio, ed insieme lo Spirito santo e tutte le creature." (Vedi)
Sull'incarnazione Eckhart è anche più chiaro:
"La gente si immagina che Dio sia diventato uomo solo laggiù. Non è così, perché Dio è diventato uomo altrettanto qui quanto là, ed è diventato uomo per poterti generare come suo Figlio unigenito, e niente di meno." (Vedi)
E ancora, ma le citazioni potrebbero essere innumerevoli:
"Ora potreste chiedermi: se io ho in questa natura tutto ciò che Cristo può offrirmi secondo la sua umanità, perché noi esaltiamo e veneriamo il Cristo come nostro Signore e nostro Dio? Perché egli è stato un messaggero di Dio verso noi, e ci ha portato la nostra beatitudine. La beatitudine che ci ha portato era nostra." (Vedi)
Un messaggero, appunto.

In terzo luogo, la Chiesa.
Certo Hegel con Chiesa non intende il luogo, e neanche l'istituzione temporale, verso la quale Eckhart non è mai particolarmente tenero:
"Ma colui in cui Dio non abita veramente, che deve cercare Dio all'esterno, nel questo e nel quello, che cerca Dio nella molteplicità, nelle opere o nelle persone o nei luoghi, questi non possiede Dio. Un tale uomo incontra facilmente degli ostacoli, giacché egli non possiede Dio, non cerca lui solo, non lo ama, non considera lui solo; perciò gli fanno ostacolo non soltanto le cattive compagnie, ma anche quelle buone, e non soltanto la strada, ma anche la chiesa, e non soltanto le parole e le opere cattive, ma anche quelle buone: l'ostacolo infatti è in lui." (E2 a pag. 65)
Hegel intende certamente la Chiesa come comunità spirituale delle anime che vivono in Dio. In questo senso si può essere tiepidamente d'accordo, anche se ritengo senz'altro troppo limitativo vedere Dio "presente e attivo" solo nella Chiesa: qualunque accezione si voglia dare a questa parola, resta sempre il fatto che molto dell'intero universo resta in essa non compreso: e veramente lì Dio non è presente e attivo?


Per concludere, a me pare che una volta posto "Dio è, come spirito vivente, il differenziarsi da sé, porre un altro e in questo altro rimanere identico con sé", non si può più porre il problema dell'incarnazione di Dio, perché tutto è incarnazione di Dio. Tale verità viene (deve venire!) incarnata dall'uomo nobile di Eckhart come pure dal saggio dell'India e, arrivo a dire, anche dal sasso, ognuno di loro, a suo modo, testimone della verità; ma come giustamente afferma Hegel, non come "un maestro divino e senz'altro non un semplice maestro della morale, ma anche neppure solamente un maestro di questa idea, neppure una rappresentazione, una convinzione", ma proprio come "immediata certezza e presenza della divinità". Non ha senso qui porsi il problema dell'unicità dell'incarnazione come anche mi pare fuori luogo affermare "se si trattasse di alcuni la divinità diventerebbe astrazione". Si potrebbe davvero parlare di astrazione (di più: di falsità dell'affermazione "Questa è la verità...") se tale incarnazione si fosse verificata una volta per tutte, in un solo uomo. Il punto non sono le incarnazioni concrete, storiche - una, poche o molte che siano -. Il punto è che tutto questo resta astratto finché, per dirla con Eckhart, il figlio non è nato in me. Solo allora l'incarnazione non rimanda ad un'astrazione. Solo allora conosco il figlio unigenito; lo conosco perché lo sono. E lo sono senza un perché.



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