98. 8 Aprile 1972




M.: Hai domande da fare? Non che ce ne sia bisogno. Puoi anche stare in silenzio. L'importante è solo essere. Non occorre che tu chieda o faccia nulla. Questo modo, apparentemente ozioso, di passare il tempo è molto stimato in India. Significa che ora, in questo momento, sei libero dall'ossessione del "poi". Se non hai fretta e la mente non è ansiosa, diventa quieta, e nel silenzio puoi udire qualcosa di normalmente impercettibile. La mente, per vedere, deve essere aperta e quieta. Qui cerchiamo di mettere la mente nella condizione di capire che cosa è reale.
I.: Come si fa a eliminare le preoccupazioni?
M.: Perché ti preoccupi? Sii e basta. Non cercare la quiete; non trasformare l'"essere quieto" in un dovere. Non essere in ansia per la quiete, o angosciato per la felicità. Lìmitati alla consapevolezza di essere: non dire: "Sono, e poi?". Nell'"io sono" non c'è un poi, perché è fuori del tempo.
I.: Anche se è fuori del tempo, c'è però un momento in cui si afferma.
M.: Sei ciò che sei, al di fuori del tempo; ma se non lo sai e non agisci in conformità, non ti serve a niente. La tua ciotola da mendicante può essere d'oro puro; ma finché non lo sai, sei un miserabile. Devi conoscere il tuo valore interiore, fidartene, ed esprimerlo nel sacrificio quotidiano del desiderio e della paura.
I.: Se conosco me stesso, non proverò più desiderio e paura?
M.: Può essere che le abitudini mentali indugino per un po', a dispetto della nuova prospettiva: l'attaccamento al passato noto, e il timore del futuro ignoto. Ma quando sai che queste cose appartengono solo alla mente, sei in grado di superarle. Finché alimenti un mucchio di idee su di te, ti vedi attraverso la loro nebbia: per conoscerti come sei, abbandona tutte le idee. Non puoi immaginare il gusto dell'acqua pura, lo provi solo abbandonando tutti gli additivi.
Finché ci tieni a come vivi, non te ne stacchi. La scoperta viene se rinunci al noto. Solo quando comprendi a fondo l'immenso dolore della tua esistenza, e ti ribelli, puoi trovare una via d'uscita.
I.: Mi rendo conto che il segreto dell'eterna giovinezza dell'India è nelle nuove dimensioni dell'esistenza, di cui è stata sempre la custode.
M.: È un segreto aperto, e non sono mai mancate persone pronte a condividerlo. Maestri ce n'è molti; discepoli impavidi, pochissimi.
I.: Desidero assolutamente imparare.
M.: Apprendere parole non basta. Puoi conoscere la teoria; ma se non sperimenti te stesso come il centro impersonale e non differenziato dell'essere-amore-beatitudine, la conoscenza verbale è sterile.
I.: Che devo fare?
M.: Cerca solo di essere. "Cercare" è il fondamento. Dèdicatici per un bel po', ogni giorno, in tranquillo abbandono; cerca in ogni modo di scavalcare gli aspetti ossessivi e sovrapposti della tua persona. Non chiedere come, non si può spiegare a parole. Lìmitati a insistere finché riesci. Se perseveri, non fallirai. Ciò che conta soprattutto è la sincerità, la serietà; devi veramente essere stufo della persona che sei, e sentire il bisogno di liberarti dall'inutile identificazione con quel grappolo di ricordi e abitudini. La ferma resistenza al superfluo è il segreto del successo(1).
In realtà, in ogni momento della vita sei te stesso, ma non ne sei mai consapevole, tranne, forse, quando esci dal sonno. Perciò ti occorre la consapevolezza di essere, come un fatto continuo, non a parole. La consapevolezza che sei, ti aprirà gli occhi su chi sei. È tutto molto semplice. Sintonizzati subito con te stesso, sta' sempre con te. Nell'autoconsapevolezza fluiscono tutte le beatitudini. Fa' di te anzitutto un centro di osservazione, e di deliberata conoscenza, e poi promuoviti come un centro di amore in azione. L'"io sono" è il piccolo seme che diventerà un grande albero: in modo naturale, senza traccia di sforzo.
I.: C'è tanto male in me: non devo estirparlo?
M.: Il male è l'ombra della disattenzione. Alla luce dell'autoconsapevolezza impallidisce e scompare.
Ogni dipendenza dagli altri è futile, perché ciò che possono dare, potranno parimenti sottrarre. Solo ciò che è tuo dall'inizio, resterà tuo. Non accettare guide di sorta, tranne quella interiore, e anche in quel caso vaglia accuratamente tutti i ricordi perché sono ingannevoli. Puoi non conoscere le vie da seguire; ma se resti quieto e assorto, la guida verrà. Non sarai mai lasciato a fare un solo passo senza sapere quale sarà il successivo. Piuttosto c'è il rischio che sarai tu a schivarlo. Il maestro c'è per darti il coraggio, la sua esperienza riuscita serve a questo. Tuttavia ti sarà veramente prezioso, per sempre, solo ciò che avrai aggiunto attraverso uno sforzo unitario, la tua consapevolezza esclusiva.
Niente di ciò che percepisci, ti appartiene. Nulla che abbia valore può venirti dall'esterno; ma solo ciò che senti e comprendi da te. La tua mente trabocca d'immagini create dalle parole - quelle che ascolti e quelle che leggi -, ma tu non sei un'immagine mentale. Sei il potere della percezione e dell'azione che sta dietro e oltre l'immagine.
I.: Concentrare tutta l'attenzione su di me: non è un suggerimento a diventare egoista e a trascurare il mio interesse per gli altri?
M.: Ma proprio il tuo altruismo è egoista, nutrito e alimentato, com'è, dal tuo io(2). In realtà, gli altri t'importano solo in quanto magnificano l'immagine che hai di te stesso. E lo scopo ultimo dell'egoismo è badare unicamente alla tutela e all'accrescimento della propria corporeità, di tutto quanto attiene al nome e alla forma: famiglia, gruppo, Paese, razza, ecc. L'attaccamento al nome e alla forma è egoismo. Un uomo consapevole di non essere né il corpo né la mente non può essere egoista, perché non ha nulla per cui esserlo. Oppure lo è, ma in pari misura per conto di tutti; il benessere di chiunque è il suo(3). "Io sono il mondo, il mondo è me", diventa col tempo un sentimento naturale; una volta radicato, non c'è più modo di cadere nell'egoismo: ossia di agognare, prendere, accumulare per conto della parte, contro il tutto.
I.: Si può essere ricchi per varie ragioni: un'eredità, un matrimonio, o pura fortuna.
M.: Se non ti ci aggrappi, ti sarà tolto.
I.: Per come siete ora, potete amare un'altra persona in quanto persona?
M.: Io sono l'altra persona, e l'altra persona è me; differiamo nel nome e nella forma, ma non c'è separazione. Alla radice dell'essere siamo tutt'uno.
I.: Non è così ogni volta che delle persone si amano?
M.: Sì, ma non ne sono coscienti. Si sentono attratte, non sanno perché.
I.: Perché l'amore è selettivo?
M.: Non è selettivo l'amore, ma il desiderio. Nell'amore non ci sono estranei. Quando il centro dell'egoismo viene a mancare, cessa pure ogni desiderio di piacere o timore di dolore. La felicità non è più la mèta; oltre, si stende la pura intensità, l'energia inesauribile, l'estasi del dare, attingendo a una fonte perenne(4).
I.: Non devo anzitutto stabilire che cosa è bene e che cosa è male?
M.: La gente ritiene buono ciò che è piacevole, e cattivo ciò che la fa soffrire.
I.: Sì, questo è l'atteggiamento comune. Ma dalla parte dell'unità, al vostro livello, che cosa è bene e che cosa male?
M.: Ciò che accresce la sofferenza è male, e ciò che la rimuove è bene.
I.: Secondo alcune religioni, il dolore sarebbe buono e nobile in sé.
M.: Il karma, o destino, è l'espressione di una legge benefica: la tendenza universale è all'equilibrio, all'armonia e all'unità. In ogni momento, tutto ciò che accade ora, è per il meglio. Può sembrare brutto e doloroso, un patimento amaro e insensato; tuttavia, rispetto al passato e all'avvenire, è per il meglio, l'unica via d'uscita a una situazione infelice(5).
I.: Si soffre solo per i propri peccati?
M.: Si soffre a seconda di ciò che si pensa di essere. Se ti senti tutt'uno con l'umanità, soffri con essa.
I.: Allora la vostra sofferenza deve essere illimitata!
M.: Essere è soffrire. Quanto più stretto è il cerchio della mia auto-identificazione, tanto maggiore è la sofferenza causata dal desiderio e dalla paura.
I.: Per il Cristianesimo la sofferenza è purificatrice e nobilitante, mentre per l'Induismo è disgustosa.
M.: Cristianesimo e Induismo sono due diversi modi di accozzare parole. Il reale è al di qua e al di là delle parole, incomunicabile, direttamente vissuto, esplosivo nel suo effetto sulla mente. Lo raggiungi senza sforzo, quando hai cessato di volere tutto il resto. L'irreale è creato dall'immaginazione e perpetuato dal desiderio.
I.: Non c'è una sofferenza che sia utile o necessaria?
M.: Il dolore accidentale è inevitabile e fugace; quello deliberato, anche se inflitto con le migliori intenzioni, è insensato e crudele.
I.: Non punireste il crimine?
M.: La punizione non è che un crimine legalizzato. In una società fondata sulla prevenzione piuttosto che sulla punizione, la criminalità sarebbe assai scarsa. Le poche eccezioni si curerebbero clinicamente, come ordinarie malattie.
I.: Si direbbe che v'importi poco della religione.
M.: Che cos'è la religione? Una nuvola in cielo. Io vivo nel cielo, non tra le nuvole, che sono tante parole messe assieme. Rimuovi la verbosità, che cosa resta? La verità. La mia dimora è nell'immutabile, uno stato dell'essere in cui gli opposti sembrano integrati e riconciliati. La gente viene qui per sapere se questo stato esiste davvero, quali sono le resistenze quando affiora e, una volta percepito, come installarlo nella coscienza in modo che tra vita e conoscenza non ci sia conflitto. Lo stato, in sé, è oltre la presa della mente, la quale non può far altro che mettere a fuoco gli ostacoli; vedere un ostacolo come tale è efficace, perché è la mente che agisce su se stessa. Da principio, concèntrati sul fatto che sei. Infatti, "non ero", non potrai dirlo mai; puoi solo ammettere "non ricordo", e la memoria, si sa, è relativa. Piuttosto, accetta il fatto che, coinvolto in banali affari personali, hai dimenticato chi sei; cerca di ritrovare i ricordi perduti, eliminando il noto. Nessuno ti può dire che cosa accadrà, ed è meglio così; l'anticipazione creerebbe delle illusioni. Nella ricerca interiore l'inaspettato è inevitabile; la scoperta è invariabilmente al di là di ogni immaginazione. Come un bambino mai nato non può conoscere la vita dopo la nascita perché non può pensare a niente con cui formare un'immagine valida, così la mente è incapace di pensare al reale nei termini dell'irreale altro che per negazione: "Non questo, non quello". L'accettazione dell'irreale come reale è l'ostacolo; vedere il falso come falso e abbandonarlo, porta alla luce la realtà. Assoluta chiarezza, immenso amore, totale impavidità: sono al momento mere parole, profili opachi, accenni di ciò che potrebbe essere. Sei come un cieco che attende di vedere dopo un'operazione: a patto che non la eviti! Nello stato in cui sono, le parole non contano, né rischio di dipenderne. Contano solo i fatti.
I.: La religione non può esistere senza parole.
M.: Il volto vero delle religioni si mostra nell'azione, nell'azione silenziosa. Per sapere in che cosa crede un uomo, osserva come agisce. La religione, per i più, è il servizio reso al corpo e alla mente. Possono avere idee religiose, ma non agiscono in conformità. Ci giocano, spesso ne vanno matti, ma non le mettono in pratica.
I.: Le parole sono necessarie per comunicare.
M.: Per scambiare delle informazioni, sì. Ma la vera comunicazione non è verbale. Per stabilire e mantenere un rapporto, occorre la consapevolezza del cuore, espressa in azione. Non conta quello che dici, ma quello che fai. Le parole sono prodotte dalla mente e significano solo al livello mentale. Non puoi mangiare la parola "pane" né vivere di essa; si limita a trasmettere un'idea, che acquista significato solo se mangi realmente. Perciò ti dico: ciò che è, non è verbale. Potrei aggiungere che è amore e saggezza in azione; ma sono parole deboli, a meno che tu non le viva nella loro piena bellezza.
Le parole hanno un'utilità limitata, ma noi non vi poniamo limiti, e rasentiamo il disastro. Le nostre nobili idee sono magnificamente bilanciate da azioni ignobili. Parliamo di Dio, della Verità e dell'Amore: invece di esperienza diretta abbiamo definizioni. Invece di allargare e approfondire l'azione, ceselliamo le parole. E ciò che possiamo definire, immaginiamo di conoscerlo!
I.: Come si può trasmettere un'esperienza se non con le parole?
M.: Non con le parole, con l'azione. Un uomo dalle esperienze intense, irradierà fiducia e coraggio. Altri, grazie a lui, agiranno e impareranno dall'azione. L'insegnamento verbale ha la sua utilità, prepara la mente a svuotarsi delle accumulazioni. Si diventa maturi mentalmente quando si cessa di avvalorare ciò che è esterno, e il cuore è pronto ad abbandonare tutto. A quel punto il reale ha una possibilità di manifestarsi, e la afferra. I ritardi, se ci sono, sono causati dalla mente, che non vuole vedere o scartare.
I.: Siamo proprio così soli?
M.: No che non lo siamo! Quelli che hanno, possono dare. E di tali donatori ce n'è molti. Il mondo stesso è il dono supremo, tenuto in vita dal sacrificio amorevole. Ma i giusti, che sanno ricevere in umiltà, sono pochissimi! "Chiedi e ti sarà dato" è la legge eterna.
Hai appreso tante parole, ne hai dette altrettante. Conosci tutto ma non te stesso, poiché il sé non si conosce a parole: solo l'intuizione diretta lo rivela. Guarda, cerca dentro.
I.: È molto difficile abbandonare le parole. La nostra vita interiore è un ininterrotto flusso verbale.
M.: Facile o difficile, non hai alternative. O provi o no. Dipende da te.
I.: Molte volte ho tentato e ho fallito.
M.: Riprova. Se insisti, qualcosa può accadere. Se no, sei chiuso. Puoi sapere tutte le giuste parole, citare le Scritture, brillare nelle discussioni, e tuttavia rimanere un sacco d'ossa. Oppure puoi essere umile e poco vistoso, una persona insignificante, tuttavia brillare di gentilezza amorevole e profonda saggezza.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione

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