I.: Qual è la prova della verità? I seguaci di qualunque credo, metafisico, politico, filosofico o morale, sono convinti che la loro verità sia l'unica giusta, che tutte le altre siano false, e assumono la loro incrollabile convinzione come prova di verità. "Sono persuaso, dunque è vero", dicono.
A me sembra che nessuna filosofia, religione, o dottrina ideologica, per coerente e seducente che sia, possieda la prova della sua verità. Sono come gli abiti, le cui fogge variano con i tempi, le circostanze e la moda. E domando: può esserci una religione, una filosofia, che non dipenda per la sua verità dalle convinzioni di qualcuno, né dalle Scritture, a loro volta fondate sulla fede? Esiste una verità non soggettiva, indipendente dalla fede?
M.: E la scienza, allora?
I.: La scienza è come un cerchio, termina dove inizia: dai sensi. Si occupa dell'esperienza, che è soggettiva. Non ci sono due persone con la medesima esperienza, sebbene possano descriverla con le stesse parole.
M.: La verità va cercata oltre la mente.
I.: Maestro, ne ho abbastanza degli stati di trance. Qualsiasi droga può indurli in fretta e a buon mercato. Anche le estasi tradizionali, i samadhi ottenuti con la respirazione o gli esercizi mentali, non sono molto diversi. Ci sono samadhi da ossigeno e da biossido di carbonio, e samadhi auto-indotti ripetendo una formula o osservando dei pensieri a catena. La monotonia è soporifera. Il samadhi, anche se è tanto celebrato, non costituisce per me una prova di verità.
M.: Il samadhi è uno stato senza qualità, direi transempirico.
I.: Se l'esperienza non è registrata, è perché manca l'attenzione. Chiudere gli occhi non smentisce la luce. Prendere per reali degli stati d'assenza non porta lontano. Proprio la negazione afferma.
M.: In un certo senso hai ragione. Ma non ti accorgi che chiedi la prova della verità senza spiegare quale verità e quale prova potranno convincerti? Tutto si può provare, purché tu ci creda. Ma che cosa dimostrerà che la tua prova è valida? Posso facilmente farti ammettere di sapere due cose: che esisti e che l'unica prova che hai di qualsiasi cosa sei tu. Io però non identifico la mera esistenza con la realtà. L'esistenza è mutevole, vincolata al tempo e allo spazio, mentre la realtà è immutabile e onnicomprensiva.
I.: Non so che cosa sia la verità, e che cosa la provi. Vi prego di non abbandonarmi alle mie risorse perché non ne ho. Il conoscitore della verità, qui, siete voi.
M.: Tu rifiuti la testimonianza come prova della verità: sia quella diretta, di persone che hanno vissuto l'esperienza, sia quella indiretta, di versioni concordi di diversi testimoni: sta dunque a te di dirmi qual è la prova probante.
I.: Francamente, non lo so.
M.: Non potrebbe esserlo la tua esperienza?
I.: No, e nemmeno l'esistenza. Sia l'esperienza che l'esistenza dipendono dalla mia soggettività cosciente.
M.: Ed essa da che dipende?
I.: Non lo so. Un tempo avrei detto: dal corpo. Ora vedo che il corpo è una realtà secondaria, che di per sé non prova l'esistenza.
M.: Ottimo! Hai abbandonato l'idea io-sono-il-corpo, la fonte principale di errore e sofferenza.
I.: Intellettualmente sì, ma il senso di essere un soggetto, una persona, è rimasto: Dico: io sono, ma non posso dire che cosa sono. So di esistere, ma che cosa esista non so. Comunque la metta, ho di fronte l'ignoto.
M.: Il tuo stesso essere è il reale.
I.: Se è così, parliamo di due cose diverse. Io non sono un'astrazione, ma una persona, limitata e consapevole dei suoi limiti. Sono un fatto, ma un fatto che di sostanziale ha pochissimo. Non c'è nulla che io possa costruire sulla temporaneità della mia esistenza personale.
M.: Le tue parole sono più sagge di te. Come persona, la tua esistenza è temporanea. Ma sei solo e davvero una persona?
I.: Come devo rispondere? Il mio senso dell'essere prova solo che sono, non prova nulla che sia indipendente da me. Sono relativo, creatura e creatore del relativo. La prova assoluta dell'assoluta verità, qual è? dov'è? Può l'"io sono", come mera sensazione, provare la realtà?
M.: Certo che non può. "Io sono" e "c'è il mondo" sono sensazioni reciproche e condizionate. Dipendono dalla tendenza della mente a proiettare nomi e forme.
I.: I nomi e le forme, le idee e le convinzioni, ma non la verità. Prima di conoscervi, non dubitavo della relatività dell'esistenza e della verità, e sapevo vivere di ipotesi. Poi vi ho incontrato, e vi ho sentito parlare dell'assoluto come di una cosa raggiungibile e sommamente desiderabile. Pace, beatitudine, eternità, immortalità, sono parole che mi attirano, perché mi offrono la libertà di sottrarmi al dolore e alla paura. Tendenze innate, come la ricerca del piacere e la curiosità, si ridestano, e comincio ad esplorare l'orizzonte che m'avete dischiuso. Tutto sembra stupendo, e mi viene spontaneo domandare: "È raggiungibile? È vero?".
M.: Sei come un bambino che dichiara: mangerò lo zucchero solo se mi provi che è dolce. La prova della dolcezza è nella bocca, non nello zucchero. Per sapere che è dolce, non c'è altro modo che assaggiarlo. Naturalmente, ti informi prima a parole, e accetti la mia assicurazione, finché non assaggi. Solo allora tutti i dubbi si dissolvono, e la tua conoscenza diventa diretta e certa. Non ti chiedo di credermi. Basta che accetti d'incominciare. Ogni passo si prova o si smentisce da sé. Si direbbe che prima della verità tu ne voglia la prova. E quale sarebbe la prova della prova? Come vedi è un marciare all'indietro. Per bloccarlo, devi smettere di pretendere prove, e per un solo momento accettare una cosa, qualsiasi cosa, per vera. Metti che sia Dio, me, o il sé interno, tre casi in cui qualcosa di ignoto è dato per vero. Se ora agisci sulla scorta della verità che hai accettato, ti troverai ben presto un passo oltre. È come scalare un albero al buio: puoi afferrarti a un ramo, solo se sei già assestato sul precedente. La scienza lo definisce approccio sperimentale. Per dimostrare una teoria si proseguono esperimenti già convalidati. Nella ricerca spirituale la catena degli esperimenti previsti si chiama yoga.
I.: Gli yoga sono molti, quale scegliere?
M.: Naturalmente, ogni maestro ti suggerirà la via che conosce meglio, e che è quella del suo stesso conseguimento. Ma i più sono molto aperti, e adattano i loro consigli alle esigenze del ricercatore. Tutte le vie menano alla purificazione della mente. Una mente impura è opaca alla verità; la mente pura è trasparente.
I.: Mi dispiace, evidentemente non riesco a comunicare la mia difficoltà. Chiedo la prova della verità, e mi si indicano dei metodi per ottenerla. Ammesso che io li segua e raggiunga uno stato felice, che cosa mi prova che è uno stato di verità? Ogni religione parte dalla fede e promette un'estasi. L'estasi è reale o prodotta dalla fede? Infatti, se è uno stato indotto, non mi interessa. Ad esempio, il Cristianesimo dice: "Gesù è il tuo Salvatore; credi, e sarai salvo dal peccato". Quando domando a un cristiano come mai non sia stato salvato dal peccato nonostante la sua fede in Cristo, mi risponde: si vede che la mia fede è imperfetta. Di nuovo il circolo vizioso: senza fede perfetta, niente salvezza; senza salvezza, niente fede perfetta: per cui niente salvezza. Si impongono condizioni inattuabili, e si è biasimati perché non si attuano.
M.: Non capisci che il tuo stato attuale, di veglia, è uno stato di ignoranza. Poiché ignori la realtà, chiedi una prova della verità. I tuoi contatti con la realtà attraverso i sensi e la mente sono radicati nell'"io sono", che è l'apice soggettivo della coscienza, ma la realtà in sé non è mediata, non ha tramiti né è soggetta a esperienza. La dualità per te è tanto scontata che nemmeno la noti, mentre per me la varietà e la differenza non separano. Immagini che la realtà sia disgiunta dai nomi e dalle forme, mentre per me nomi e forme sono le espressioni stesse onnimutevoli della realtà. Chiedi la prova della verità, per me la stessa esistenza è la prova. Stacchi l'esistenza dall'essere e l'essere dalla realtà, mentre per me sono tutt'uno. Sei convinto della verità del tuo stato di veglia, ma non ne rivendichi il carattere permanente e immutabile, mentre io sì. Ciò nonostante, non c'è differenza fra te e me, tranne il fatto che tu immagini, io invece no(1).
I.: Prima mi dichiarate incapace di indagare sulla verità, poi mi accusate di immaginazione! Ciò che per voi è immaginazione per me è la realtà.
M.: Solo fino a quando non ti metti a cercare. E poi, non ti accuso di nulla. Ti chiedo solo di porre le domande a ragion veduta. Invece di cercare la prova della verità che ignori, verifica le prove in tuo possesso di ciò che credi di conoscere. Scoprirai che le tue conoscenze sono tutte di seconda mano. Per conoscere la verità, devi farlo da te attraverso la tua irriducibile esperienza.
I.: Esperienze straordinarie come il samadhi e l'estasi, indotte nei modi più vari, mi spaventano a morte. Una bevanda, un po' di fumo, una febbre, una droga, tecniche di respirazione, canti, scuotimenti, danze, giravolte, preghiere, certi modi di praticare il sesso o il digiuno, intonazioni di mantra o chissà quale altra alterazione della coscienza, possono strapparmi allo stato normale di veglia e darmi una vertigine. Cessata però la causa, svanisce l'effetto e resta solo un ricordo tormentoso, che col tempo dilegua.
Smettiamola una buona volta di coltivare metodi e attendere i risultati, visto che questi sono vincolati a quelli. E riformuliamo di nuovo la domanda: c'è modo di trovare la verità?
M.: Dove pensi che tu stia per andare a cercarla? E come saprai che l'hai trovata? Con quale pietra di paragone la verificherai? Sei assillato dalla questione della prova. Ho l'impressione che ci sia qualcosa di storto nella domanda, visto che tendi a ripeterla all'infinito. Perché chiedi delle prove? Non è forse perché non conosci verità di prima mano, e temi di essere ingannato? Immagini che la verità sia una cosa etichettata "verità", utile da possedere, purché sia genuina. Di qui la tua paura di venir giocato. Vai al mercato per comprare verità, ma diffidi dei mercanti. Temi contraffazioni e imitazioni.
I.: Non ho paura di essere ingannato, ma di ingannarmi.
M.: Ed è quello che fai, ignorando le tue vere ragioni. Rivendichi la verità, ma di fatto insegui un beneficio che vorresti perpetuo.
Nessuno stato della mente lo è. Nel tempo e nello spazio c'è sempre un limite, perché il tempo e lo spazio sono a loro volta limitati. D'altronde nell'atemporalità l'espressione "per sempre" non ha senso. Lo stesso vale per la cosiddetta "prova della verità". Nel regno della non-dualità tutto è completo, autodimostrato, significativo e finalizzato in se stesso. Dove tutto è uno, non occorrono appoggi. Immagini che la permanenza sia la prova della verità, che ciò che dura più a lungo sia in qualche modo più vero. Il tempo diventa la misura della verità. E poiché il tempo è nella mente, la mente diventa l'arbitro e cerca dentro di sé la prova della verità - un'impresa assurda e senza speranza! -.
I.: Se diceste: niente è vero, tutto è relativo, sarei d'accordo. Ma voi affermate che la verità, la realtà, la perfetta conoscenza esistono, perciò domando: di che si tratta, come fate a saperlo? E potrò mai dire: "Sì, Maharaj aveva ragione"?
M.: Ti aggrappi al bisogno di una prova. Immagini che la verità si lasci indicare e che ti si dica: "Guarda, eccola qui". Non è così. La verità non è il risultato di uno sforzo, o la fine di un percorso. È qui, ora, nella stessa tensione a cercarla. È più vicina di quanto non lo siano la mente e il corpo, più vicina dell'"io sono(2) ". Non la vedi perché guardi troppo in là, fuori del tuo fondo più riposto. Ne hai fatto un oggetto, e t'incaponisci in prove e verifiche, che si applicano solo a cose e a pensieri.
I.: Significa che la verità è fuori della mia portata, e non sono qualificato a parlarne?
M.: Al contrario, non solo sei qualificato, ma sei la stessa verità. Purtroppo scambi il falso per il vero.
I.: Sembra un invito a non chiedere prove della verità, e a occuparmi solo del falso.
M.: Scoprire la verità significa discernere il falso. Puoi conoscere solo ciò che non è. Ciò che è, puoi solo esserlo. La conoscenza è relativa al conosciuto. In un certo senso è la controparte dell'ignoranza. Dove non c'è ignoranza, che bisogno c'è di conoscenza? Né l'ignoranza né la conoscenza esistono di per sé. Sono affezioni della mente, la quale a sua volta è un'affezione della coscienza, in se stessa immutabile.
I.: La verità è dentro o al di là della mente?
M.: Sia dentro che al di là. Spiegarlo è impossibile.
I.: È quello che sento dire sempre: "ineffabile" (anirvachaniya). Non che mi renda più saggio.
M.: È vero, spesso è un modo di coprire l'ignoranza. La mente funziona con strumenti appunto mentali, perciò non può trascendersi. Ciò che travalica i sensi e la mente, e che li fa funzionare, non può essere contenuto né dai sensi né dalla mente. Convinciti che la mente ha i suoi limiti; per oltrepassarli, devi acconsentire al silenzio.
I.: Si può dire che l'azione provi la verità? Non si può esprimere in parole, d'accordo, ma si può dimostrare.
M.: La verità è oltre l'azione e la non-azione.
I.: Si può riconoscere: "Sì, questo è vero"? O dobbiamo limitarci a negare il falso? Ossia, la verità è pura negazione o c'è un momento in cui diventa la sua affermazione?
M.: La verità non si può descrivere, puoi solo viverla.
I.: Vivere la verità è un'esperienza soggettiva, non si può condividere. La vostra esperienza, ad esempio, lascia me dove sono.
M.: La verità può essere sperimentata, ma non è solo un'esperienza. Io la conosco, e posso comunicartela solo se sei aperto. Essere aperto significa non volere nient'altro che la verità.
I.: Sono pieno di desideri e paure. Significa che non ho diritto alla verità?
M.: La verità non è un premio di buona condotta, o perché hai superato gli esami. Non si ottiene. È la fonte ancestrale e non-nata di tutto l'esistente. Perciò non devi meritarla. Ne hai diritto perché sei(3). È tua, purché tu smetta di fuggirla inseguendola(4). Sii calmo e quieto.
I.: Se volete che il mio corpo sia calmo e la mente quieta, ditemi come si fa. L'autoconsapevolezza mi mostra che il corpo e la mente sono mossi da cause incontrollabili. L'eredità e l'ambiente mi schiacciano. Il grande "io sono", il sovrano dell'universo, può essere polverizzato da un effetto di droga o una goccia di veleno: temporaneamente o per sempre.
M.: Continui a identificarti col corpo.
I.: Anche se non mi riconosco in questo amalgama d'ossa, carne e sangue, mi resta il corpo sottile dei pensieri, sentimenti, ricordi e immaginazioni. E se anche tutto questo lo congedo come non-me, mi rimane la coscienza, che è pur sempre una specie di corpo.
M.: È vero, ma non fermarti lì. Va' oltre. Né la coscienza né l'"io sono" su cui essa s'impernia, sono te. Il tuo vero essere sta interamente al di là dell'"io", privo di auto-identificazione con qualunque cosa, grossolana, sottile, o più che sottile.
I.: Posso anche immaginare di essere oltre. Ma che prove ne ho? Posso essere, solo se sono qualcosa.
M.: Al contrario. Per essere, non devi essere nessuno. Pensare di essere qualcosa o qualcuno è una sentenza di morte e un inferno(5).
I.: È noto che gli antichi Egizi accedessero a misteri in cui, per effetto di droghe e incantamenti, venivano proiettati fuori del corpo, sperimentando il distacco e la contemplazione della propria forma inerte. Ciò li convinceva della realtà della sopravvivenza dopo la morte, e serviva a sviluppare nei praticanti un profondo interesse per il loro destino finale, a tutto vantaggio dell'ideologia teocratica. L'auto-identificazione con l'abitante del corpo rimaneva.
M.: Il corpo è fatto di cibo come la mente di pensieri. Vedili come sono. La non-identificazione, quando è naturale e spontanea, è una liberazione. Non ti occorre sapere chi sei. Ti basti sapere che cosa non sei. Ciò che sei non lo saprai mai, perché ogni scoperta rivela nuove dimensioni da conquistare. L'ignoto non ha limiti.
I.: Ciò implica l'eterna ignoranza?
M.: Significa che l'ignoranza non è mai esistita. La verità sta nello scoprire, non in ciò che si scopre. E allo scoprire non c'è inizio né fine. Discuti i limiti, va' oltre, poniti dei fini apparentemente impossibili: questa è la via.