Margherita Porete Lo specchio delle anime semplici, Cap 135.
























Nel capitoletto Santità e mistica del suo bel libro Il volto del Dio nascosto, Mondadori 1999 da cui cito, a mo' di ricapitolazione, le ultime righe.
























E questo è esattamente quello che facciamo in ogni momento della nostra vita, ed è proprio questo, a mio modo di vedere, il 'peccato' di Lucifero.
























Ibn Arabi nasce a Murcia, nella Spagna musulmana, nel 1165 e muore a Damasco nel 1240. Grazie ancora a Marco Vannini, che presenta il suo formidabile Trattato dell'Unità in Mistica e filosofia, Piemme 1996. Interessante osservare che Ibn Arabi è autore tuttora vietato in alcuni paesi di stretta ortodossia coranica: le chiese non si smentiscono e in verità non possono smentirsi, pena la loro stessa scomparsa...
























(*) Una volta per tutte: non pensate di trovare qui un esperto. Sono un grande appassionato, ma, per favore, non rimettetevi alla mia 'perizia' (a meno che vogliate prendermi in giro...).

























(*) Mi vien da dire che è proprio vero che "l'io 'ab initio' non esiste". Esiste 'qualcosa' che viene erroneamente interpretato come un 'io', un ego che vuole perpetuarsi. L'annichilirsi di questo 'io' non è nient'altro che il riconoscimento dell'errore. 'Il paradiso è un capire' ci dice Margherita, tra le fiamme.

























(*) Nelle parole di Maharaj, non esiste l'esperienza del Reale, esiste 'solo' il Reale, e TU SEI QUELLO. Quindi quando ci si chiede "'chi' sarebbe il fruitore dell'esperienza mistica" viene da rispondere che la domanda è malposta. Se non c'è 'esperienza' come può esserci un 'fruitore'? Sempre Maharaj chiarisce che il Reale è il fondamento stesso dell'esperienza: non è quindi 'sperimentabile', ma è ciò che rende possibile l'esperienza; un po' come il sole, che, pur non avendo 'esperienza' della notte, rende questa esperienza possibile. Direi che questo è il massimo che si può pretendere dalle parole (e dalle analogie, spesso solo fuorvianti).

























(*) Sono perfettamente d'accordo che in Cristo "Dio viene rivelato non come sostanza ma come svuotamento". Non riesco invece a considerare questo insegnamento unicamente riconducibile a Cristo.

























(*) Non si tratta di "definire 'divinità' o 'Dio al di là di Dio' la sola impossibilità gnoseologica di attingere il divino". Chi vuole 'definire' la divinità? 'Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere', ma con questo non si deve definire nulla.

























(*) Sono d'accordo sul fatto che, finché ne parliamo, i concetti trinitari siano utilissimi per cercare di descrivere l'"esperienza" mistica. Ma siamo sempre lì: non di esperienza si tratta, come dicevamo prima: quando le parole non servono, neppure Padre, Figlio e Spirito servono. Riporto qui "alcuni passi eckhartiani che sembrano suggerire il superamento della dimensione trinitaria":

Ho parlato a volte di una luce che è nell'anima, increata e increabile [...] Questa scintilla rifiuta tutte le creature, e non vuole altro che Dio nella sua nudità, come è in se stesso. Non le bastano né il Padre né il Figlio né lo Spirito santo, e neppure le tre Persone insieme, in quanto ciascuna permane nella sua particolarità [...] essa vuole penetrare nel semplice fondo, nel silenzioso deserto, dove mai ha gettato uno sguardo la distinzione, né Padre né Figlio né Spirito santo [...] questo fondo è un semplice silenzio, immobile in se stesso; da questa immobilità vengono mosse tutte le cose.

Il testo completo del sermone è da sempre a disposizione nel sito (vedi) e non mi pare di averne fatto un utilizzo "troppo enfatico": l'ho solo citato...
Inoltre, e a questo tengo particolarmente, vorrei davvero che mi venisse chiarito *bene* in che senso questo (e simili) passi *sembrino* suggerire il superamento della dimensione trinitaria: io direi che lo affermano esplicitamente! Sbaglio? Dove e come? GRAZIE in anticipo a chi mi vorrà rispondere.

























(*) Continuo a sostenere che l'"Altro", l'"alterità incatturabile" sta sempre di fronte a 'me', di fronte a un 'io'.
Nel riconoscere l'errore di fondo, il 'peccato originale' che consiste nel confinarmi in un 'io' che non esiste, mi libero di tutte le alterità, la più tiranna delle quali è proprio l'"io" stesso, che per continuare ad esistere si crea un Dio Altro, di fronte al quale stare. In umiltà, magari, ma esistente. No, non va così. Si può dire ancora più chiaramente: "Altro" da me non è il Dio che credo di amare, "altro" da me è l'"io" che credo di essere! Meglio di Ibn Arabi non so dire: 'in fondo, tu non sei tu, anche se non lo sai'.
È questo un "artificio linguistico suggestivo ma poco significante, piuttosto 'estetizzante' ma poco efficace"? Non so, a me non pare, del resto il vero mistico non è efficace, almeno non nel nostro senso: 'Io ho già fatto tutto' dice Margherita, cui 700 anni dopo e da una cultura incommensurabilmente distante fa curiosamente eco Maharaj: 'Ho finito, non mi resta nulla da fare'. L'efficacia è nostra prerogativa. È l'"io" che è efficace, come efficace è il Dio-Altro ad esso contrapposto: 'Dio opera, la divinità non opera, non ha niente da operare' conferma Eckhart.

























(*) Non posso credere che il pensiero "pigro ed affrettato verso facili 'scavalcamenti'" sia quello di Eckhart. Spero che l'estensore della mail abbia in mente l'autore del sito che, in realtà, vorrebbe apparire solo come un compilatore. Eckhart ci lascia invece in eredità affermazioni come la seguente:

Quando io ritorno in "Dio" e non rimango fermo là, la mia irruzione è molto più nobile del mio efflusso. Io solo porto tutte le creature dal loro essere spirituale nel mio intelletto, perché siano una cosa sola in me. Quando pervengo nel fondo, nel terreno, nella corrente e nella fonte della divinità, nessuno mi chiede da dove venga o dove sia stato. Nessuno là ha sentito la mia mancanza, e là "Dio" si dissolve (vedi).


Qui vedo sì 'scavalcamento', ma non trovo pigrizia, né facilità.
























(*) Cacciari si tradisce da sé nel dire "se è così l'Inizio dovrebbe essere pensato". Ma chi pensa l'Inizio? Con le parole non si va lontano...
Comunque, se proprio vogliamo continuare ad allineare parole, certo che l'Inizio comprende "in sè la possibilità di ciò che lo nega, ovvero la propria stessa im-possibilità". Non sono forse qua io che scrivo e tu lì che leggi?

























(*) Altro inciampo di Cacciari (comunque difficilmente considerabile un maestro di mistica...): "Il Mistico speculativo non può dimenticare". Ma cosa deve ricordare? Nella vita del presente, nell'eternità, la memoria non ha spazio.
Il nostro problema è che continuiamo a proiettare sulla nostra idea del Reale le nostre idee su come questo 'Reale' immaginato dovrebbe avere rapporti col mondo che sperimentiamo. Ripeto con Eckhart: 'Prego Dio che mi liberi da Dio'!
























Questo è un cavallo di battaglia di Vannini. Anche qui, non posso che confermarmi che il filosofo in genere, trattando sempre di parole, non può che imbrogliarsi. Per chiarire quello che intendo, commentando la frase di Margherita (Cap. 138): "Ora l'Anima è nello stato primo dell'essere che è il suo proprio essere, ed ha lasciato tre, e fatto di due uno" Vannini scrive, del tutto giustamente: "Lasciate le tre potenze dell'anima e le corrispondenti Persone trinitarie, fatta una cosa sola della duplice natura umano-divina, l'Anima sprofonda nella semplicità dell'Uno, della Divinità sine modis, precedente le tre Persone divine, il rapporto che è in esse e la creazione stessa. È la stessa conclusione cui approda Eckhart". Tutto sacrosanto, e non credo proprio che Vannini necessiti di "un approfondimento più criticamente fondato alle affermazioni di un superamento del trinitario in Eckhart". Solo che altrove ripete una frase che nega quello che ha appena detto qui. Spero che il professor Vannini si decida a scrivere, armato di tutta la sua competenza, quel bel saggio che manca tra le profondissime relazioni che intercorrono tra tutti i mistici dell'Uno, evidenziando ciò che unisce, e non ciò che separa, che poi in fondo sono solo parole, definizioni. Questo mio sito è un banale tentativo dilettantesco, che spero di veder superato al più presto in profondità e competenza.



























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