I.: Il saggio (gnani), in pratica, come vive? Quando deve fare qualcosa, la progetta, decide sui dettagli, e poi esegue?
M.: Afferra pienamente la situazione, e sa d'acchito che cosa va fatto. Tutto qui. Il resto avviene da sé, senza quasi che se ne accorga. La sua simbiosi con ciò che è, è completa; egli è in sintonia con l'universo, come l'universo è in sintonia con lui. Sa che, una volta afferrata una situazione, gli eventi le si costelleranno intorno naturalmente(1). L'uomo ordinario è coinvolto personalmente, vàluta i rischi e le possibilità, mentre il saggio resta in disparte, sicuro che tutto accadrà come deve; né gli importa molto ciò che succede, perché alla fine il ritorno all'equilibrio e all'armonia è inevitabile. Il cuore delle cose è in pace(2).
I.: Ho capito che la personalità è un'illusione, e che il giusto punto di contatto con la realtà è il distacco vigile, senza la perdita dell'identità. Vorrei sapere: chi siete in questo momento: una persona o una identità consapevole di se stessa?
M.: Ambedue. Tuttavia il vero sé si può descrivere solo nei termini forniti dalla persona, che perciò non sono i miei. Tutto ciò che si può dire della persona non è il sé, né si può dire nulla del sé che non riguardi la persona, com'è, come sarebbe, come dovrebbe essere. Tutti gli attributi sono personali. Il reale è al di là di qualunque attributo(3).
I.: Siete a volte il sé, e altre volte la persona?
M.: E come potrei? La persona è ciò che appare ad altre persone. Per me, io sono l'espansione infinita della coscienza in cui emergono e svaniscono innumerevoli persone, in una serie senza fine.
I.: Come mai la persona, che per voi è illusoria, a noi sembra reale?
M.: Il vero te stesso, che è alla radice dell'essere-coscienza-beatitudine, rende reale qualunque cosa tu percepisca. Quest'attribuzione di realtà accade invariabilmente ora, né al passato né al futuro, che sono mentali. L'"Essere" è solo al presente.
I.: Non è infinita anche l'eternità?
M.: Infinito è il tempo, anche se è limitato, l'eternità è in quest'attimo, ora(4). Ci sfugge, perché la mente fa la spola tra il passato e il futuro. Non si arresta per inchiodarsi sull'ora. Il che si può fare con relativa facilità, se si desta l'interesse.
I.: Che cosa lo desta?
M.: La serietà, il segno della maturità.
I.: Come si diventa maturi?
M.: Mantenendo la mente chiara e tersa, vivendo consapevoli di ogni momento come viene, scrutinando e dissolvendo i desideri e le paure, via via che sorgono.
I.: È mai possibile concentrarsi così?
M.: Prova. Un passo alla volta è facile. L'energia fluisce dalla serietà.
I.: Non sono abbastanza serio.
M.: L'auto-inganno è una faccenda seria. Corrompe la mente come un cancro. Il rimedio sta nella chiarezza e integrità del pensiero. Convinciti che vivi in un mondo di illusioni, esaminale e scoprine le radici. Il fatto di applicarti ti renderà serio, perché nella retta impresa sta la beatitudine.
I.: Dove mi condurrà?
M.: E dove può condurti, se non alla tua stessa perfezione? Una volta che tu ti sia ben assestato nell'ora, non c'è dove altro andare. Ciò che sei fuori del tempo, eternamente lo esprimi.
I.: Siete uno o molti?
M.: Sono uno, appaio molti(5).
I.: Perché si appare?
M.: È bene essere e avere coscienza.
I.: La vita è triste.
M.: L'ignoranza causa il dolore. La felicità viene dalla comprensione.
I.: Perché l'ignoranza sarebbe dolorosa?
M.: È alla radice di ogni desiderio e paura, che sono dolorosi, e causano errori senza fine.
I.: Ho visto uomini ritenuti realizzati ridere e piangere. Non indica che non erano svincolati dal desiderio e dalla paura?
M.: Potranno ridere e piangere a seconda delle circostanze, ma interiormente restano limpidi e freddi, intenti a osservare con distacco le loro reazioni immediate. Che le apparenze ingannino è tanto più vero nel caso di un realizzato(6).
I.: Non capisco.
M.: La mente non può capire, perché è allenata ad afferrare e a trattenere, mentre il realizzato non fa né l'uno né l'altro.
I.: A che cosa mi afferro che voi invece lasciate andare?
M.: Sei un essere-di-memoria, o immagini di esserlo. Io non immagino. Sono quello che sono, non identificabile con nessuno stato fisico o mentale.
I.: Un incidente distruggerebbe la vostra equanimità.
M.: Strano a dirsi ma non è vero. Con mia stessa sorpresa, resto come sono: pura consapevolezza all'erta.
I.: Anche nell'istante della morte?
M.: Che m'importa che il corpo muoia?
I.: Non vi serve per stare al mondo?
M.: Il mondo non mi serve. E non sono in un mondo. Il mondo di cui parli è nella tua mente. Posso vederlo attraverso i tuoi occhi, ma so benissimo che è una proiezione di memorie; il reale lo intercetta solo nel punto della consapevolezza, ora(7).
I.: Si direbbe che la sola differenza tra noi è che io continuo a sostenere che non conosco il mio vero essere, mentre voi dite di conoscerlo bene; ce ne sono altre?
M.: Tra noi non c'è differenza; né posso dire di conoscermi(8). So che non sono descrivibile né definibile; una remota immensità si stende oltre i confini della mente. Quella è la mia casa; il mio essere sconfinato; l'immensità che è anche amore.
I.: Vedete l'amore dappertutto, mentre io non scorgo che odio e sofferenza. La storia dell'umanità è una sequela di delitti, individuali e collettivi. Nessun altro essere vivente gode tanto a uccidere.
M.: Se scavi nei motivi, troverai l'amore che gli uomini hanno per se stessi e le proprie cose. Combattono per ciò che credono di amare(9).
I.: Il loro amore dovrà essere abbastanza reale se sono pronti a morire per esso.
M.: L'amore è illimitato. Ciò che si limita a pochi non è amore.
I.: Voi lo conoscete?
M.: Sì.
I.: Che cosa si prova?
M.: Tutto è amato e amabile. Nulla escluso.
I.: Nemmeno il brutto e il criminoso?
M.: Tutto è dentro la mia coscienza; tutto è mio. È folle dividersi tra simpatie e antipatie. Io non sono alienato. Sono oltre.
I.: La libertà dal piacere e dal dispiacere è uno stato d'indifferenza.
M.: All'inizio può parere così. Ma persevera in quest'indifferenza, e sboccerà in un amore indiscriminato, che tutto abbraccia.
I.: Ci sono momenti in cui la mente diventa un fiore e una fiamma, ma non durano, e la vita ritorna al grigiore di sempre.
M.: Nel mondo della concretezza, la discontinuità è la legge. Non si può sperimentare il continuo, perché non ha limiti. La coscienza implica alterazioni, un cambiamento dopo l'altro, un costante mutamento di stato; non si può sperimentare l'infinito. Si può solo esserlo senza conoscerlo(10), ossia sapendo ciò che non è. Certo non è l'intero contenuto della coscienza, visto che è in moto continuo.
I.: Se non si può conoscere ciò che è immobile, che cosa significa attuarlo, e perché?
M.: Attuarlo significa diventarlo. E lo scopo è il bene di tutto ciò che vive(11).
I.: La vita è movimento. L'immobilità è morte. A che serve la morte alla vita?
M.: Parlo d'immutabilità, non di immobilità. Nella rettitudine diventi immutabile, un potere che aggiusta tutto. Ciò può implicare un'intensa attività esterna, oppure no, ma la mente rimane profonda e quieta(12).
I.: Osservo la mia mente e la trovo mutevole, gli stati d'animo si succedono senza posa, mentre il vostro umore è uniforme, sempre gaio e benevolo.
M.: Gli stati d'animo sono nella mente e non contano. Va' dentro, va' oltre. Smetti di farti incantare dai contenuti della coscienza. Quando raggiungerai gli strati profondi del tuo essere, scoprirai che il gioco alla superficie della mente t'influenza assai poco.
I.: Non continuerà lo stesso a svolgersi?
M.: Una mente quieta non significa estinta.
I.: La coscienza è sempre in movimento. Una coscienza immobile è una contraddizione. Quando parlate di una mente quieta, che cosa intendete? La mente e la coscienza non sono tutt'uno?
M.: Dobbiamo ricordare che le parole si usano in molti modi a seconda del contesto. C'è poca differenza tra il conscio e l'inconscio: in sostanza sono identici. La veglia differisce dal sonno profondo, per la presenza del testimone. Un raggio di consapevolezza illumina una parte della mente, che per ciò stesso diviene la coscienza che abbiamo della veglia o del sogno, mentre la consapevolezza appare come il testimone. Questi, generalmente, ha cognizione della sola coscienza. Grazie alla disciplina (sadhana), il testimone ruota dal piano della coscienza a quello della consapevolezza. La consapevolezza di sé è yoga.
I.: Se la consapevolezza è onnipervasiva, un cieco che si sia realizzato, può vedere?
M.: Confondi la sensazione con la consapevolezza. Il realizzato si conosce com'è. Se è cieco, è consapevole che il suo corpo è menomato, e che la mente è sprovvista di alcune percezioni sensoriali. Ma non è influenzato dal fatto di vedere o no.
I.: La mia domanda è più specifica: quando un cieco si realizza, riacquista o no la vista?
M.: Come può vedere se gli occhi e il cervello non subiscono un cambiamento?
I.: Ma succede?
M.: Può succedere oppure no. Tutto dipende dal destino e dalla grazia. Ma un realizzato sviluppa un sistema di percezione che non dipende dai sensi, e che gli fa apprendere le cose direttamente. Egli è oltre la percezione e il concetto, le categorie di tempo, spazio, nome e forma. Egli non è né il percepito né il percettore, ma il fattore semplice e universale che rende possibile la percezione(13). La realtà non è la coscienza né alcuno dei suoi contenuti, ma è dentro la coscienza.
I.: Che cosa è falso, il mondo o la conoscenza che ne ho?
M.: Esiste un mondo al di fuori della conoscenza che ne hai? Puoi andare di là da ciò che conosci? Puoi postulare un mondo oltre la mente, questo sì, ma rimarrà un concetto, non provato e indimostrabile. La tua esperienza è la prova, ma vale solo per te. Chi altri può avere la tua esperienza, se la realtà dell'altro è pari al suo apparire nella tua esperienza?
I.: Sono così disperatamente solo?
M.: Come persona, sì. Ma nel tuo essere profondo sei il tutto.
I.: Voi chi siete rispetto al mio mondo di coscienza: vi rientrate o no?
M.: Quello che vedi è tuo, e quello che io vedo è mio. Hanno poco in comune.
I.: Dev'esserci un fattore che ci accomuna.
M.: Lo trovi se abbandoni le distinzioni. Solo l'universale è in comune.
I.: C'è una cosa che non capisco. Voi dite che non sono niente più del prodotto dei miei ricordi, penosamente limitato, mentre io creo un mondo vasto e ricco, che contiene tutto, anche voi e il vostro insegnamento. Com'è possibile che questa immensità sia creata e contenuta nella mia piccolezza? Può darsi che mi diate la verità tutta intera, ma io ne afferro solo un pezzetto.
M.: È un dato di fatto: il piccolo proietta l'intero, ma non può contenerlo. Il tuo mondo sarà vasto e completo, ma è contraddittorio, fugace e ingannevole.
I.: Ammetto che sia illusorio, ma è meraviglioso. Quando guardo e ascolto, tocco, odoro e gusto, penso e sento, ricordo e immagino, non posso fare a meno di stupirmi della mia prodigiosa creatività. Guardo attraverso un microscopio o un telescopio, e vedo meraviglie, inseguo la traccia di un atomo e capto il sussurro delle stelle. Se sono l'unico creatore di tutto questo, allora davvero sono Dio! Ma se lo sono, perché appaio a me stesso così minimo e impotente?
M.: Sei Dio, ma non lo sai!
I.: Se sono Dio, il mondo che creo dev'essere vero.
M.: È vero nell'essenza, non nell'apparenza. Lìberati dai desideri e dalle paure, e la tua visione si schiarirà mostrandoti le cose come sono. Oppure si può dire che il satoguna crea il mondo, il tamoguna l'oscura e il rajoguna lo altera.
I.: Sarà, ma se domando che cosa sono i tre guna, mi si risponde: ciò che crea; ciò che oscura; ciò che altera. Il fatto resta: mi è successo qualcosa d'incredibile e io non capisco che cosa è, come e perché.
M.: La meraviglia è l'alba della sapienza. Lo stupore stabile e reiterato è la disciplina (sadhana).
I.: Vivo in un mondo che non capisco, e per questo lo temo. È l'esperienza di tutti.
M.: Ti sei separato dal mondo, perciò ti fa soffrire e temere. Scopri il tuo errore e lìberati dalla paura.
I.: Mi chiedete di rinunciare al mondo, mentre io voglio essere felice nel mondo.
M.: Se chiedi l'impossibile, chi può aiutarti? Ciò che è limitato, è soggetto all'alternanza di piacere e dolore. Se cerchi la vera, inattaccabile, perenne felicità, devì lasciarti il mondo alle spalle, con i suoi dolori e piaceri.
I.: Come si fa?
M.: La rinuncia fisica è un pegno di serietà, ma da sola non libera. Dev'esserci la comprensione, che nasce dalla vigilanza, dall'indagine appassionata e profonda. Devi adoperarti senza posa per la tua salvezza dall'errore e dalla sofferenza.
I.: Che cos'è il peccato?
M.: Tutto ciò che ti lega.