94. 11 Marzo 1972




I.: Continuate a dire che non sono nato e non morirò. Se è così, perché vedo il mondo con gli occhi di uno che è nato e morirà?
M.: Perché non hai mai messo in dubbio la tua convinzione di essere il corpo, il quale è, ovviamente, mortale. Finché è vivo, il suo potere di attrazione è così forte che quasi impedisce di far scorgere l'essere sottostante. Come quando si guarda l'oceano alla superficie, e si dimentica completamente l'immensità degli abissi. Il mondo non è che la superficie della mente, e la mente è infinita. I cosiddetti pensieri sono le sue increspature. Quando è quieta, riflette la realtà. Quando è perfettamente immobile, cessa e resta la realtà. Rispetto alla mente e alla materia, la realtà è così concreta, verace e tangibile, che, al suo confronto, anche un diamante sembra tenero come il burro. La sua schiacciante verità rende il mondo simile a un sogno, nebbioso, irrilevante(1).
I.: Come può sembrarvi irrilevante un mondo così pieno di dolore? Quale insensibilità!
M.: L'insensibile sei tu, non io. Se il tuo mondo è così pieno di sofferenza, fa' qualcosa al riguardo, non aumentarla con l'avidità e l'indolenza. Io non sono legato dal tuo mondo di sogno. Nel mio, i semi della sofferenza, del desiderio e della paura non vengono piantati, e la sofferenza non cresce. Il mio mondo è libero dagli opposti, dai divari incolmabili; l'armonia lo pervade; la sua pace è come una roccia; questa pace e silenzio sono il mio corpo.
I.: Mi ricorda il Dharmakaya del Buddha.
M.: Può darsi, ma è meglio non scantonare nelle citazioni. Lìmitati a vedere la persona che credi di essere come parte del mondo percepito nella mente. Poi esci dalla mente, e guardala: infatti tu non sei la mente. Dopotutto, il tuo solo problema è la forte identificazione con tutto ciò che percepisci. Abbandona quest'abitudine, ricordati che non sei le tue percezioni, e usa il potere del distacco vigile. Vediti in tutto ciò che è vivo, e il tuo comportamento rispecchierà la visione. Quando ti convincerai che nulla al mondo è tuo, per forza lo vedrai dal di fuori, come un dramma a teatro o un film sullo schermo; ammirato e partecipe, ma impassibile. Finché t'immagini come una cosa tra le altre, tangibile e solida, nello spazio e nel tempo, anche se fugace e mortale, per forza ci terrai a sopravvivere e ad accrescerti. Ma quando ti riconosci oltre lo spazio e il tempo - che ti sfiorano solo all'incrocio del qui-ora, calmo e diffuso, irraggiungibile, inattaccabile, invulnerabile - non avrai più paura. Conosciti come sei: contro la paura non c'è altro rimedio.
Devi imparare a pensare e a sentire in questo spirito, se non vuoi restare catturato nella stretta di desiderio e paura, assorto in guadagno e perdita, crescita e declino. Non puoi risolvere un problema personale restando a quel solo livello. Lo stesso desiderio di vivere è il messaggero della morte, come la brama di felicità è la sagoma della sofferenza. Il mondo è un oceano di dolore e paura, ansietà e disperazione. I piaceri sono come i pesci, sporadici e veloci, di rado accorrono, fulminei spariscono. Un uomo di scarsa intelligenza è convinto, contro ogni evidenza, di essere un'eccezione, e che il mondo gli debba felicità. Ma il mondo non può dare ciò che non ha; irreale fino al midollo, non serve per la vera felicità. Non può essere altrimenti. Cerchiamo il reale perché l'irreale ci affigge. La felicità è la nostra natura, e non avremo pace finché non sarà trovata. Ma di rado sappiamo dove cercarla. Quando avrai capito che il mondo non è che una visione deformata della realtà, e non è ciò che sembra, sarai libero dalla sua ossessione. Solo ciò che è compatibile con il tuo vero essere può renderti felice, e il mondo, percepito com'è, è la sua totale negazione.
Mantieniti calmo, e osserva ciò che sale alla superficie della mente. Rifiuta il noto, accogli l'ignoto di un momento fa, e rifiutalo ancora. Perverrai, così, a uno stato in cui non c'è conoscere, solo essere, e in cui l'essere stesso è conoscenza. Conoscere, essendo, è conoscenza diretta, basata sull'identità dell'osservatore e dell'osservato. La conoscenza indiretta è basata sulla sensazione e la memoria, sulla vicinanza del percettore col percepito, confinata nel contrasto tra i due. Lo stesso è per la felicità. In genere devi essere triste per conoscere la contentezza, e lieto per conoscere la tristezza. La vera felicità è senza causa, e non scompare per mancanza di stimoli. Non è l'opposto della sofferenza, perché ne include ogni tipo.
I.: Come si può restare felici in mezzo al dolore?
M.: Non puoi evitarlo: la felicità interiore è reale in modo schiacciante. Come i raggi del sole in cielo: possono essere coperti dalle nubi, ma non mancano mai.
I.: Quando siamo nei guai, è giocoforza essere infelici.
M.: La paura è l'unico guaio. Se cogli la tua indipendenza, sarai libero dalla paura e dalle sue ombre.
I.: Qual è la differenza tra la felicità e il piacere?
M.: Il piacere dipende dalle cose, la felicità no.
I.: Se la felicità è indipendente, perché non siamo sempre felici?
M.: Finché crederemo che ci occorrano delle cose per renderci felici, crederemo anche di dover essere infelici in loro assenza. Di qui l'importanza di convincersi di non aver bisogno di spinte verso la felicità; al contrario, il piacere è una distrazione e una seccatura, perché si limita ad accrescere la falsa convinzione che per essere felici occorre avere e fare delle cose, mentre in realtà è l'opposto.
Ma perché parlare di felicità? Non ci pensi finché non sei infelice. Un uomo che dica "ora sono felice", è tra due dolori: passato e futuro. Questa felicità non è che un'eccitazione causata dal sollievo dal dolore. La vera felicità è ignara di sé. La esprimi meglio al negativo: "Non c'è nulla che non vada", "niente mi preoccupa". Lo scopo finale di tutte le discipline è raggiungere un punto in cui questa persuasione, invece di essere a parole, attinge a un'esperienza onnipresente e concreta.
I.: Quale esperienza?
M.: Di essere vuoti, sgombri di ricordi e di attese; è come la felicità degli spazi aperti, di sentirsi giovani, di avere tutto il tempo e l'energia per fare, scoprire, avventurarsi.
I.: Che cosa resta da scoprire?
M.: L'universo fuori e l'immensità dentro, come sono realmente, nella grande mente e nel grande cuore di Dio. Il significato e lo scopo dell'esistenza, il segreto della sofferenza, la redenzione della vita dall'ignoranza.
I.: Se essere felici è lo stesso che essere liberi dalla paura e dall'affanno, si può dire che l'assenza di guai sia la causa della felicità?
M.: Uno stato di assenza, di non-esistenza non può essere una causa; la preesistenza è implicita nella nozione di causa. Il tuo stato naturale, in cui nulla esiste, non può essere una causa di divenire; le cause sono nascoste nel grande e misterioso potere della memoria. Ma la tua dimora è nel nulla, nella vacuità senza contenuto(2).
I.: Il nulla e il vuoto: tremendo!
M.: Li fronteggi allegramente, quando vai a dormire! Trova da te lo stato di sonno vigile, e vedrai che si armonizza in pieno con la tua vera natura. Le parole possono solo darti l'idea, e questa non è l'esperienza. Tutto ciò che posso dire è che la vera felicità non ha causa, e che ciò che non ha causa è immutabile. Il che non significa che sia percepibile, come il piacere. Ciò che è percepibile, è il dolore e il piacere; lo stato di libertà dalla sofferenza lo si può descrivere solo in termini negativi. Per conoscerlo direttamente devi oltrepassare la mente, dominata dalla causalità e dalla tirannide del tempo.
I.: Se la felicità non è cosciente e la coscienza non è felice, che cosa le unisce?
M.: La coscienza è un prodotto di condizioni e circostanze, ne dipende e muta con esse. Ciò che è indipendente, increato, estraneo al tempo e al cambiamento, e tuttavia sempre nuovo e fresco, è al di là della mente. Quando la mente lo pensa, si dissolve da sé, e resta la felicità.
I.: Quando tutto svanisce, niente resta.
M.: Come può esserci un niente senza qualcosa? "Niente" è solo un'idea, dipende dal ricordo di qualcosa. Il puro essere è indipendente dall'esistenza, che è definibile e descrivibile.
I.: Oltre la mente, la coscienza continua o no?
M.: La coscienza va e viene, la consapevolezza brilla immutabile.
I.: Chi è consapevole nella consapevolezza?
M.: Quando c'è una persona, c'è anche la coscienza. "Io sono", la mente, la coscienza, denotano il medesimo stato. Se dici "Sono consapevole", intendi: "Sono cosciente di pensare di essere consapevole". Non c'è "io sono" nella consapevolezza.
I.: E la testimonianza?
M.: La testimonianza è della mente. Il testimone va con la cosa testimoniata. Nello stato di non-dualità, ogni separazione cessa.
I.: E voi? Avete continuità nella consapevolezza?
M.: La persona, l'"io sono questo corpo, questa mente, questa catena di ricordi, questo grappolo di desideri e paure", scompare, ma resta qualcosa che puoi chiamare identità, e che mi permette di diventare una persona quando occorre. L'amore crea le sue necessità, anche quella di diventare una persona.
I.: Si dice che la realtà si manifesti come essere-coscienza-beatitudine. Sono cose assolute o relative?
M.: Sono relative l'una all'altra, e dipendono l'una dall'altra. La realtà è indipendente dalle sue espressioni.
I.: Qual è il loro rapporto?
M.: Non c'è. Nella realtà tutto è reale e identico. Nel nostro linguaggio, saguna e nirguna sono tutt'uno nel Parabrahman. Solo il Supremo è: mobile, è saguna; immobile, è nirguna. Ma solo la mente è in moto o no. Il reale è oltre, tu sei oltre. Quando ti convinci che non puoi essere nulla di percepibile o concepibile, sei libero dalle fantasticherie. Vedere ogni cosa come un'immaginazione nata dal desiderio, è necessario per l'autorealizzazione. Perdiamo la realtà per mancanza di attenzione, e creiamo l'irrealtà per eccesso di immaginazione.
A queste cose devi consacrarti con la mente e il cuore, e meditarle a lungo. È come cucinare. Il cibo deve stare sul fuoco per un po', prima che sia cotto.
I.: Ma non sono dominato dal destino, dal mio karma? Che cosa posso fare contro di esso? Ciò che sono e faccio è predeterminato. Anche il cosiddetto libero arbitrio, lo è; non ne sono consapevole, e perciò mi immagino libero.
M.: Anche in questo caso, tutto dipende da come guardi. L'ignoranza è come una febbre: ti fa vedere cose inesistenti. Il karma è la cura prescritta dal divino. Se l'accogli di buon animo e segui le istruzioni fedelmente, starai meglio(3). Un paziente lascia l'ospedale dopo essere guarito. Insistere sulla libertà immediata di scelta e di azione non farà che posporre la guarigione. Accetta il tuo destino e colmalo: questa è la via più breve alla libertà dal destino, che non è tuttavia libertà dall'amore e dalle sue imposizioni. Agire sotto l'impulso del desiderio è paura e schiavitù; spinti dall'amore, è libertà.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione

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