86. 8 Gennaio 1972




I.: Chi è il maestro e chi è il sadguru, il maestro dei maestri?
M.: Tutto ciò che avviene nella tua coscienza è il maestro. E la consapevolezza pura, al di là della coscienza, è il maestro supremo (sadguru).
I.: Il mio maestro è Shri Babaji. Che pensate di lui?
M.: Che razza di domanda! E come chiedere allo spazio di Bombay la sua opinione sullo spazio di Poona. I nomi differiscono, lo spazio no. "Babaji" non è che un indirizzo. Chi ci vive? Quando sei preoccupato, domandi. Scopri chi dà la preoccupazione, e a chi.
I.: Realizzarsi è un dovere o un destino?
M.: Realizzarsi è scoprire che non sei la persona. Perciò non può essere un dovere della persona il cui destino è sparire. Il destino è un dovere per chi crede di essere la persona. Scopri chi è davvero, e la persona immaginata si dissolverà. La libertà è da qualcosa. Da che cosa ti devi liberare? Ovviamente, dalla persona per cui ti prendi, perché è l'idea che hai di te stesso che ti mantiene in schiavitù.
I.: Come si rimuove la persona?
M.: Con la determinazione. Comprendi che la persona deve cessare, e decidi che cessi - se sarai serio se ne andrà -. Qualcuno, chiunque, potrà dirti che non sei il corpo-mente, ma pura coscienza. Accettalo come una possibilità e indaga seriamente. Puoi scoprire che non è così, che non sei una persona limitata nello spazio e nel tempo. Pensa alla differenza che farebbe!
I.: Se non sono una persona, chi sono?
M.: La stoffa bagnata ha un aspetto, un odore, una consistenza tutta sua, finché è bagnata. Asciutta, nessuno può più riconoscere che era stata bagnata. La tua vera natura è così dissimile dalla tua apparenza. Abbandona l'idea di essere una persona. Non ti occorre diventare ciò che sei comunque. C'è l'identità di ciò che sei e c'è la persona sovrapposta. Tu conosci solo la persona, mentre l'identità - che non è una persona - non la conosci, perché non ti sei mai posto la domanda cruciale: "io chi sono?". L'identità è il testimone della persona, e la disciplina consiste nello spostare l'accento dalla persona superficiale e mutevole al testimone immutabile e onnipresente.
I.: Perché la domanda "io chi sono?" mi attrae così poco? Preferisco passare il tempo nella dolce compagnia dei realizzati.
M.: Anche dimorare nel proprio essere è uno stare in santa compagnia. Se non sarai assillato dal dolore e dall'estinzione del dolore, non troverai l'energia e la tenacia necessarie all'auto-indagine. Non puoi fabbricarti una crisi. Deve essere genuina.
I.: Quando s'instaura una crisi genuina?
M.: In qualsiasi momento, ma tu non stai abbastanza all'erta. Un'ombra sul viso del vicino, e l'immane dolore dell'esistenza, sono fattori costanti nella tua vita, ma tu rifiuti di notarli. Soffri, vedi gli altri soffrire, ma non reagisci.
I.: È vero, ma che ci posso fare? Questa è la situazione. La mia ottusità e impotenza ne fanno parte.
M.: Ossèrvati con fermezza. La porta che t'imprigiona è anche quella che ti permette di uscire: è l'"io sono". Stacci a ridosso finché si apre. In effetti, è già aperta, solo che tu stai davanti ad altre porte dipinte, che non si apriranno mai.
I.: Noi tutti, tempo addietro, abbiamo preso droghe in varia quantità. Ci è stato detto che avremmo potuto irrompere in livelli superiori di coscienza, grazie anche a un'intensa pratica del sesso. Qual è la vostra opinione in merito?
M.: Senza dubbio, una droga che può alterarti il cervello, può anche influire sulla mente, e darti le strane esperienze promesse. Ma che cosa sono tutte le droghe, paragonate a quella che ti ha procurato la più insolita delle esperienze: nascere e vivere nel dolore e nella paura, alla ricerca di una felicità impossibile o effimera. È sulla natura di questa droga che dovresti indagare, e trovare l'antidoto.
La nascita, la vita, la morte: sono una cosa sola. Scopri ciò che le ha causate. Prima di nascere, eri già drogato. Qual era la droga? Puoi guarire da qualsiasi malattia, ma se sei ancora sotto l'influenza della droga primaria, a che servono le cure superficiali?
I.: Non è il karma che causa la rinascita?
M.: Cambia il nome, ma il fatto resta. Qual è la droga che chiami karma o destino, e ti fa credere di essere ciò che non sei? Puoi liberartene? Prima di andare oltre, devi accettare, almeno come ipotesi, che non sei ciò che sembri, e che dipendi da una droga. Solo allora avrai lo stimolo e la pazienza di esaminare i sintomi, e cercare la causa comune. Il maestro può solo dirti: "Mio caro, ti sei molto sbagliato sul tuo conto. Non sei la persona che pensi". Non fidarti di nessuno, nemmeno di te. Cerca, scova, smuovi e rifiuta ogni assunto, fino a raggiungere le acque di vita e la roccia di verità. Finché non sarai libero dalla tua prima droga, tutte le scienze e le religioni, le preghiere e i vari yoga, non ti serviranno, perché sono basati su un errore, che peraltro rafforzano(1). Se invece giochi con l'idea che non sei il corpo né la mente, e neppure il loro testimone, ma completamente al di là, la mente diventerà più limpida, i desideri più puri, le azioni più pietose, e quella distillazione interiore ti porterà in un altro mondo, un mondo di verità e amore intrepido. Opponi resistenza alle vecchie abitudini della mente e del cuore, ripeti di continuo: "No, non così, non può essere, non sono questo, non mi serve, non lo voglio", e verrà il giorno in cui l'intera struttura di errore e disperazione crollerà, e il terreno sarà pronto per una vita nuova. Ricorda che le tue afflizioni esistono solo nella veglia e, in parte, nei sogni; nel sonno profondo tutto è accantonato e dimenticato. Il che mostra quanto sia irrilevante la vita di veglia, se il semplice fatto di giacere e chiudere gli occhi può interromperla. Ogni volta che vai a dormire, lo fai senza la minima certezza di risvegliarti, tuttavia corri il rischio.
I.: Quando dormite, siete cosciente o no?
M.: Resto cosciente, ma non di essere qualcuno in particolare.
I.: Potreste darci un assaggio dell'autorealizzazione?
M.: Prenditela tutta! È qui a richiesta. Ma voi non chiedete. E anche quando chiedete, non prendete. Scopri che cosa te lo impedisce.
I.: Lo so: il mio io.
M.: Allora òccupati di lui e lasciami solo. Finché sei confitto nella mente, non puoi afferrare il mio stato.
I.: Trovo che non ho più domande.
M.: Se tu fossi davvero in guerra col tuo io, avresti molte più domande. Sono poche perché non sei veramente interessato. Al momento, sei retto dal principio di piacere-dolore che è l'"io" stesso. Concordi con lui, non lo combatti. Non sei nemmeno consapevole di quanto sia totalmente dominato dalle valutazioni personali. Un uomo dovrebbe sempre ribellarsi a se stesso, perché il sé, come uno specchio deformato, restringe e distorce. È il peggiore dei tiranni, spadroneggia in modo assoluto.
I.: Quando l'"io" non c'è, chi si libera?
M.: Il mondo si libera di una grossa seccatura. Buon prò.
I.: Buon prò per chi?
M.: Per tutti. È come una corda tesa attraverso la strada, intralcia il traffico. Ma se viene arrotolata, resta lì, una mera presenza, utile quando serve. La libertà dal sé è il frutto della ricerca di sé.
I.: C'è stato un tempo in cui ero disgustato di me stesso. Poi ho incontrato un maestro, e ora sono in pace, dopo essermi arreso completamente a lui.
M.: Se osservi la tua vita giorno per giorno, ti avvedi che non ti sei arreso a un bel niente. Hai semplicemente aggiunto al tuo glossario la parola "arrendersi", e hai trasformato il maestro in un gancio al quale appendere i tuoi problemi. La vera resa significa non far nulla, a meno che non sia il maestro a ordinarlo. Ti fai da parte, per così dire, e lasci che sia il maestro a vivere la tua vita. Ti limiti a osservare, e stupisci della facilità con cui risolve problemi che a te parevano insolubili.
I.: Sto qui seduto, vedo la stanza, la gente nella stanza. E voi. Dal vostro angolo, com'è la scena? Che cosa vedete?
M.: Nulla. Guardo, ma non vedo; non creo immagini fasciate di giudizi. Non descrivo, non valuto. Guardo, vedo te, ma né l'atteggiamento né l'opinione mi coprono la vista come nuvole. E quando distolgo gli occhi, la mente non permette al ricordo d'indugiare, ma è subito libera e fresca per l'impressione successiva.
I.: Mentre sono qui, e vi guardo, non riesco a situare l'evento nello spazio e nel tempo. C'è un che di eterno e universale attorno a questa trasmissione di sapienza che si verifica qui. Diecimila anni prima o dopo, non fanno differenza: l'evento stesso è fuori del tempo.
M.: L'uomo, col passar dei secoli, è cambiato assai poco. I problemi umani restano tali e quali, ed esigono le stesse risposte. Il tuo aver coscienza qui di quello che chiami trasmissione di sapienza, mostra che la sapienza non è stata ancora trasmessa. Quando ce l'hai, non ne sei cosciente(2). Non poni mente a ciò che è veramente tuo(3). Invece sei cosciente di ciò che non è né te né tuo(4). Tuo è il potere della percezione, non ciò che percepisci. È un errore scambiare la parte conscia per tutto l'uomo. Egli è l'inconscio, la coscienza e la supercoscienza, ma tu non sei l'uomo. Tuo è lo schermo, la luce che l'illumina, e la visione, ma non sei il film.
I.: Devo mettermi in cerca del maestro o restare con chi ho trovato, chiunque egli sia?
M.: La domanda mostra che non l'hai ancora incontrato. E continuerai a muoverti da un maestro all'altro, finché non avrai trovato te stesso. A quel punto, la ricerca avrà fine. Il maestro è come una pietra miliare. In cammino, ne doppi tante! Ma quando hai raggiunto la mèta, solo l'ultima pietra è quella fatidica. In realtà tutte sono state importanti, via via che le doppiavi, e ora nessuna conta.
I.: Si direbbe che non diate alcuna importanza al maestro, come se fosse un incidente tra gli altri.
M.: Ogni incidente contribuisce, ma nessuno è cruciale. Ogni passo sulla strada ti aiuta a raggiungere la tua destinazione, e sono tutti ugualmente importanti, non puoi evitarli. Se lo fai, ti blocchi.
I.: Tutti cantano le lodi del maestro, mentre voi lo paragonate a una pietra miliare. Ma occorre o no, un maestro?
M.: E la pietra miliare ci occorre? Sì e no. Sì, se siamo incerti; no, se conosciamo la strada. Se diventiamo sicuri dentro, il maestro non serve più, tranne che in senso tecnico. La tua mente, dopotutto, è uno strumento, e dovresti sapere come usarla. Come si insegna a usare il corpo, dovresti imparare a usare la mente.
I.: Che cosa ci guadagno?
M.: La libertà dal desiderio e dalla paura, che derivano dagli usi errati della mente. Non è la conoscenza che ti trattiene. Il noto è accidentale, l'ignoto è la sede del reale. Stare nel primo, è schiavitù; nel secondo, è liberazione.
I.: Ogni disciplina spirituale vedo che consiste nell'eliminazione della persona. Occorre una determinazione di ferro e uno zelo indefesso. Dove trovare l'integrità e l'energia per un lavoro simile?
M.: In compagnia del saggio.
I.: Come faccio a sapere chi è saggio e chi semplicemente astuto?
M.: Se le tue intenzioni sono pure, se cerchi solo la verità, troverai la gente giusta. Trovarla è facile, ma è difficile fidarsene e trarre pieno vantaggio dalla loro guida.
I.: La veglia è più importante del sonno per la pratica spirituale?
M.: Senza il sonno, la veglia sarebbe impossibile: si impazzisce o si muore; ma perché diamo tanta importanza alla coscienza in stato di veglia, che ovviamente dipende dall'inconscio? Dovremmo aver cura anche dell'inconscio nella nostra pratica spirituale.
I.: E come si fa?
M.: Mantieni l'"io sono" nel fuoco della consapevolezza, ricòrdati che sei, ossèrvati incessantemente, e l'inconscio fluirà nel conscio, senza che tu faccia alcuno sforzo speciale. I desideri sbagliati, le paure, le idee false e le inibizioni sociali impediscono il mutuo scambio dell'uno con l'altro. Una volta liberi di mescolarsi, i due diventano una sola cosa, che a sua volta diventa il tutto. La persona si fonde con il testimone, questi con la consapevolezza, che a sua volta s'immerge nel puro essere, senza perdita dell'identità, ma solo delle sue limitazioni. Anzi, l'identità è trasfigurata, e diventa il vero essere, il sadguru, la guida e l'amico perenne. Non puoi accostarlo con l'adorazione. Nessuna attività esterna lo raggiunge; il culto e le preghiere restano solo alla superficie(5); per andare in profondità è essenziale meditare e scavalcare gli stati di sonno profondo, sogno e veglia. All'inizio i tentativi sono sporadici, poi frequenti e regolari, quindi continui e intensi, finché tutti gli ostacoli sono abbattuti.
I.: Ostacoli rispetto a che cosa?
M.: All'oblio di sé(6).
I.: Anche voi adorate quotidianamente l'immagine del vostro maestro con canti e musiche.
M.: Chi vuole, lo fa. Non ho motivo d'interferire.
I.: Però partecipate.
M.: Così appare. Ma perché ti occupi tanto di me? Domàndati piuttosto: "Che cosa mi fa essere cosciente?", finché la mente diventerà tutt'uno con la domanda, e non potrà pensare a nient'altro.
I.: Tutti mi esortano a meditare. Non ne sono attratto granché, mi interessano molte altre cose; alcune le desidero intensamente, e la mente corre lì; così, i miei tentativi di meditare sono fatti col cuore a metà.
M.: Domàndati: "a chi accade tutto ciò?". Usa ogni cosa come un'occasione per andare dentro. Illumina la tua via bruciando gli ostacoli nel fuoco della consapevolezza. Quando ti succede di desiderare o temere, il desiderio o la paura non sono sbagliati, né son loro a doversene andare, ma la persona che desidera o teme. Non c'è senso a combattere desideri e paure che possono essere perfettamente naturali e giustificati; è la persona che ne è motivata, la causa degli errori passati e futuri. Bisognerebbe esaminare accuratamente questa persona e vederne la falsità: allora il suo potere su di te cesserebbe. Dopotutto essa declina ogni volta che ti addormenti. Nel sonno profondo non sei una persona autocosciente, eppure sei vivo. Quando sei vivo e cosciente, ma non più autocosciente, non sei più nemmeno una persona. Durante la veglia è come se fossi su un palcoscenico, intento a recitare una parte; ma quando la commedia è finita, dove sei? Sei ciò che sei; qual eri prima che cominciasse lo spettacolo, tale rimani quando è finito. Ossèrvati come se fossi un attore sul palcoscenico della vita. Lo spettacolo può essere splendido o brutto, ma tu non ci sei dentro, ti limiti a osservarlo; con interesse e simpatia, naturalmente, ma senza mai dimenticare che sei solo uno spettatore.
I.: Sottolineate sempre l'aspetto conoscitivo della realtà. La sensibilità e la volontà quasi mai.
M.: Volontà, affezione, beatitudine: tendere e godere, sono così profondamente intrisi di ciò che è personale, che è meglio non farne conto. Solo la consapevolezza può dare il discernimento e la purificazione necessari all'inizio del viaggio. Verrà il turno dell'amore e della volontà, ma occorre preparare il terreno. Prima deve sorgere il sole della consapevolezza(7); tutto il resto seguirà.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione

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