I.: In che modo vi siete realizzato?
M.: In un certo senso nel mio caso è stato molto semplice e facile. Prima di morire, il maestro mi disse: "Credimi, tu sei la Realtà Suprema. Non dubitare delle mie parole, non rifiutarti di credermi. Ti dico la verità: agisci in base ad essa". Non potei dimenticare le Sue parole: e poiché non le ho dimenticate, mi sono realizzato.
I.: Ma che cosa avete fatto in concreto?
M.: Niente di speciale. Ho vissuto la mia vita, badando al commercio e alla famiglia: e appena avevo un momento libero, lo spendevo a ricordare il maestro e le sue parole. Morì poco dopo. Mi restò solo il ricordo. Ma è bastato.
I.: La sua grazia e il suo potere avranno agito su di voi.
M.: Le sue parole erano vere e perciò si sono avverate. Le parole vere si avverano sempre. Il maestro non fece nulla; furono le Sue parole ad agire. Tutto ciò che facevo, veniva spontaneamente, inaspettatamente da dentro.
I.: Il maestro iniziò un processo senza prendervi parte?
M.: Mettila come vuoi. Le cose accadono. Chi può dire perché e come? Non feci nulla deliberatamente. Tutto è venuto da sé: il desiderio di lasciarmi andare, di essere solo, di penetrare.
I.: Non c'è stato alcun tipo di sforzo?
M.: No, e anche se ti è difficile crederlo, non ero nemmeno ansioso di realizzarmi. Il maestro mi disse che ero il Supremo, e morì poco dopo. Non potevo non credergli. Il resto è successo da sé. Vedevo che stavo cambiando: questo è tutto. Ero meravigliato, ma sorse in me un desiderio di verificare le Sue parole. Ero così sicuro che non c'era alcuna possibilità che mi avesse mentito, che sentii che dovevo attuare in pieno il significato delle Sue parole o piuttosto morire. Mi sentivo assolutamente deciso, ma non sapevo che fare. Per ore pensavo a Lui e alla Sua rivelazione, senza elucubrare, ma solo rievocandola.
I.: E poi? In che modo avete scoperto di essere il Supremo?
M.: Nessuno me l'ha detto a parole, né l'ho appreso dall'interno(1). In effetti, c'è stato un tempo, all'inizio, quando facevo degli sforzi, in cui ho vissuto delle strane esperienze: vedevo luci, udivo voci, incontravo dei e dee e conversavo con loro. Appena il maestro disse: "Tu sei la Realtà Suprema", estasi e visioni cessarono, e divenni molto quieto, ritornai semplice. Vidi che i desideri e le conoscenze si assottigliavano, fin quando scoprii stupefatto: "Non so, non desidero nulla".
I.: Fu una vera scoperta, o un adeguamento all'immagine del realizzato, fornitavi dal maestro?
M.: Il maestro non mi fornì alcuna immagine, né io ne avevo. Non mi disse mai che cosa aspettarmi.
I.: Sentite che possono accadervi altre cose, o che siete alla fine del viaggio?
M.: Non c'è mai stato un viaggio. Sono come sono sempre stato.
I.: Qual era la Realtà che avreste colto?
M.: Sono stato disingannato, niente di più. Creavo dei mondi, li popolavo; ora ho smesso.
I.: Allora, in che mondo vivete?
M.: Nel vuoto, oltre l'essere e il non essere, al di là della coscienza. Ma è un vuoto pieno; non compatirmi. Sono come uno che dice: "Ho finito, non mi resta nulla da fare"(2).
I.: Però vi siete realizzato. Cioè, qualcosa vi è successo a un dato momento. Raccontate!
M.: La mente cessò di produrre gli eventi. La ricerca antica, che mi aveva assorbito, si arrestò - non volevo, non mi aspettavo più nulla; e niente riconoscevo come mio -. Nessun "io" sopravviveva, per cui lottare. Anche il nudo "io sono" dileguò. Poi notai che tutte le certezze abituali erano scomparse. Prima ero sicuro di moltissime cose, ora è il contrario.
Sento altresì che col non sapere non ho perso nulla, perché la mia conoscenza era falsa. Il non sapere mi ha mostrato che tutta la conoscenza è un'ignoranza, che "non so" è l'unica verità(3). Ad esempio, esamina l'affermazione: "sono nato". Ti sembra veridica, non lo è. Non sei nato, né morirai(4). L'idea è nata e morirà, non tu. Identificandoti con essa divieni mortale. Come nel film tutto è luce, così la coscienza diventa il mondo. Guarda dappresso, e scoprirai che tutti i nomi e le forme sono onde che s'avvicendano nell'oceano della coscienza; solo della coscienza puoi dire che è, non delle sue trasformazioni.
Nell'immensità della coscienza appare una luce, un puntolino che si sposta fulmineo e traccia forme, assembra pensieri e sentimenti, concetti e idee, come la penna sul foglio. L'inchiostro che segna è la memoria. Tu sei quel puntolino, e grazie al tuo movimento il mondo continuamente si ricrea. Smetti di muoverti; e non ci sarà alcun mondo. Va' dentro, e vedrai che il puntino è il riflesso nel corpo dell'immensità luminosa: l'"io sono". Solo la luce è, tutto il resto appare.
I.: Conoscete quella luce? L'avete vista?
M.: Alla mente appare come un'oscurità(5). La si può conoscere solo attraverso i suoi riflessi. Tutto è visibile di giorno - tranne la luce -.
I.: La vostra e la mia mente sono simili?
M.: Come potrebbero? Tu hai la tua mente personale, intessuta di ricordi, legati insieme dai desideri e dalle paure. Io non ho una mente mia; ciò che ho bisogno di sapere, l'universo mi offre come il cibo che mangio.
I.: Sapete tutto quello che volete sapere?
M.: Non c'è nulla che voglia sapere. Ma ciò che mi serve, vengo a saperlo.
I.: Questa conoscenza vi viene dall'interno o dall'esterno?
M.: Il mio interno è fuori e il mio esterno è dentro. Posso prendere da te la conoscenza che mi occorre al momento, ma tu non sei separato da me.
I.: Che cos'è il turiya, il quarto stato, di cui si parla?
M.: Turiya è quando sei il punto luminoso che traccia il mondo. Essere la luce stessa è turiyatita. Ma a che ti servono i nomi, quando la realtà è così prossima?
I.: C'è progresso in voi? Rispetto a chi eravate, notate un cambiamento? La vostra visione della realtà è diventata più ampia, più profonda?
M.: La realtà è sia immobile che in movimento. È come un fiume: fluisce, ma è sempre lì. Non è il fiume a scorrere con il letto e le rive, ma le acque; allo stesso modo il sattva guna, l'armonia universale, s'incontra e si scontra col tamas e il rajas, le forze dell'oscurità e della passione. Nel sattva preponderano il cambiamento e il progresso, nel rajas il cambiamento e il regresso, mentre il tamas è solo caos. I tre Guna si contrastano eternamente: è un fatto, e coi fatti non si discute.
I.: Sarò sempre torbido per influsso del tamas, e appassionato a causa del rajas? E come agisce il sattva?
M.: Il sattva è l'irradiazione della tua vera natura. Lo trovi oltre la mente e i suoi molti mondi. Ma se desideri un mondo, devi accettare i tre guna come inseparabili: materia-energia-vita sono indistinti nella sostanza, distinti in apparenza. Mescolati e fluenti nella coscienza. Nello spazio-tempo c'è un'eterna vicenda di nascita e morte, progresso e regresso, spinte innanzi e spinte indietro: apparentemente senza inizio e senza fine, qual è la realtà: eterna, immutabile, incorporea, non mentale, tutta consapevolezza e beatitudine.
I.: Secondo voi, la coscienza racchiude tutto. Il mondo è molteplice - dal granello di sabbia alla stella -. In che modo tutte le cose sono presenti nella coscienza?
M.: Ai limiti estremi della coscienza, incomincia la materia. Una cosa è una forma di essere che non comprendiamo. Non cambia: è sempre la stessa; appare come se stesse lì per virtù propria, qualcosa di strano e di alieno. È certo nella coscienza (chitta), ma a causa della sua apparente immutabilità, sembra che ne sia fuori. Il fondamento delle cose è nella memoria: senza la memoria mancherebbe il riconoscimento. Creazione-riflessione-rigetto: Brahma-Vishnu-Shiva, questo è il processo eterno che governa il tutto.
I.: Non c'è via d'uscita?
M.: La mostro continuamente: l'Uno include i Tre, tu sei l'Uno, e sarai liberato dal processo del mondo.
I.: Che cosa accadrà, allora, alla mia coscienza?
M.: Alla creazione segue la riflessione e il rispecchiamento, e infine l'abbandono e l'oblio. La coscienza resta, ma in uno stato di quiete latente.
I.: E che ne è del senso dell'identità?
M.: Inerente com'è alla realtà, l'identità non cessa mai. Ma essa non è né la personalità momentanea (vyakti) né l'individualità vincolata al karma (vyakta), bensì quello che resta quando ogni auto-identificazione è scomparsa: pura coscienza, il senso di essere tutto ciò che è o potrebbe essere. All'inizio e alla fine la coscienza è pura; nel suo corso intermedio è contaminata dall'immaginazione che è alla radice della creazione. Ma in tutte le fasi rimane identica. Conoscerla per ciò che è, sia quando è pura che quando è oscurata, è la realizzazione - e la pace perenne -.
I.: L'" io sono" è reale o irreale?
M.: Irreale quando diciamo: "sono questo, sono quello". Reale, quando riconosciamo: "non sono né questo né quello".
Il conoscitore va e viene assieme al conosciuto, dunque è nel tempo; ma colui che sa di non sapere e che è libero dal ricordo e dall'anticipazione, è fuori del tempo.
I.: L'"io sono" è il testimone, o l'uno è distinto dall'altro?
M.: Senza l'uno non c'è l'altro. Tuttavia non coincidono. È come il fiore e il suo colore. Senza il fiore, niente colori; senza i colori, non vedi il fiore. Al di là, c'è la luce che crea il colore a contatto del fiore. Ricorda: la tua vera natura è pura luce soltanto(6), mentre il percepito e il percettore, come vengono, se ne vanno. Ciò che li fa esistere, senza essere alcuno dei due, è il vero te stesso, che non è "questo" o "quello", ma pura consapevolezza. Quando la consapevolezza si volge su se stessa, hai la sensazione di non conoscere. Quando si volge all'esterno, i conoscibili affiorano. Dire "conosco me stesso" è una contraddizione, perché ciò che è "conosciuto" non può essere il "me stesso"(7).
I.: Se il sé rimane ignoto, che cosa si coglie nell'autorealizzazione?
M.: Sapere che il conosciuto non può essere me o il mio, è già una liberazione. Ma c'è una fonte, profonda e inesauribile, da cui sgorgano la libertà dall'auto-identificazione con l'insieme dei ricordi e delle abitudini, lo stupore di fronte all'infinita portata dell'essere nella sua inesauribile creatività e trascendenza, l'assoluta impavidità che nasce dalla scoperta della natura illusoria ed effimera di ogni modalità della coscienza. Riconoscere la fonte come fonte, l'apparenza come apparenza, e se stessi come la fonte, coincide con l'autorealizzazione(8).
I.: Da che parte sta il testimone? È reale o irreale?
M.: Nessuno può dire: "sono il testimone". L'"io sono" è sempre il testimoniato. La consapevolezza distaccata è lo stato di "coscienza testimoniante", di "mente-specchio". Perché sorge e tramonta col suo oggetto, non è pienamente reale. Tuttavia è anche reale, perché quale che sia l'oggetto, resta invariata. E, data la sua doppia natura, sia reale che irreale, è il ponte tra i due.
I.: Se l'"io sono" è ciò cui tutto accade, e se è allo stesso tempo il conosciuto, il conoscitore e la conoscenza, a che serve il testimone?
M.: A nulla.
I.: Allora perché ne parliamo?
M.: Perché c'è. Il ponte serve solo per attraversare. Non vi si costruiscono case. L'"io sono" guarda le cose, il testimone le vede attraverso: come sono: transitorie e irreali. Dire "non io, non mio", è il compito del testimone.
I.: Il non-manifestato (nirguna) si rappresenta per mezzo del manifestato (saguna)?
M.: Il non-manifestato non si rappresenta. Nulla di manifestato può rappresentare il non-manifestato.
I.: Allora perché ne parlate?
M.: Perché è il mio luogo natale.