76. 6 Novembre 1971




M.: C'è il corpo. All'interno è presente un osservatore, e all'esterno un osservato: il mondo. I tre appaiono e scompaiono insieme. Oltre c'è il vuoto, che è uno per tutti.
I.: Semplice, si direbbe, ma per chi? Parlate di tre mondi, e del vuoto al di là. Io vedo un solo mondo, che include tutto.
M.: Anche l'"io sono".
I.: Sì. L'"io sono" c'è, perché c'è il mondo.
M.: E viceversa.
I.: Appunto. Funziona nei due sensi. L'"io sono" e il mondo non si possono separare, né oltrepassare. Non posso dire che una cosa è o non è, se non ne faccio esperienza. Che tipo di coscienza è la vostra, che vi fa parlare con tanta sicurezza?
M.: Mi conosco per ciò che sono: senza tempo, senza spazio, senza causa. Tu non lo sai; sei assorto in altre cose.
I.: Perché?
M.: Perché sei interessato.
I.: A che cosa?
M.: Alla paura del dolore, al desiderio del piacere. Piacevole è la fine del dolore, e dolorosa quella del piacere. Ruotano e si avvicendano senza sosta. Guarda a fondo nel circolo vizioso finché ne sarai fuori.
I.: Non occorre per questo la vostra grazia?
M.: La grazia della tua Realtà Interiore è con te, al di là del tempo. Il fatto stesso che la invochi, è un segno che è in te. Non preoccuparti della mia grazia, ma fa' ciò che ti viene detto. La prova della serietà è l'azione, non l'attesa della grazia(1).
I.: In che cosa devo essere serio?
M.: Esamina tutto ciò che attraversa il tuo campo di attenzione. Con la pratica il campo si allargherà e l'indagine si approfondirà, finché diverranno spontanei e illimitati.
I.: Ma se la realizzazione è il risultato di una pratica, e se questa può solo avvenire nei limiti dell'esistenza fisica, come può far attingere l'illimitato?
M.: Naturalmente non può esserci un rapporto causale tra la pratica e la saggezza. Ma gli ostacoli alla saggezza sono profondamente influenzati dalla pratica.
I.: Quali sono questi ostacoli?
M.: Le idee sbagliate e i desideri che portano ad azioni sbagliate, causando la dissipazione e la debolezza della mente e del corpo. La scoperta e l'abbandono del falso nella mente, rimuovono ciò che impedisce al reale di entrarvi(2).
I.: Due stati nella mente sembrano sorgere e tramontare insieme. Il primo è: l'"io sono"; l'altro è: "c'è il mondo". L'opinione comune è: "io sono perché c'è il mondo". Invece secondo voi: "il mondo c'è perché io sono". Quale dei due è vero?
M.: Nessuno dei due, perché sono il medesimo stato, nello spazio e nel tempo. Al di là, c'è il senza-tempo.
I.: Qual è la connessione tra il tempo e il senza-tempo?
M.: Il senza-tempo conosce il tempo. Il tempo non conosce il senza-tempo. Poiché la coscienza è interamente nel tempo, il senza-tempo le appare non cosciente, tuttavia è ciò che la rende possibile. La luce brilla nel buio. In piena luce non c'è buio. Oppure puoi dire: nell'oceano infinito di luce appaiono nuvole di coscienza - scure e delimitate, evidenti per il contrasto -. Come vedi, sono tutti tentativi di spiegare una cosa semplicissima, ma ineffabile.
I.: Le parole dovrebbero servire da ponte.
M.: Le parole riflettono uno stato della mente, non la realtà. Le due rive, il fiume, e il ponte che l'attraversa, sono nella mente. Le parole, da sole, non possono portarti al di là. Deve esserci un'immensa sete di verità, o una fede assoluta nel maestro. Credimi, non c'è obiettivo, né strada per raggiungerlo(3). Tu sei la strada e l'obiettivo, non hai altro da raggiungere che te stesso(4). Basta comprendere, e la comprensione è la fioritura della mente. L'albero è perenne, ma i fiori e i frutti sono di stagione. Le stagioni cambiano, non l'albero. Tu sei l'albero. L'hai accresciuto via via d'innumerevoli rami e foglie, e potrai ingrandirlo in avvenire: ma tu resti. Non devi conoscere ciò che era o sarà, ma ciò che è. Tuo è il desiderio che crea l'universo. Vedi il mondo come la tua creazione e sii libero.
I.: Secondo voi il mondo sarebbe figlio dell'amore. Con tutti gli orrori di cui è pieno, le guerre, i campi di concentramento, gli sfruttamenti inumani, come posso ritenerlo creato da me? Nonostante i miei difetti, non posso aver fatto una cosa così crudele.
M.: Scopri colui al quale si mostra questo mondo crudele, e saprai perché appare così. Le tue domande sono legittime, ma non c'è modo di rispondere se non sai di chi è il mondo. Per conoscere il significato di una cosa, devi chiederlo all'artefice. Te l'ho detto: tu sei l'artefice del mondo in cui vivi: e tu solo puoi cambiarlo e disfarlo.
I.: Come potete sostenere che il mondo l'ho fatto io? A malapena lo conosco.
M.: Non c'è nulla al mondo che tu non possa conoscere se conosci te stesso(5). Se credi di essere il corpo, il mondo ti appare una collezione di cose materiali. Quando ti vedi come il centro della coscienza, il mondo ti si svela come l'oceano della mente. Se ti conosci come sei in realtà, conosci il mondo come te stesso.
I.: Suona tutto molto bello, ma non risponde alla mia domanda: perché c'è tanta sofferenza nel mondo?
M.: Se ti fai da parte, intento solo a osservare, non soffri più(6). Vedi il mondo come uno spettacolo, in verità molto divertente.
I.: Oh, no! Respingo questa teoria del lila, il gioco cosmico. La sofferenza è troppo acuta e universale. Che perversione: divertirsi a uno spettacolo di dolore! Che Dio crudele mi offrite!
M.: La sofferenza proviene dall'identificazione del percettore con la cosa percepita. Ne deriva il desiderio, e con esso il cieco agire, incurante dei risultati. Guardati intorno: la sofferenza è una cosa inventata dall'uomo.
I.: Se l'uomo creasse solo i suoi dispiaceri, potrei essere d'accordo. Ma nella sua aberrazione fa soffrire gli altri. Un sognatore ha incubi tutti suoi, e nessun altro è ossessionato. Ma che genere di sogno è quello che distrugge le vite degli altri?
M.: Le descrizioni sono tante e contraddittorie. La realtà è semplice: tutto è uno, l'armonia è la legge eterna, nessuno impone il dolore. Le parole ti tradiscono solo quando cerchi di descrivere e di spiegare a tutti i costi.
I.: Ricordo che Gandhi una volta mi disse che il sé non è soggetto alla legge della non-violenza (ahimsa), ed è libero di imporre la sofferenza alle sue espressioni, se serve a raddrizzarle. Come un correttore emenda e cancella senza pietà, così il Sé priva la sua personalità di ciò che è indesiderabile, e la costringe a obbedire e a fare ciò che deve.
M.: Sul piano della dualità può essere così, ma nella realtà c'è solo la fonte, oscura in sé, che tutto illumina. Non percepita, non sentita, non pensabile, causa la percezione, la sensazione, il pensiero(7). Non esistente, dà la vita. È lo sfondo immobile del movimento(8). Quando la raggiungi, sei a casa ovunque.
I.: Se io sono tutto questo, che cosa mi fa nascere?
M.: Il ricordo dei desideri insoddisfatti intrappola l'energia che si manifesta come persona. Quando la sua carica è estinta, la persona muore. I desideri insoddisfatti sono trasferiti alla nascita successiva. L'identificazione con il corpo rinnova i desideri, e non c'è fine ad essi finché non si riconosce questo meccanismo di schiavitù. Solo la chiarezza libera, perché mette a nudo le cause e gli effetti del desiderio. Non dico che rinasce la persona di prima: essa muore davvero. Ma i suoi ricordi sopravvivono insieme ai desideri e alle paure. Son questi che danno l'energia per formare la nuova persona. Il reale non vi partecipa, ma lo rende materialmente possibile.
I.: La mia difficoltà è questa. Ogni esperienza, ai miei occhi, è reale in sé e per sé. Una volta vissuta, è acquisita. Non appena l'analizzo e mi chiedo chi l'ha vissuta, chi è l'osservatore e così via, l'esperienza è già passata, e tutto ciò su cui posso indagare è solo il ricordo, non l'attimo presente - l'ora -. La mia consapevolezza è del passato, non del presente. Quando sono consapevole, non sto veramente in ciò che è ora, ma rivivo un fatto trascorso. Può esserci una consapevolezza del presente?
M.: Non hai descritto la consapevolezza, ma solo il pensiero di un'esperienza. La vera consapevolezza (samvid) è uno stato di pura testimonianza, senza il minimo tentativo d'intervento sul fatto testimoniato. Può anche darsi che i tuoi pensieri e sentimenti, parole e azioni, siano parte dell'evento; ma tu sei fuori, indifferente e attento, nella piena luce della chiarezza e della comprensione. Segui perfettamente quello che accade perché non ti tocca(9). Può sembrare una posa di freddo distacco, non è così. Quando ci sei dentro, ti accorgi di amare ciò che vedi, comunque sia. Questo amore senza scelta è la pietra di paragone della consapevolezza. Se non c'è, il tuo è un semplice interesse dettato da ragioni personali(10).
I.: Finché durano dolore e piacere, l'interesse è inevitabile.
M.: Durano finché ne hai coscienza, né puoi combatterli. Per superarli, devi oltrepassare la coscienza, cioè contemplarla come una cosa che accade a te, ma non è in te: estranea, esterna, sovrapposta. Allora, all'improvviso, sei libero, solo, senza intromissioni. E quello è il tuo stato reale. La coscienza è un'eruzione che prude, e ti costringe a grattarti. Naturalmente, non puoi uscire dalla coscienza, perché l'idea stessa di uscire appartiene alla coscienza. Ma se impari a guardarla come una specie di alterazione, tutta tua, in cui sei confitto come un pulcino nel guscio, da questo atteggiamento verrà la crisi che romperà il guscio.
I.: Il Buddha disse che la vita è dolore.
M.: Intendeva che tutta la coscienza è dolorosa, il che è ovvio.
I.: E la morte libera?
M.: Chi si crede nato teme molto la morte. Per chi si conosce, è un lieto evento.
I.: Secondo la tradizione indù, è il destino che traina la sofferenza, e il destino è meritato. Basta considerare le immense calamità naturali, inondazioni, terremoti, o quelle provocate dall'uomo, guerre e rivoluzioni. Dobbiamo pensare che ognuno soffra di peccati di cui non ha la minima idea? I miliardi di persone che soffrono, sono tutti criminali giustamente puniti?
M.: Perché dovremmo soffrire di peccati personali? Siamo davvero separati? In questo vasto oceano soffriamo dei peccati di tutti, nostri e degli altri. Naturalmente, la legge dell'equilibrio regna suprema, e i conti alla fine quadrano. Ma finché siamo vivi, ci influenziamo profondamente l'un l'altro.
I.: Come dice il poeta: "Nessun uomo è un'isola".
M.: Dietro ogni esperienza c'è il Sé e il suo interesse per l'esperienza. Chiamalo desiderio o amore - le parole non contano -.
I.: Posso desiderare la sofferenza? Invocare deliberatamente il dolore? Sono come un uomo che si prepara un letto morbido sperando in un sonno tranquillo, e viene visitato da un incubo, si agita e grida nel sonno. Non è certo l'amore che produce gli incubi.
M.: Ogni sofferenza è causata dall'isolamento egocentrico, dalla ristrettezza mentale e dall'avidità. Quando la causa della sofferenza è riconosciuta e rimossa, la sofferenza cessa.
I.: Posso eliminare le cause del mio dolore, ma gli altri continuano a soffrire.
M.: Per capire la sofferenza devi trascendere il dolore e il piacere. I tuoi stessi desideri e paure t'impediscono di capire e perciò di aiutare gli altri. In realtà non ci sono altri, e aiutando te stesso aiuti tutti. Se davvero sei sensibile alle sofferenze del genere umano, devi perfezionare il tuo unico mezzo d'aiuto: te stesso.
I.: Continuate a dire che io sono il creatore, il preservatore e il distruttore di questo mondo, onnipresente, onnisciente, onnipotente. Quando ci penso, mi domando: "Come mai c'è tanto male nel mio mondo?".
M.: Non c'è il male, né il dolore: la gioia di vivere trabocca. Guarda come tutto si attacca alla vita, com'è cara l'esistenza!
I.: Sullo schermo della mente le immagini si susseguono senza fine. Non c'è nulla di permanente in me.
M.: Ossèrvati meglio. Lo schermo è lì. La luce brilla. Solo la pellicola si svolge, e fa apparire le immagini. La pellicola puoi chiamarla: destino (prarabdha).
I.: Che cosa crea il destino?
M.: L'ignoranza causa l'inevitabilità.
I.: Ignoranza di che?
M.: In primo luogo di te stesso. E poi della vera natura delle cose, delle loro cause ed effetti. Ti guardi intorno senza capire, e scambi le apparenze per la realtà. Credi di conoscere il mondo e te stesso; ma è l'ignoranza che ti fa dire: so(11). Comincia con l'ammettere che non sai e parti di lì.
Non c'è nulla che possa aiutare il mondo più che il tuo fugare l'ignoranza. La tua stessa esistenza è aiuto, con o senza l'azione.
I.: Il riconoscimento dell'ignoranza non presuppone la conoscenza?
M.: Giusto. Il fatto stesso di ammettere: sono ignorante, risveglia la conoscenza. Ignorante è uno che ignora di esserlo. Si può dire che l'ignoranza non esista, perché dilegua non appena la scorgi. Perciò puoi anche definirla incoscienza o cecità. Tutto quello che vedi attorno e dentro di te è ciò che non sai e non capisci, senza nemmeno sapere che non sai e non capisci. Sapere di non sapere e di non capire è la vera conoscenza, quella di un cuore umile.
I.: Sì, il Cristo disse: beati i poveri in ispirito...
M.: Comunque sia, il fatto è che la conoscenza è solo dell'ignoranza. Sai di non sapere.
I.: Finirà mai l'ignoranza?
M.: Che c'è di male a non sapere? Non è necessario sapere tutto. Basta sapere quel che ti occorre. Il resto può badare a se stesso senza di te. Ciò che conta è che non ci sia conflitto tra il conscio e l'inconscio, che ci sia integrazione a tutti i livelli. Conoscere non è così importante.
I.: Psicologicamente parlando, sarà vero. Ma quando si tratta di conoscere gli altri e il mondo, sapere che non so non mi è di grande aiuto.
M.: Quando tu ti sia integrato interiormente, la conoscenza esterna viene da sé. In ogni momento della vita sai quel che ti occorre. L'oceano della mente universale racchiude tutta la conoscenza: è tua a richiesta. Può darsi che gran parte di essa non ti servirà mai: è tua lo stesso.
Come per la conoscenza, così è per il potere.
Tutto ciò che senti necessario fare, avviene infallibilmente. Dio, senza dubbio, bada a dirigere l'universo: ma è felice di ricevere aiuto. Quando l'aiutante è altruista e intelligente, tutti i poteri dell'universo sono al suo comando(12).
I.: Anche quelli ciechi della natura?
M.: Non ci sono poteri ciechi. La coscienza è potere. Sii consapevole di ciò che va fatto, e accadrà(13). Sii quieto e all'erta. Una volta raggiunta la destinazione, e consapevole di come sei, la tua esistenza diventa una benedizione per tutti. Può darsi che né tu né gli altri lo sappiate, ma l'aiuto s'irradia. Ci sono esseri al mondo che giovano più di tutti gli uomini di stato e i filantropi messi insieme. Irradiano luce e pace senza intenzione o un'apposita conoscenza. Quando si dice loro dei miracoli che hanno prodotto, sono i primi a stupirsi. Ma poiché niente ritengono proprio, non sono orgogliosi, né avidi di reputazione. Sono semplicemente incapaci di desiderare per sé, nemmeno la gioia di aiutare gli altri. Sanno che Dio è buono e sono in pace.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione

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