24. 15 Agosto 1970




I.: Alcuni illuminati sostengono che il mondo non è accidentale né un gioco di Dio, ma il risultato e l'espressione di un disegno che prevede il risveglio e lo sviluppo della coscienza attraverso l'universo. Dalla immobilità alla vita, dalla non-coscienza alla coscienza, dal torpore all'intelligenza, dall'oscurità alla chiarezza: questa è la direzione verso cui muove il mondo. Ci sono periodi di pausa e di buio apparente, quando l'universo sembra nel sonno, ma il ciclo si colma e l'opera sulla coscienza è restaurata. Dal nostro punto di vista il mondo è un luogo di sofferenza, da fuggire al più presto e con ogni mezzo; per coloro che credono in questo, il mondo sarebbe buono perché assolverebbe a uno scopo buono. Essi non negano che il mondo sia una struttura mentale e che in ultima analisi tutto sia uno, ma vedono e credono che la struttura abbia un significato e che serva a un fine altamente desiderabile. La cosiddetta volontà di Dio non sarebbe il gioco di un potere capriccioso, ma l'espressione dell'assoluta necessità di crescere nell'amore, nella sapienza e nel potere, e di porre in atto le infinite potenzialità della vita e della coscienza.
Come il giardiniere coltiva i fiori seguendone tutte le fasi dello sviluppo dal seme alla piena fioritura, così Dio coltiva nei suoi giardini - tra le altre creature - uomini eccezionali, che amano e operano insieme a Lui.
Nella fase di quiete (pralaya), quelli la cui crescita non si è compiuta diventano per qualche tempo incoscienti, mentre i perfetti, che hanno trasceso le forme e i contenuti della coscienza, restano consapevoli del silenzio universale. Quando subentra un nuovo ciclo, i dormienti si levano e la loro opera incomincia. I più avanzati si risvegliano e preparano il terreno per gli altri, i quali trovano condizioni e modelli di condotta capaci di farli avanzare.
Così va la storia. La differenza col vostro insegnamento è che voi sostenete che il mondo non sia buono e vada fuggito. Mentre, secondo altri illuminati, il disgusto per il mondo, benché giustificato e necessario, dovrebbe essere uno stadio passeggero, presto sostituito da un amore sconfinato e dalla ferma volontà di operare con Dio.
M.: Mi sembra tutto giusto nel senso di andata, ma nella direzione di ritorno domina il puro nulla(1). La mia dimora è lì, le parole e i pensieri non lo raggiungono(2).
La mente è ancora avvolta nella tenebra e nel silenzio. Poi la coscienza incomincia a incresparsi e a riscuotere la mente (chidakash), che proietta il mondo (madhakash) come un impasto di memoria e immaginazione. Una volta che il mondo abbia preso forma, la tua versione è attendibile. È nella natura della mente immaginare scopi, lottare per raggiungerli, individuare i mezzi, utilizzare prospettive, energia e coraggio. Sono attributi divini, e non li nego. Ma il mio punto originario è dove non c'è differenza(3), dove le cose non sono(4), né le menti che le concepiscono. Quella è la mia dimora. Qualunque cosa accada, non mi turba: tutto agisce da sé. Libero dal ricordo e dall'attesa, sono fresco, innocente, e il mio cuore trabocca. La mente è il grande artigiano (mahakarta), e ha bisogno di riposo. Nulla le occorre. Io non temo, non ho niente da temere. Il tuo e il mio sé non sono separati, c'è un Sé unico, la Somma Realtà, in cui il personale e l'impersonale si confondono.
I.: Vorrei aiutare il mondo.
M.: E chi dice che non puoi? Hai sintonizzato la mente sull'idea dell'urgenza dell'aiuto, alimentando dentro di te il conflitto tra dovere e potere, urgenza, necessità e capacità.
I.: Perché succede?
M.: La tua mente proietta una struttura, con la quale ti identifichi. È nella natura del desiderio di stimolare la mente a creare un mondo per la sua soddisfazione. Se anche un piccolo desiderio basta a promuovere una linea d'azione, immagina quanto possa un desiderio fortissimo. I suoi poteri sono prodigiosi: può creare un universo. Come un solo fiammifero basta a incendiare una foresta, così un desiderio innesca i fuochi della manifestazione. Il desiderio può essere nobile o ignobile. Lo spazio (akash), in cui si proietta, è neutro: puoi riempirlo con ciò che vuoi. Devi andare cauto su ciò che desideri, e, quanto all'aiutare gli altri, considera che ognuno sta nel mondo che gli spetta a causa dei suoi desideri, e che non c'è altro modo di aiutare gli uomini se non attraverso i loro desideri. Puoi solo insegnar loro a rettificarli, così che arrivino a sollevarsi al di sopra di essi, e a liberarsi dal bisogno di creare e ricreare mondi di desiderio, in cui soffrire e gioire.
I.: Ma viene il giorno in cui lo spettacolo è finito; l'uomo e l'universo devono finire.
M.: Come il dormiente cade nell'oblio e si desta a un nuovo mattino, o morendo si affaccia a una nuova vita, così i mondi del desiderio e della paura si addensano e dissolvono. Ma il testimone universale, il Sommo Sé, non dorme e non muore. Il grande Cuore batte in eterno, e ad ogni battito emerge un nuovo mondo.
I.: Ha coscienza?
M.: È al di là di tutto ciò che la mente concepisce. Oltre l'essere e il non-essere. È il Sì e il No a tutto, dentro e al di là, creante e distruggente, incredibilmente reale.
I.: Dio e l'illuminato sono distinti, o un'unica realtà?
M.: Tutt'uno.
I.: Ci sarà una differenza.
M.: Dio è la massima espressione dell'agire; l'illuminato, del non-agire(5). Dio non ha bisogno di dire "Faccio tutto", perché le cose Gli accadono naturalmente. Per l'illuminato, tutto è opera di Dio; tra Dio e la natura non vede diversità. Sia Dio che l'illuminato si vedono come il centro immobile del movimento, il perpetuo testimone di ciò che è soggetto al tempo. Il centro è un punto vuoto; il testimone, un punto di pura consapevolezza: sanno di essere niente, perciò niente può loro resistere.
I.: Lo si può provare di persona?
M.: Poiché non sono, sono tutto. Tutto è me, e mio. Come il mio corpo scatta al primo accenno di un pensiero di movimento, così le cose accadono non appena le pensi(6). Bada, però: non è un mio fare, io non faccio, le vedo semplicemente accadere(7).
I.: Accadono come voi volete, o siete voi a volere che accadano come accadono?
M.: L'uno e l'altro. Accetto e vengo accettato. Sono tutto e tutto è me. Poiché sono il mondo, non lo temo. Essendo tutto, di che temere(8)? L'acqua non ha paura dell'acqua, né il fuoco del fuoco. E poi, non ho paura perché mi mancano le condizioni per avvertirla o sentirmi in pericolo. Non ho un nome, né una forma. È l'attaccamento al nome e alla forma ciò che alimenta la paura. Io non conosco attaccamento, non sono e non temo nulla. Al contrario, tutto ha paura del Nulla, perché non appena una cosa tocca il Nulla, lo diventa. È come un pozzo senza fondo, tutto quello che vi cade sparisce.
I.: Dio è una persona?
M.: Finché ti ritieni una persona, anch'Egli lo è. Quando tutto è te, vedi Lui come il tutto.
I.: Posso modificare i fatti, cambiando atteggiamento?
M.: L'atteggiamento è il fatto. Prendi l'ira. Posso essere furioso, misurando la stanza in su e in giù; allo stesso tempo so chi sono, un centro di saggezza e di amore, un atomo di pura esistenza. Tutto cessa, e la mente s'immerge nel silenzio(9).
I.: Eppure eravate adirato.
M.: Con chi devo adirarmi e perché? C'era l'ira, e si è dissolta non appena mi sono ricordato di me. È tutto un gioco tra qualità (guna) della materia cosmica. Quando m'identifico con esse, divento il loro schiavo. Se sto in disparte, sono il loro signore.
I.: Potete influenzare il mondo col vostro atteggiamento? Se vi staccate dal mondo, perdete ogni speranza di aiutarlo.
M.: Tutto è me: come posso aiutarmi? Non m'identifico con nessuno in particolare perché sono tutto: il particolare e l'universale.
I.: Potete aiutare me, una persona particolare?
M.: Dall'interno, ti aiuto sempre. Il mio e il tuo sé sono tutt'uno(10). Io lo so, tu no. Questa è l'unica differenza; ma è temporanea.
I.: Come potete aiutare il mondo intero?
M.: Gandhi è morto, eppure la sua mente pervade la terra. Il pensiero di un savio pervade l'umanità e opera incessantemente per il bene. Anonimo e interiorizzato com'è, egli ha il massimo del potere di trasformazione. È così che il mondo si perfeziona; l'interno sostiene e benedice l'esterno. Quando un saggio muore, si estingue come il fiume che si mescola al mare: nome e forma sono disciolti, ma l'acqua è sempre, e diventa l'oceano(11). Quando un saggio raggiunge la mente universale, la sua bontà e saggezza diventano patrimonio dell'umanità e migliorano ogni creatura.
I.: Teniamo alla personalità. Diamo grande importanza alla nostra individualità. Per voi, sono inutili ambedue. Ma che ve ne fate della vostra realtà non-manifestata?
M.: Non-manifestato, manifestato, individualità, personalità (nirguna. saguna, vyakta, vyakti), sono parole, punti di vista, atteggiamenti mentali irreali. Il reale si vive in silenzio. Sei attaccato alla tua personalità: ma la coscienza di essere una persona ti affiora solo quando sei nei guai, altrimenti non ti pensi.
I.: Non mi avete esposto gli usi del non-manifestato.
M.: Senza dubbio, per svegliarti, devi prima aver dormito. Così, per vivere, devi morire, dissolvere la tua forma per ricomporne una nuova, distruggere per edificare, annientarti per creare. Il Supremo è il solvente universale, corrode ogni contenitore, distrugge ogni ostacolo. Senza l'assoluta negazione di tutto, la tirannia delle cose sarebbe assoluta. Il non-Manifestato è il Grande Armonizzatore, il garante dell'ultimo e perfetto equilibrio: della vita nella libertà. Ti dissolve e reinstalla nel vero essere.
I.: Al suo livello, sarà così. Ma come funziona nella vita quotidiana?
M.: La vita quotidiana è fatta di azione. Che ti piaccia o no, devi funzionare. Qualsiasi cosa tu faccia per il tuo tornaconto, si accumula e diventa esplosiva; un bel giorno comincia a creare scompiglio in te e nel tuo mondo. Quando poi inganni te stesso convincendoti che operi per il bene universale, vai di male in peggio, perché ti fai guidare dalle tue idee personali su ciò che è bene per gli altri. Un uomo che sa qual è il bene per gli altri è pericoloso.
I.: Allora come procedere?
M.: Non agire né per te né per gli altri, ma per l'agire in sé. Una cosa degna ha già in sé il proprio scopo e significato. Non fare di niente un mezzo per qualcos'altro. Non legarti. Dio non crea una cosa perché serva a un'altra. Ognuna è fatta per il proprio bene, e perciò non interferisce. Utilizzi cose e persone per renderle dipendenti le une dalle altre, e per distruggere il mondo e te(12).
I.: Come si elimina questo senso di separazione?
M.: Se concentri la mente sull'"io sono", sull'essere che è te, l'"io-sono-questo" si dissolve, e lascia il posto all'"io-sono-solo-il-testimone", che a sua volta confluisce nell'"io-sono-tutto". A quel punto, tutto diventa l'uno: e l'uno, te - non separato da me(13) -. Abbandona l'idea di un "io" separato, e vedrai che non si porrà più la domanda su "chi fa l'esperienza".
I.: Questo è ciò che provate voi; come posso farlo mio?
M.: Parli della mia esperienza come se fosse diversa dalla tua, perché ritieni che siamo separati. Ma non lo siamo. A un livello più profondo, la mia esperienza è la tua. Scava dentro di te e lo vedrai. Va' nella direzione dell'"io sono".



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione

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