92. 25 Febbraio 1972




I.: Siamo come animali che inseguono scopi vani, apparentemente senza fine. C'è una via d'uscita?
M.: Molte vie ti saranno offerte, che ti faranno girare a vuoto, e ritornare al punto di partenza. Prima di tutto renditi conto che il tuo problema esiste solo allo stato di veglia, e che, quando dormi, puoi cancellarlo totalmente. Da sveglio sei consapevole; nel sonno, sei solo vivo. Coscienza e vita, ambedue puoi chiamarle Dio; ma tu sei al di là, oltre Dio, l'essere e il nonessere(1). Questa esperienza di conoscerti come il tutto e al di là del tutto ti è impedita dalla mente che è basata sulla memoria. Ha potere su di te finché le dai fiducia; perciò non combatterla, lìmitati a ignorarla; non alimentata dall'attenzione, sarà costretta a scoprire il suo meccanismo. Quando ne sarai venuto a capo, non le permetterai di creare problemi immaginari.
I.: Non sono certo tutti immaginari. Alcuni problemi sono reali.
M.: Quali sono i problemi non sollevati dalla mente? La vita e la morte non ne creano; i dolori e i piaceri vanno e vengono, vissuti e dimenticati via via. Ma la memoria e l'anticipazione alimentano i problemi legati all'acquisto e alla perdita, screziati dal piacere e dal dispiacere. La verità e l'amore sono la vera natura dell'uomo, e la mente e il cuore li esprimono.
I.: Come si controlla la mente? E il cuore, che non sa ciò che vuole?
M.: Non possono lavorare al buio. Per funzionare correttamente, hanno bisogno della luce della pura consapevolezza. Ogni sforzo di controllo non farà che soggiogarli ai dettami della memoria, che è una buona serva ma una pessima maestra. In effetti, preclude la scoperta. Nella realtà non c'è posto per lo sforzo(2). L'egoismo, che deriva dall'identificazione col corpo, è il problema principale, che fomenta gli altri(3). Non è lo sforzo che lo rimuove, ma la chiara visione delle sue cause ed effetti. Lo sforzo è il segno di un conflitto tra desideri incompatibili. Basterebbe vederli come sono: in quel caso si dissolvono.
I.: E che cosa resta?
M.: L'immutabile. La grande pace, il silenzio profondo, la bellezza nascosta della realtà. Non la si può comunicare a parole, ma ti sta aspettando perché tu la sperimenti da te.
I.: Non è necessario essere pronti e adatti alla realizzazione? La nostra natura è bestiale fino all'osso. Finché non l'abbiamo conquistata, come sperare che spunti la realtà?
M.: Lascia la bestia per conto suo. Ricorda solo chi sei tu. Usa ogni avvenimento della giornata per ribadirti che, senza te testimone, non ci sarebbero né l'animale né Dio. Comprendi che tu sei l'uno e l'altro, l'essenza e la sostanza di tutto ciò che è, e raffòrzati nella tua persuasione.
I.: La comprensione è sufficiente? Non occorrono prove più tangibili?
M.: È la tua comprensione che deciderà sulla validità delle prove. Ma quale prova più tangibile ti occorre della tua stessa esistenza? Ovunque tu vada, trovi te. Per lontano che ti spinga nel tempo, tu sei lì.
I.: Sono solo qui, ora.
M.: È abbastanza. Il "qui" è ovunque, e l'"ora" è sempre. Oltrepassa l'idea "io-sono-il-corpo", e troverai che lo spazio e il tempo sono in te, e non viceversa. Quando l'hai capito, hai rimosso il primo ostacolo alla realizzazione.
I.: Che cos'è una realizzazione al di là della comprensione?
M.: Immagina il fitto di una giungla popolata di tigri, e te in una robusta gabbia di acciaio. Sapendoti al sicuro, guardi le tigri senza paura. Dopo un po', le tigri sono in gabbia, e tu scorrazzi per la giungla. Infine: la gabbia scompare e tu cavalchi le tigri!
I.: Ho seguito a Bombay un corso di meditazione di gruppo, e ho visto fino a che punto la gente si abbandona all'isteria e ad ogni sorta di eccessi. Perché succede?
M.: Sono le invenzioni di una mente inquieta, che vizia la gente in cerca di sensazioni. Alcune di queste aiutano l'inconscio a scaricarsi dei ricordi e dei desideri repressi, e in una certa misura sollevano. Ma alla fine lasciano il praticante al punto di partenza; o peggio.
I.: Di recente ho letto un libro sulle esperienze meditative di uno yoghi. Vi abbondano visioni, suoni, colori, e melodie: una rassegna sostanziosa, e uno spettacolo sgargiante! Alla fine tutto si dileguava, tranne la sensazione di perfetta impavidità. Non mi meraviglia: un uomo che è passato indenne attraverso quelle esperienze, non ha bisogno di temere nulla! Tuttavia mi domando: a che può servirmi un libro così?
M.: A niente, probabilmente, visto che non ti attrae. Altri possono essere impressionati. La gente varia(4). Ma tutti devono misurarsi col fatto di esistere. "Io sono" è il ricordo determinante; "io chi sono?" è la domanda fondamentale alla quale tutti devono saper rispondere.
I.: Allo stesso modo?
M.: Sostanzialmente sì, anche se la formulazione può variare. Ciascun ricercatore accoglie o inventa un metodo adatto, lo applica a sé con serietà e sforzo, ottiene dei risultati a seconda del temperamento e delle attese, modella quei risultati in parole, li raccoglie in un sistema, stabilisce una tradizione e comincia ad ammettere dei seguaci nella sua "scuola di yoga". Tutto è costruito sulla memoria e l'immaginazione. Nessuna di tali scuole è priva di valore, e nessuna è indispensabile; in ciascuna si può progredire fino al punto in cui ogni desiderio di progresso va abbandonato per consentire passi avanti. A questo punto tutte le scuole sono dimesse, ogni sforzo cessa; l'ultimo passo si compie nella solitudine e al buio, finché l'ignoranza e la paura sono debellate per sempre.
Il vero maestro non imprigionerà il discepolo in un sistema predisposto; al contrario, gli mostrerà la necessità di affrancarsi da tutte le idee e gli schemi di comportamento, di essere vigile e serio, e di fluire con la vita, non per godere o soffrire, ma per comprendere.
Sotto la guida del giusto maestro, il discepolo impara a imparare, non a ricordare e obbedire. La nobile compagnia del satsang, non forma, libera. Attento a coloro che ti rendono dipendente! La maggior parte delle cosiddette "rese al maestro" termina in una delusione, se non in una tragedia. Fortunatamente, un ricercatore serio ed esperto saprà districarsi in tempo.
I.: Sicuramente, la resa ha il suo valore.
M.: La resa è l'arresto di ogni egoismo. Non è qualcosa che fai, è qualcosa che avviene quando realizzi la tua natura. La resa a parole, anche quando è accompagnata da buoni sentimenti, è di scarso valore e s'infrange, se è sottoposta a troppa tensione. Nel migliore dei casi allude a un'aspirazione, non indica uno stato di fatto.
I.: Nel Rigveda si parla dell'adhi yoga, lo yoga primordiale, che consiste nel "matrimonio di pragna e prana", ossia, se ho ben capito, l'unione di saggezza e vita. Si potrebbe anche dire che significa l'unione di giustizia e azione, dharma e karma.
M.: Sì, a patto che per giustizia tu intenda armonia con la propria natura(5), e per azione l'agire disinteressato senza desiderio(6).
Nell'adhi yoga il maestro è la vita; e la mente, il discepolo. La mente bada alla vita, non la tiranneggia. La vita fluisce naturalmente, senza sforzo, e la mente rimuove gli ostacoli al suo corso uniforme.
I.: La vita non è di per sé ripetitiva? Assecondarla non porterà al ristagno?
M.: Di per sé la vita è immensamente creativa. Un seme, col tempo, diventa una foresta. La mente è simile alla guardia forestale, che protegge e regola l'immenso bisogno vitale dell'esistenza.
I.: L'adhi yoga, se è visto come il servizio della mente alla vita, si direbbe una perfetta democrazia. Ciascuno è impegnato a vivere al meglio delle sue capacità e conoscenze, e tutti sono discepoli dello stesso maestro.
M.: Virtualmente, è così. Ma se non si ama e non si confida nella vita, se non la si segue con serietà ed entusiasmo, sarebbe chimerico parlare di yoga, che è un movimento nella coscienza, è consapevolezza in azione.
I.: Una volta, in montagna, ho osservato un ruscello che scorreva tra i ciottoli. Il vorticare dell'acqua variava a seconda della forma e dimensione di ognuno. Le persone non sono come dei vortici attorno al corpo, mentre la vita è una ed eterna?
M.: Il vortice e l'acqua sono indistinti, il turbinare ti rende consapevole dell'acqua. La coscienza è sempre del movimento, di ciò che muta. Non c'è coscienza dell'immutabile. L'immutabilità elimina ipso facto la coscienza. Un uomo privo di sensazioni interne ed esterne, o viene meno, o travalica la coscienza e l'incoscienza, accedendo allo stato senza nascita e senza morte. La coscienza affiora quando lo spirito e la materia si incontrano.
I.: Sono uno o due?
M.: Dipende dalle parole che usi: sono uno, due o tre. Esaminati, i tre diventano due, e i due uno: come viso-specchio-immagine. Ogni coppia presuppone il terzo che li unisce.Nella disciplina vedi i tre come due, finché cogli i due come un'unità.(7)
Per conoscerti, devi orientare l'attenzione verso l'interno, ignorando il mondo.
I.: Non posso distruggerlo.
M.: Perché dovresti? Piuttosto, persuaditi che ciò che vedi non è ciò che è. Per uscire dalla casa, non occorre darle fuoco. Basta saltar fuori. Solo quando non puoi andare e venire a tuo piacimento, la casa diventa una prigione. Io mi muovo agevolmente dentro e fuori della coscienza, perciò il mondo per me è la casa, non una prigione.
I.: Ma il mondo esiste o no?
M.: Ciò che vedi non è altro che te. Chiamalo come vuoi, il fatto non cambia. La tua luce, passando attraverso la pellicola del destino, imprime immagini sullo schermo. Tu sei lo spettatore, la luce, il film e lo schermo. Tu stesso scegli e imponi la pellicola del destino (prarabdha). Lo spirito è un atleta e si diverte a superare gli ostacoli. Più è duro il compito, più è ampia e profonda la sua realizzazione(8).



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione

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