75. 23 Ottobre 1971




I.: La tradizione indiana ci dice che il maestro è indispensabile, ma a che cosa? Una madre è indispensabile per dare un corpo al bambino. Ma l'anima non la dà lei. Il suo ruolo è limitato. E il maestro? In che senso il suo ruolo è limitato? O, se è indispensabile, lo è in genere o in modo assoluto?
M.: La luce più riposta, che risplende pacificamente senza tempo nel cuore, è il vero maestro. Gli altri si limitano a mostrare la via.
I.: Non mi interessa il maestro interiore, ma quello che mostra la via. Molti credono che senza un maestro lo yoga sia inaccessibile. Senza requie cercano il maestro giusto, cambiandone uno dopo l'altro. Quanto valgono maestri del genere?
M.: Sono maestri-del-tempo, effimeri. Li incontri a ogni passo. Ti servono ad acquistare una conoscenza o un'abilità.
I.: Una madre dura una vita, dalla nascita alla morte. Non è per sempre.
M.: Anche il maestro-del-tempo è limitato. Adempie il suo scopo e cede il posto al successivo. È naturale, non c'è nulla da biasimare.
I.: Per ogni specifica conoscenza o abilità, mi serve un maestro diverso?
M.: In questioni del genere, c'è un'unica regola: l'esterno è fugace; l'interiore, permanente e immutabile, benché si rinnovi di continuo nell'aspetto e nella funzione.
I.: Qual è il rapporto tra il maestro interiore e quelli esterni?
M.: L'esterno rappresenta l'interiore, il quale accetta temporaneamente l'esterno.
I.: Chi fa lo sforzo?
M.: Il discepolo, naturalmente. Il maestro esterno istruisce, quello interiore dà la forza; lo zelo indefesso è del discepolo. Ma se gli mancano la volontà, l'intelligenza e l'energia, la guida esterna è impotente. Il maestro interiore aspetta il momento buono. L'ottusità e i fini sbagliati provocano una crisi, e il discepolo apre gli occhi sulla sua condizione. Saggio è colui che non aspetta di subire un colpo che può essere molto duro.
I.: È una minaccia?
M.: Non una minaccia, un avvertimento. Il maestro interiore non è votato alla non-violenza. Talvolta può essere molto violento, al punto da distruggere una personalità ottusa o deviata. La sofferenza e la morte, come la vita e la felicità, sono i suoi strumenti. È solo nella dualità che la non-violenza diventa la legge unificatrice.
I.: Si deve temere il proprio sé?
M.: No, perché le sue intenzioni sono buone. Ma deve essere preso sul serio. Esige scrupolo e obbedienza: quando non gli si bada, passa dalla persuasione alla coercizione; sa anche attendere, perché sa che non sarà negato. La difficoltà non sta nel maestro, interno o esterno che sia, il quale è sempre disponibile, ma nel discepolo che non è maturo. E quando un uomo non è pronto, che si può fare?
I.: Pronto o volonteroso?
M.: L'uno e l'altro, che è poi lo stesso. In India diciamo "adhikari". Significa sia "capace" che "pronto a ricevere".
I.: Il maestro esterno può dare l'iniziazione (diksha)?
M.: Sì, e di molti tipi, ma l'iniziazione alla realtà viene solo dal didentro.
I.: Chi dà l'iniziazione finale?
M.: Non c'è un datore. Si dà da sé.
I.: Temo che ci muoviamo in un circolo vizioso. Dopotutto, l'unico essere che conosco è quello presente, empirico. Il sé interiore o superiore non è che un'idea concepita per spiegare e incoraggiare. Ma non ha un'esistenza autonoma.
M.: Tutti e due i sé sono immaginati. L'ossessione di essere un "io" chiama l'altra di un "super-io" terapeutico: così come occorre una spina per estirpare una spina, o un veleno per neutralizzarne un altro. Ogni affermazione attira una negazione, ma questo è solo il primo passo. Il successivo è il salto.
I.: Capisco la funzione del maestro esterno: richiamare l'attenzione sul mio essere e sull'urgenza d'intervenire. Comprendo anche la sua impotenza ogni volta che un cambiamento profondo avvenga in me. A questo punto introducete il sadguru, il maestro interno, che sarebbe senza-inizio, immutabile, la radice dell'essere, la ferma promessa, il fine certo. È reale o immaginario?
M.: È l'unica realtà. Tutto il resto è ombra, proiettata dal corpo-mente (deha-buddhi) sul volto del tempo. Naturalmente, anche l'ombra è reale ma non di per sé.
I.: Io sono l'unica realtà che conosco. Il sadguru è nel mio pensiero. Che cosa guadagno a evocarlo?
M.: La tua perdita è il tuo guadagno. Quando scopri che l'ombra è un'ombra, smetti d'inseguirla. Ti volti e vedi il sole, che è stato sempre lì, dietro la schiena!
I.: Che cosa insegna il maestro interno?
M.: A vedere che sei l'eterna, immutabile realtà-coscienza-amore, dentro e di là da tutte le apparenze.
I.: Una convinzione non basta. Ci vuole certezza.
M.: È vero. Ma in questo caso la certezza diventa coraggio. La paura scompare. Questa interiore impavidità è un evento così nuovo e autentico che s'impone da solo. È come amare il proprio figlio. Chi ne dubita?
I.: Si parla di progresso nella ricerca interiore. Che cosa significa?
M.: Quando sarai andato oltre il progresso, saprai che cos'è.
I.: Che cosa ci fa progredire?
M.: Il fattore principale è il silenzio. Nella quiete e nel silenzio cresci(1).
I.: La mente è così irrequieta. Come sedarla?
M.: Confida nel maestro. Prendi il mio caso. Il maestro mi ordinò di concentrarmi sull'"io sono", e di cancellare il resto. Gli obbedii. Non seguii nessun corso di respirazione, di meditazione o di studio delle Scritture. Qualsiasi cosa succedesse, ne distoglievo l'attenzione, puntandola sull'"io sono". Può sembrare fin troppo semplice, rozzo addirittura. L'unico motivo per farlo era che me l'aveva ordinato il maestro. Tuttavia ha funzionato! L'obbedienza è un forte solvente dei desideri e delle paure.
Ritraiti da tutto ciò che occupa la mente: porta a termine quello che hai iniziato senza accollarti nuovi oneri; mantieniti vuoto, disponibile(2), non resistere all'inatteso. E perverrai a uno stato di non-desiderio, di distacco felice, di agio interiore, a una indescrivibile ma realissima libertà.
I.: Quando un ricercatore della verità pratica i suoi yoga, è assistito dal maestro interno, o è lasciato a se stesso in attesa del risultato?
M.: Tutto avviene da sé. Il ricercatore e il maestro non fanno nulla. Le cose avvengono: biasimo e lode subentrano non appena s'instaura la coscienza di essere l'autore dell'azione.
I.: Strano! Perché l'autore certo preesiste all'azione.
M.: Al contrario: l'azione è un fatto, l'autore è un concetto mentale. Il tuo stesso linguaggio mostra che l'azione è certa, l'autore no; spostare la responsabilità è un gioco squisitamente umano. Dato il numero infinito di fattori necessari all'accadere di qualsiasi cosa, si può solo ammettere che tutto sia responsabile di tutto, anche in senso lato. La coscienza di essere l'autore dell'azione è un mito fondato sull'idea illusoria del "me" e del "mio".
I.: Perché l'illusione è così forte?
M.: Perché è basata sulla realtà.
I.: Ma quanto c'è di reale in essa?
M.: Trovalo, isolando e rifiutando l'irreale.
I.: Qual è il ruolo del revisore interno nella ricerca spirituale? Chi fa lo sforzo? Il sé esterno o quello interiore?
M.: Hai inventato un mucchio di parole: interno, esterno, sforzo, sé, ecc., e t'industri a sovrapporle alla realtà. Le cose sono come sono, ma ci ostiniamo a incasellarle in uno schema linguistico. L'abitudine è così radicata, che tendiamo a negare realtà a tutto ciò che non sia verbalizzabile. Le parole sono simboli convenzionali che designano esperienze vissute.
I.: Qual è il valore dei libri di ricerca spirituale?
M.: Aiutano a dissipare l'ignoranza. All'inizio servono, alla fine ostacolano. Bisogna sapere quando farne a meno.
I.: Qual è il legame tra l'atman e il sattva, lo spirito che sta in noi e l'armonia universale?
M.: Come quello fra il sole e i suoi raggi. L'armonia e la bellezza, l'intelligenza e l'amore esprimono la realtà. Sono realtà in atto, la congiuntura dello spirito nella materia. Il tamas ottenebra, il rajas altera, il sattva esprime, e perfezionandosi elimina i desideri e le paure. Il reale si rispecchia in una mente tersa. La materia è redenta; lo spirito, svelato. Sono visti come un'unità. E sono sempre tutt'uno, ma la mente imperfetta li vede come due. Il compito dell'uomo è perfezionare la mente, perché in essa s'incontrano la materia e lo spirito.
I.: Mi sento come un uomo davanti a una porta. È aperta, lo so, ma è sorvegliata dai cani del desiderio e della paura. Che posso fare?
M.: Obbedisci al maestro e sfidali. Comportati come se non ci fossero. Anche qui, l'obbedienza è la regola aurea. La libertà le è sottomessa. Per evadere dal carcere, è assolutamente necessario obbedire a quelli che si adoperano per la nostra liberazione.
I.: Le parole del maestro, se ci si limita ad ascoltarle, hanno poco potere. Per applicarte occorre la fede. Che cosa la suscita?
M.: Al momento giusto, la fede viene. Tutto viene a tempo. Il maestro è sempre pronto a spartire, mancano i partecipanti.
I.: Anche Sri Ramana Maharshi diceva: i maestri sono molti, ma dove sono i discepoli?
M.: Nel corso del tempo tutto accade e tutto passa, ma nemmeno un'anima andrà perduta.
I.: Ho paura di scambiare la conoscenza intellettuale per la realizzazione. Della verità, si può parlare senza conoscerla e si può conoscerla senza parlarne.
Queste conversazioni saranno pubblicate. Che effetto faranno sul lettore?
M.: Nel lettore attento e meditativo matureranno, fioriranno e daranno frutti. Le parole fondate sulla verità, e verificate a fondo, hanno potere.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione

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