69. 11 Settembre 1971




I.: Il mio amico è tedesco, io sono nato in Inghilterra da genitori francesi. Sono in India da più di un anno, girando da un ashram all'altro.
M.: Qualche disciplina spirituale (sadhana)?
I.: Studi e meditazione.
M.: Su che cosa hai meditato?
I.: Su quello che ho letto.
M.: Bene.
I.: E voi che fate?
M.: Sto seduto.
I.: E che altro?
M.: Parlo.
I.: Di che parlate?
M.: Vuoi una conferenza? Meglio che tu ponga domande su un punto preciso che ti tocca da vicino. Se non ti senti coinvolto, possiamo andare avanti a discutere, ma non ci sarà vera comprensione tra noi. Se dici: "Sono a posto, non ho problemi" mi va benissimo, ce ne staremo buoni e quieti. Ma se qualcosa ti tocca realmente, c'è un senso a parlare.
Vuoi che sia io a domandare? Perché ti muovi così da un posto all'altro?
I.: Per incontrare, per capire chi incontro.
M.: Che tipo di persone? Che cosa cerchi, esattamente?
I.: L'integrazione.
M.: Se vuoi l'integrazione, devi sapere chi vuoi integrare.
I.: Incontrando gente e osservandola, finisco col conoscere anche me stesso: le due cose vanno insieme.
M.: Non necessariamente.
I.: Una migliora l'altra.
M.: Non è così. Lo specchio rimanda l'immagine, ma l'immagine non modifica lo specchio. Tu non sei né lo specchio, né l'immagine nello specchio. Puoi lucidarlo per renderlo trasparente, e poi ti ci guardi dentro. L'immagine che ti rimanderà, non sei tu; tu sei l'osservatore dell'immagine. Capisci bene: qualunque cosa tu percepisca, non sei quello.
I.: Io sogno lo specchio e il mondo è l'immagine?
M.: Poiché puoi vedere sia l'immagine che lo specchio, non sei nessuno dei due. Chi sei? Non pensare per formule. La risposta non è nelle parole. L'enunciazione più adatta è: "io sono ciò che rende possibile la percezione", la vita stessa, oltre lo sperimentatore e la sua esperienza.
Ed ora, distànziati sia dallo specchio che dall'immagine, e resta solo, fermo. Ci riesci?
I.: No.
M.: Come lo sai? Quanti sono i tuoi processi automatici? Digerisci, fai circolare il sangue e la linfa, muovi i muscoli, e poi percepisci, senti, pensi senza sapere come e perché. Analogamente, sei te stesso senza saperlo. Non c'è nulla di sbagliato in te in quanto te stesso, il quale è come dev'essere. Lo specchio invece non è chiaro e verace, e perciò ti dà delle false immagini: non devi correggerti - ma solo mettere a punto la tua idea di te stesso -. Impara a distanziarti dall'immagine e dallo specchio; allénati a ripetere: "Non sono la mente, non sono le sue idee". Se lo fai con pazienza e convinzione, arriverai a vederti direttamente come la fonte eterna e universale dell'essere-conoscenza-amore. Tu sei l'infinito, concentrato in un corpo. Per ora vedi solo il corpo. Se insisti, arriverai a vedere solo l'infinito.
I.: L'esperienza della realtà è duratura?
M.: Ogni esperienza è necessariamente transitoria. Ma ha un fondo immutabile. Nulla che si possa definire un evento, è destinato a durare. Però alcuni eventi purificano la mente e altri la intorbidano. Istanti di profonda intuizione, di amore illimitato purificano la mente; invece i desideri e le paure, le invidie e l'ira, le credenze cieche e l'arroganza intellettuale inquinano e intorpidiscono la psiche.
I.: L'autorealizzazione è tanto importante?
M.: Senza di essa sarai consumato dai desideri e dalle paure che si rinnovano futilmente. I più ignorano che si può arrestare il dolore. Ma, una volta udita la buona novella, bisogna immediatamente porsi al di sopra di ogni conflitto. Ora sai che puoi essere libero, e che dipende da te. Hai due alternative: sarai per sempre torturato dalla fame e dalla sete, spinto dal desiderio a cercare, afferrare, trattenere, in un gioco di perdite e rimpianti, o ti inoltrerai nella ricerca appassionata dello stato d'immutabile perfezione, cui nulla si può aggiungere e nulla sottrarre. I desideri e le paure dileguano, non perché vi si sia rinunciato, ma perché hanno perso ogni senso.
I.: Fin qui vi ho seguito. Ora, che dovrei fare?
M.: Non devi "fare". Sii e basta. Non c'è da scalare montagne o giacere in caverne. E neppure ti dico: "sii te stesso", giacché non ti conosci. Lìmitati a essere. Non sei né il mondo "esterno" dei percepibili, né quello "interno" dei pensabili, né il corpo né la mente.
I.: Sicuramente ci sono dei gradi nella realizzazione.
M.: No. Non ci si accosta per gradi. Accade, ed è irreversibile. Ruoti in una nuova dimensione, dalla quale i vecchi abiti mentali appaiono vuote astrazioni. Come al sorgere del sole si vedono le cose come sono, così, nell'autorealizzazione, tutto si mostra com'è. Il mondo delle illusioni è lasciato alle spalle.
I.: E che altro succede? Le cose acquistano più colore, maggiore significato?
M.: Vista come un'esperienza puoi dire così, ma non è l'esperienza della realtà (sadhanubhava), bensì dell'armonia dell'universo (sattvanubhava).
I.: Tuttavia c'è progresso.
M.: Solo nelle fasi preparatorie della disciplina (sadhana). La realizzazione è subitanea. Il frutto matura pian piano, ma cade di botto una volta per sempre.
I.: Mi sento in pace fisicamente e mentalmente. Che mi occorre di più?
M.: Può non essere il tuo stato ultimo. Ti accorgi di averlo raggiunto per l'assenza completa di desideri e paure. Dopotutto, alla loro radice, c'è la sensazione di non essere se stessi. Come un arto slogato duole finché è fuori posto, ma non ci pensi più non appena è assestato, così ogni interesse per se stessi è un sintomo di stortura mentale che sparisce non appena ritorni alla tua vera natura.
I.: Si, ma qual è la disciplina più adatta?
M.: Concéntrati unicamente sull'"io sono". Così, quando la mente diventa completamente silenziosa, si fa fulgida e vibra di nuova conoscenza. Tutto avviene da sé, devi solo aderire all'"io sono". Come all'uscita dal sonno o da un'estasi ti senti fresco e ristorato, anche se non ti spieghi perché, così nella realizzazione ci si sente colmi, appagati, liberi dalla stretta del piacere-dolore, e tuttavia ignari, il più delle volte, di come sia successo. Puoi formularlo solo per negazioni: "non c'è più niente in me che non vada bene". È solo rispetto a com'eri che sai di esserne fuori. Per il resto, sei giusto te stesso. Non cercare di comunicarlo. Se ci riesci, non è reale. Osservalo silenziosamente in azione.
I.: Se mi diceste che cosa potrò diventare, controllerei meglio il mio sviluppo.
M.: Ma non c'è un diventare! Scopri semplicemente ciò che sei. Ogni conformarsi a un modello è uno spreco penoso di tempo. Non pensare al passato o al futuro, sii e basta.
I.: Come posso essere e basta? Diventare è inevitabile.
M.: I cambiamenti sono inevitabili nel mutevole, ma tu non ne dipendi. Sei lo sfondo immutabile, sul quale si stagliano i cambiamenti.
I.: Tutto muta, anche lo sfondo. Non occorre uno sfondo immutabile per notare i cambiamenti. Il sé è momentaneo: giusto il punto in cui il passato e il futuro si toccano.
M.: Il sé fondato sulla memoria è certamente momentaneo, ed esige un'ininterrotta continuità nel passato. Ma l'esperienza t'insegna che ci sono degli stacchi in cui sei assente. Che cosa ti risveglia al mattino? Deve esserci un fattore costante che colma i vuoti nella coscienza. Se osservi attentamente, noterai che anche la tua coscienza vigile è intermittente, segnata da lacune qui e là. Che cosa c'è in esse? Chi altri le abita se non il vero te che è fuori del tempo? La mente e la sua assenza per esso si eguagliano.
I.: C'è un luogo dove mi consigliereste di andare per realizzarmi?
M.: L'unico luogo appropriato è dentro di te. Il mondo esterno non giova né ostacola. Nessun sistema o modello di comportamento ti condurrà allo scopo. Rinuncia a operare per il futuro, concèntrati nel presente, òccupati solo delle tue reazioni a ciò che accade via via.
I.: Qual è la causa dell'impulso a vagabondare?
M.: Non c'è causa. Tu sogni di vagabondare. Fra pochi anni questo soggiorno in India ti parrà un sogno. E intanto sarai immerso in altri sogni. Non sei tu che passi da un sogno all'altro, ma essi ti scorrono davanti, e tu sei il testimone immutabile. Nessun avvenimento influenza il tuo essere, questa è la piena verità.
I.: Posso muovermi col corpo e dentro restare immobile?
M.: Sì, ma a che scopo? Se sei serio arriverai a un punto in cui sarai stufo di vagabondare e rimpiangerai lo spreco di energie e di tempo: per trovare te stesso non devi fare neanche un passo.
I.: C'è differenza tra l'esperienza del Sé (atman) e quella dell'Assoluto (brahman)?
M.: L'esperienza dell'assoluto è al di là di ogni esperienza, ovvero non è sperimentabile. D'altronde, il Sé è lo sperimentatore di ogni esperienza, sicché, in un certo senso, le assevera tutte. Il mondo può essere pieno di cose preziose; ma se non c'è nessuno a comperarle, non hanno prezzo. L'assoluto contiene tutto ciò che è sperimentabile, ma senza lo sperimentatore non è nulla. Ciò che rende possibile l'esperienza è l'Assoluto. Ciò che la rende reale è il Sé.
I.: Non raggiungiamo l'assoluto attraverso gradi di esperienza, cominciando dalle grossolane, fino alle più sottili?
M.: Non può esserci esperienza senza il desiderio di farla. Può esserci una scala di desideri; ma tra il desiderio più sublime e la libertà da ogni desiderio, c'è un abisso che va attraversato. L'irreale può sembrare reale, ma è transitorio. Il reale non teme il tempo.
I.: L'irreale non è un'espressione del reale?
M.: Come può esserlo? È come dire che la verità si esprime nei sogni. Per il reale l'irreale non esiste. Sembra reale solo perché ci credi. Mettilo in dubbio e dilegua subito. Quando sei innamorato, dai realtà al tuo amore: immagini che sia onnipotente e perenne. Quando finisce, scopri che non era reale. La transitorietà è la miglior prova dell'irrealtà. Ciò che è limitato nel tempo e nello spazio, e applicabile a una sola persona, non è reale. Il reale è per tutti e sempre.
Tieni a te stesso sopra ogni altra cosa. Non accettare nulla in cambio della tua esistenza. Il desiderio di esistere è il più forte e se ne andrà solo quando ti sarai realizzato.
I.: Anche nell'irreale c'è un'ombra di realtà.
M.: Sì, quella che gli attribuisci scambiandolo per reale. Una volta convinto, le convinzioni ti legano. Quando il sole splende, appaiono i colori. Quando tramonta, svaniscono. Senza la luce dove sono i colori?
I.: Questo è pensare in termini di dualità.
M.: Il pensare è tutto nella dualità. Nell'identità nessun pensiero sopravvive(1).



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione

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