67. 4 Settembre 1971




M.: Il ricercatore è colui che cerca se stesso. Presto s'accorge di non coincidere col corpo. E quando la persuasione "io non sono il corpo" diventa così radicata in lui da essere incapace di sentire, pensare e agire per conto e a vantaggio del corpo, gli è facile scoprire la sua vera identità, fatta d'essere, conoscenza e azione impersonali. L'universo è reale, cosciente e attivo in lui e attraverso di lui. Questo è il cuore del problema. O sei identificato con il corpo e schiavo delle circostanze, o sei la stessa coscienza universale - e controlli gli eventi -.
Individuale o universale che sia, la coscienza non è però la mia vera dimora, non è mia, né io sono in essa. Sono oltre, sebbene non sia facile descrivere uno stato né conscio né inconscio, ma che sta al di là. Non dico neppure: sono Dio o in Dio, perché Dio è il testimone, la luce e l'amore universale, e io sono persino al di là(1).
I.: Dunque non avete né nome né forma. E come esistete?
M.: Nome e forma, coscienza e incoscienza sono categorie al di fuori di me. Io sono ciò che sono.
I.: State applicando la procedura dell'esclusione "non questo, né quello" (neti-neti)?
M.: Con l'esclusione, non mi troverai. Sono tutto e nulla, né tutti e due, né alcuno dei due. Queste definizioni si addicono al Signore Universale, non a me.
I.: Non siete nulla. È questo che intendete?
M.: Oh, no! Sono completo e perfetto. Sono l'essenza dell'essere, la conoscenza del conoscere, la pienezza della felicità. Non puoi ridurmi a puro vuoto!
I.: Se siete al di là delle parole, di che cosa parleremo? Da un punto di vista metafisico il vostro argomento regge; non c'è contraddizione interna. Ma non è cibo adatto a me. È talmente al di là dei miei bisogni urgenti. Chiedo pane, e voi mi date gioielli. Senza dubbio sono belli, ma io ho fame.
M.: Non è così. Ti offro proprio il tuo bisogno: il risveglio. Non è vero che hai fame, che esigi pane, bensì la cessazione, l'abbandono, il distacco. Conosco la tua vera necessità: raggiungere la condizione che è la mia, e che è il tuo stato naturale. Tutto il resto è un'illusione e un ostacolo. Credimi, non ti occorre null'altro che essere ciò che sei. Non migliori aggiungendo, così come l'oro non aumenta il suo valore con del rame in più. Devi invece sottrarre, purificare, rinunciare a ciò che è estraneo alla tua natura. Tutto il resto è vano.
I.: È facile solo a parole. Mettiamo che vi venga a trovare un uomo col mal di stomaco, e che voi gli consigliate di vomitare. Naturalmente, senza la mente non ci sarebbero problemi. Ma è un fatto che la mente c'è.
M.: No. È la mente, che te lo fa dire. Non ingannarti. Tutte le elucubrazioni sulla mente sono un prodotto della mente stessa, per difendersi, preservarsi ed espandersi. Solo il cauto rifiuto di prenderla in considerazione può portarti al di là.
I.: Io non sono che un umile ricercatore, mentre voi siete la Realtà incarnata. Se il ricercatore si accosta al Supremo è per essere illuminato. Che cosa fa la Realtà incarnata?
M.: Ascolta ciò che ti dico e non distogliertene. Fanne il tuo unico pensiero. Poi abbandona tutti i pensieri, sul mondo e su di te. Nella tacita identità dell'essere-consapevolezza poniti al di là di tutti i pensieri. Non è un punto d'arrivo, perché è da sempre dentro di te, in attesa che tu la colga(2).
I.: In altre parole, dovrei smettere di pensare e concentrarmi sull'"io sono"?
M.: Sì, e qualunque pensiero sopraggiunga collegato all'"io sono", svuotalo di ogni significato, ignoralo.
I.: Mi capita in India d'incontrare molti giovani occidentali, e se li paragono agli indiani, mi sembrano assai diversi. È come se la loro psiche (antahkarana) funzionasse in tutt'altro modo. La mente indiana ha grande facilità ad afferrare i concetti di sé, realtà, mente pura, coscienza universale. Suonano familiari, hanno un dolce sapore. La mente occidentale o è insensibile o li rifiuta. È assetata di concretezza e vuole porsi subito al servizio dei valori accettati. Spesso sono valori di rilevanza personale: salute, benessere, prosperità; o sociale: una società migliore, una vita più felice per tutti; e sono sempre connessi con problemi mondani, personali e impersonali. Un'altra difficoltà con gli occidentali, è che per essi tutto è riducibile a esperienza: come gustano il cibo, le bevande, le donne, l'arte e i viaggi, così ci tengono a saggiare lo yoga, la realizzazione e la liberazione. Per loro sono esperienze come le altre, che si ottengono a un certo prezzo. Immaginano che si possano acquistare, e contrattano sul costo. Se un maestro è troppo esigente e severo, vanno da un altro, che offre pagamenti rateali, apparentemente agevoli; di fatto imponendo condizioni impossibili. È la vecchia storia del non pensare alla scimmia grigia quando si prende la medicina! In questo caso il non pensare riguarda il mondo: "abbandonare l'egoismo", "estinguere il desiderio", "praticare la castità", e così via. Naturalmente le truffe abbondano a tutti i livelli e il risultato è zero. Alcuni maestri, per reazione, proscrivono tutte le discipline, non pongono condizioni di sorta, predicano di non sforzarsi, di essere naturali, di vivere nella consapevolezza passiva, banditi tutti i "devo" e "non devo". E molti sono i discepoli le cui passate esperienze li hanno indotti ad avere un tale disprezzo di sé da rifiutare categoricamente di osservarsi. Se non sono disgustati, sono annoiati. Hanno ecceduto nella conoscenza di sé, vogliono altro.
M.: Lascia che non pensino a sé, se non lo desiderano. Che stiano pure con un maestro, lo osservino, pensino a lui. Presto proveranno una specie di beatitudine, mai prima sperimentata, tranne forse nell'infanzia. L'esperienza è così inequivocabilmente nuova, che attrarrà la loro attenzione; e una volta che si sia risvegliato l'interesse, non mancherà di seguire l'applicazione metodica.
I.: Gente del genere è molto critica e sospettosa. E non potrebbe essere altrimenti, poiché è passata attraverso molti apprendimenti e altrettante delusioni. Da un lato vogliono l'esperienza, dall'altro non se ne fidano. Come raggiungerli, Dio solo lo sa!
M.: L'intuito e un amore sincero li raggiungeranno.
I.: Un'altra difficoltà sorge quando ottengono un'esperienza spirituale. Si lamentano che non dura, che va e viene in modo casuale. Hanno afferrato un lecca-lecca, e vogliono succhiarlo ininterrottamente.
M.: L'esperienza può essere eccelsa, ma non è la realtà. È intermittente e fugace. L'autorealizzazione non è una cosa che si acquista. È una specie di compassione. Quando l'hai raggiunta, non la perdi più. D'altronde, la coscienza è mutevole, fluida, suscettibile di trasformarsi di momento in momento. Non appigliarti alla coscienza e ai suoi contenuti. Se li trattieni, s'arresta. Se cerchi di protrarre un lampo dell'intuizione, o un empito di felicità, non fai che distruggerli. Ciò che viene deve andare. Ciò che permane, è al di là di tutti i va-e-vieni. Scendi alla radice di ogni esperienza, al senso dell'essere. Oltre l'essere e il non-essere si stende l'immensità del reale. Prova e riprova.
I.: Per tentare occorre fede.
M.: Prima dov'esserci il desiderio. Quando il desiderio sarà forte, verrà anche la volontà di tentare. Se il desiderio è forte, non ti occorrono garanzie di successo. Sei pronto a rischiare.
I.: Un forte desiderio, una fede salda: ci risiamo! Ma queste persone non si fidano né dei genitori, né della società, e tantomeno di sé. Tutto ciò che toccano si muta in cenere. Date loro un'esperienza assolutamente genuina, irrefutabile, oltre le dispute della mente, ed essi vi seguiranno ai confini del mondo.
M.: Ma non faccio altro! Instancabilmente li attiro verso l'unico fattore incontrovertibile: l'essere. L'essere non ha bisogno di prove - perché è la prova di tutto -. Se solo vi s'immergeranno e scopriranno l'immensità e la gloria di cui l'"io sono" è la porta, e la varcheranno, la loro vita sarà colma di felicità e di luce. Credimi, lo sforzo richiesto è quasi nulla, rispetto alle rivelazioni che li attendono.
I.: Ciò che dite è giusto. Ma loro non hanno né fiducia né pazienza. Anche un breve sforzo li stanca. È veramente patetico vederli brancolare nel buio, incapaci di aggrapparsi alla mano tesa ad aiutarli. Fondamentalmente è brava gente, ma del tutto disorientata. Quando li avverto: la verità non sta alle vostre condizioni, siete voi che dovete stare alle sue, mi rispondono: qualcuno le accetterà e qualcuno no. L'accettazione o la non-accettazione sono superficiali e accidentali; la realtà è in tutto; deve pur esserci una via che tutti possano percorrere - senza condizioni -.
M.: Una via c'è, aperta a tutti, ad ogni livello, in ogni direzione della vita. Ognuno è consapevole di sé. L'approfondimento e l'allargamento dell'autoconsapevolezza è la vera via. Chiamala vigilanza, testimonianza o semplicemente attenzione, vale per tutti. Nessuno è immaturo per percorrerla, e nessuno può fallire.
Però non basta stare all'erta. L'attenzione deve estendersi a tutta la mente. La testimonianza è consapevolezza della coscienza e dei suoi movimenti.
I.: Il Buddha fece alti elogi dell'attenzione. Due sole settimane di pratica assidua basterebbero a liberare la mente. Tuttavia sono così pochi quelli che la intraprendono!



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione

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