54. 24 Aprile 1971




I.: L'altro giorno esaminavamo la persona, il testimone e l'assoluto (vyakti, vyakta, avyakta). Se ben ricordo, dicevate che solo l'assoluto è reale, e che il testimone è l'assoluto in un dato punto dello spazio e del tempo. La persona è l'organismo, grossolano e sottile, illuminato dalla presenza del testimone. Non mi è molto chiaro. Potremmo riparlarne? Avete poi nominato il madhakasha, il chidakasha, e il paramakasha. In che modo si rapportano ai tre termini precedenti?
M.: Il madhakasha è la natura, l'oceano delle esistenze, lo spazio fisico con tutto quanto è afferrabile attraverso i sensi. Il chidakasha è lo spazio della consapevolezza, lo spazio mentale del tempo, della percezione e della cognizione. Il paramakasha è la realtà senza-tempo e senza-spazio, oltre la mente, senza differenza, la potenza infinita, la sorgente e l'origine, la sostanza e l'essenza, materia e coscienza insieme - e tuttavia al di là -. Non è percepibile, ma lo si può esperire come la perenne testimonianza del testimone, il percepire del percettore, l'origine e la fine di ogni manifestazione, la radice dello spazio-tempo, la causa prima nella catena di causa-effetto.
I.: Qual è la differenza tra il vyakta e l'avyakta?
M.: Non c'è differenza. Come tra la luce e la luce del giorno. L'universo è pieno di luce che non vedi; ma quella stessa luce la vedi come luce diurna. E ciò che mostra la luce del giorno è il vyakti. La persona è sempre l'oggetto, il testimone è il soggetto, e il rapporto di mutua dipendenza è il riflesso della loro identità assoluta. Immagini che siano distinti e separati. Non è così. Sono la stessa coscienza in quiete e in movimento, e ognuno dei due strati è cosciente dell'altro. Nel chitta l'uomo conosce Dio e Dio l'uomo; l'uomo plasma il mondo e il mondo l'uomo. Il chitta è il nodo, il ponte tra gli estremi, il fatto che equilibra e unifica in ogni esperienza. La totalità del percepito è ciò che chiami materia. La totalità di tutti i percettori è ciò che chiami mente universale. Mentre l'identità dei due, che si manifesta come percepibilità e percipienza, armonia e intelligenza, benevolenza e amore, riafferma eternamente se stessa.
I.: I tre Guna o qualità - sattva, rajas e tamas - sono solo nella materia o anche nella mente?
M.: Sia nell'una che nell'altra, perché non sono separate. Solo l'assoluto è oltre le qualità. In realtà, sono delle prospettive, dei punti di vista, pertinenti alla mente. Al di là della mente tutte le distinzioni cessano.
I.: L'universo è un prodotto dei sensi?
M.: Come al risveglio ricrei il tuo mondo, così l'universo svolge se stesso. La mente con i cinque organi di percezione, i cinque organi dell'azione, e i cinque veicoli della coscienza, si manifesta come memoria, pensiero, ragione ed egoità.
I.: Le scienze hanno fatto molti progressi. Conosciamo il corpo e la mente molto meglio dei nostri predecessori. Il vostro modo tradizionale di descrivere e analizzare la mente e la materia non è più valido.
M.: E dove sono i tuoi scienziati con le loro scienze? Non sono anch'essi immagini nella tua mente?
I.: Qui sta la differenza di fondo! Per me non sono affatto immaginari. C'erano prima che nascessi e ci saranno dopo la mia morte.
M.: Certo. Se accetti la realtà dello spazio e del tempo, ti vedrai in proporzione piccolo e di breve durata. Ma sono poi reali? Dipendono da te o tu da loro? Come corpo, sei nello spazio; come mente, nel tempo. Ma sei proprio soltanto un corpo che contiene una mente? Hai mai indagato su questo?
I.: Non ne avevo il motivo, non conoscevo il metodo.
M.: Quelli te li suggerisco io, ma la vera opera di penetrazione e distacco (viveka-vairagya) dipende da te.
I.: Il solo motivo che riesco a discernere è la mia felicità, senza causa e senza tempo. Ma il metodo, qual è?
M.: La felicità è accidentale. Il motivo veramente efficace è l'amore. Vedi che la gente soffre, e ti adoperi per aiutarla. È una risposta ovvia: anzitutto supera il bisogno di aiuto. Accèrtati che il tuo atteggiamento sia di perfetta buona volontà, senza attese di sorta(1). Quelli che cercano la felicità fine a se stessa, finiscono col diventare insensibili, mentre l'amore non è mai fermo.
Quanto al metodo, ce n'è uno solo: conosci te stesso: per come appari e come sei. Chiarezza e carità vanno di pari passo: si necessitano e rafforzano l'un l'altra.
I.: La compassione implica l'esistenza di un mondo oggettivo, colmo di un dolore evitabile.
M.: Il mondo non è oggettivo e il suo dolore non è evitabile. La compassione significa il rifiuto di soffrire per cause immaginarie.
I.: Se le ragioni sono immaginarie, perché la sofferenza è inevitabile?
M.: È sempre il falso che ti fa soffrire, i falsi desideri, le false paure, i falsi valori e i falsi rapporti con la gente. Abbandona il falso e sarai libero dal dolore; la verità rende felici, la verità affranca.
I.: L'amara verità è che io sono una mente imprigionata in un corpo.
M.: Tu non sei né il corpo, né nel corpo: una cosa del genere non esiste. Hai preso un grosso abbaglio; per comprendere rettamente, indaga.
I.: Però sono nato come corpo, in un corpo, e col corpo morirò, da corpo quale sono.
M.: Questo è il tuo errore. Indaga, scruta, metti in dubbio te stesso e gli altri. Per trovare la verità, non devi attaccarti alle convinzioni; se sei certo dell'immediato, non raggiungerai mai il più remoto. L'idea che sei nato e morirai, è assurda; e contraddetta sia dalla logica che dall'esperienza.
I.: Va bene, non insisto che sono il corpo. Avete un punto a vostro vantaggio. Però, qui-ora, mentre vi parlo, sto nel mio corpo. Può non essere me, ma il corpo è ovviamente mio.
M.: L'universo collabora incessantemente alla tua esistenza. Quindi l'universo intero ti fa da corpo. In quel senso, sono d'accordo.
I.: Il corpo m'influenza profondamente: per molti versi, è il mio destino. Il temperamento, gli umori, la natura delle reazioni, i desideri e le paure - innati o acquisiti - sono tutti fondati nel corpo. Basta ingerire un po' di alcool, qualche droga, e tutto cambia, divento momentaneamente un altro uomo.
M.: Ti succede perché pensi di essere il corpo. Se tocchi il tuo vero essere, persino le droghe non avranno potere su di te.
I.: Voi fumate?
M.: Il mio corpo ha conservato poche abitudini che possono rimanere, finché vivo. Non c'è danno in esse.
I.: Mangiate carne?
M.: Sono nato in una famiglia non-vegetariana, e i miei figli hanno mangiato carne. Mangio molto poco, e non mi agito.
I.: Mangiare carne presuppone che si uccida.
M.: Ovvio. Non pretendo la coerenza assoluta. Se pensi che sia attuabile, dimostramelo. Non predicare ciò che non applichi. Torniamo all'idea di essere nato. Sei rimasto inchiodato al racconto dei tuoi genitori: tutto sul concepimento, la gravidanza e il parto, il bambino, l'adolescente, il giovanotto, e via dicendo. Per disancorarti dall'idea di essere il corpo, devi ricorrere all'idea opposta: non sei il corpo. E proprio perché è un'idea come un'altra, trattala come qualcosa da gettare dopo l'uso. L'idea di non essere il corpo gli dà realtà, anche se, di fatto, non c'è il corpo: e ciò che si definisce tale è, piuttosto, uno stato della mente. Potresti avere molti altri corpi, altrettanto diversi; basta ricordare con fermezza ciò che vuoi, e respingere l'incompatibilità.
I.: Ho l'impressione di essere tante scatole l'una nell'altra. La più esterna funge da corpo, la limitrofa da anima. Se alieno la prima, la limitrofa diventa a sua volta il corpo; e la sua vicina, l'anima. Domando: è una serie infinita di rimandi, un aprirsi senza fine di scatole, o esiste l'ultima, l'anima finale?
M.: Se hai un corpo, hai anche un'anima; e fin qui la similitudine delle scatole funziona. Ma qui-ora, attraverso tutti i corpi e le anime che sono tuoi, brilla la consapevolezza, la pura luce del chitta. Fìssatici incrollabilmente. Senza la consapevolezza il corpo non durerebbe un istante. C'è nel corpo una corrente di energia, di intelligenza e amore che lo guida, lo preserva e gli dà forza. Scoprila, e tienla con te.
Naturalmente, sono modi di dire. Le parole sono sia barriere che ponti. Trova la scintilla di vita che permea i tessuti del tuo corpo, e sta' con essa. È l'unica realtà che il corpo abbia.
I.: Che ne è di quella scintilla dopo la morte?
M.: È al di là del tempo(2). La nascita e la morte non sono che due punti nel tempo. Eternamente la vita tesse le sue trame. Il tessere accade nel tempo, ma la vita in sé è senza tempo. Qualsiasi nome e forma tu dia alle sue espressioni, è come l'oceano: cambia sempre, non cambia mai.
I.: È tutto molto bello, persino convincente, ma la mia sensazione di essere una persona in un mondo estraneo, spesso nemico e pericoloso, non si estingue. E se sono una persona, delimitata nello spazio e nel tempo, come posso considerarmi il suo opposto: una spersonalizzata, universalizzata e atipica consapevolezza?
M.: Credi di essere ciò che non sei, e ti neghi per quello che sei. Ometti l'elemento conoscitivo della consapevolezza mondata dalle distorsioni della persona. Se non ammetti la realtà del chitta, non ti conoscerai mai.
I.: Che devo fare? Non mi vedo come mi vedete voi. Forse avete ragione, e io torto, ma come cessare di essere quello che sento di essere?
M.: Un principe che si creda un mendicante, si può convincere fondatamente in un solo modo: comportarsi da principe e stare a vedere. Agisci come se quello che dico fosse vero: e giudica da ciò che di fatto succede. Ti chiedo solo di metterci la fede sufficiente a compiere il primo passo. Con l'esperienza verrà la fiducia, e non ci sarà più bisogno del mio intervento. So chi sei e te lo dico. Credimi per una volta.
I.: Per essere qui-ora, mi occorrono un corpo e i sensi. Per capire, la mente.
M.: Il corpo e la mente sono sintomi di ignoranza e di fraintendimento. Compòrtati come se fossi pura consapevolezza, senza corpo e senza mente, senza spazio e senza tempo, oltre il "dove", il "quando", il "come". Instàllatici, pensaci sù, impara ad accettare la sua realtà. Non opporti, non continuare a negarla. Abbi almeno la mente aperta. Lo yoga fa inclinare l'esterno verso l'interno. Fa' che il corpo e la mente esprimano il reale, che è il tutto e al di là di tutto. Ottieni se fai, non già discutendo.
I.: Permettetemi di tornare alla prima domanda. Come nasce l'errore di essere una persona?
M.: L'assoluto è prima del tempo. La prima a manifestarsi è la consapevolezza. Un grappolo di ricordi e abitudini mentali attrae l'attenzione, la consapevolezza si mette a fuoco e all'improvviso appare la persona, che scompare con altrettanta rapidità nel sonno, nel deliquio o se la luce della consapevolezza viene meno. La persona (vyakti) va e viene; la consapevolezza (vyakta) contiene tutto lo spazio e il tempo; l'assoluto (avyakta), è.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione

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