43. 13 Febbraio 1971




I.: Di anno in anno il vostro insegnamento rimane immutato. Sembra che ciò che dite non si rinnovi.
M.: In ospedale i pazienti sono curati e migliorano. La terapia, con rare modifiche, è uniforme, ma non c'è niente di monotono circa la salute. Il mio insegnamento può non essere nuovo, ma il suo frutto varia da uomo a uomo.
I.: Che cos'è la realizzazione? Chi è il realizzato e come lo si riconosce?
M.: Non ci sono contrassegni speciali della saggezza (gnana). L'ignoranza si riconosce subito, la saggezza no, e il saggio non si ritiene un essere eccezionale. Tutti quelli che proclamano la loro grandezza e unicità non sono certo saggi. Uno sviluppo un po' insolito che si verifichi in loro, lo scambiano per la realizzazione. Il saggio (gnani) non è incline a dichiararsi tale; si considera un essere perfettamente normale, e fedele alla sua natura. Ogni vanto di onniscienza e onnipotenza è un segno d'ignoranza.
I.: Il saggio può trasmettere la sua esperienza all'ignorante? Si può trasmettere la sapienza?
M.: Certo. Le parole di un saggio hanno il potere di fugare l'ignoranza e l'oscurità della mente. Non sono le parole che contano ma il potere dietro di esse.
I.: Quale potere?
M.: Il potere di convincere basato sulla realizzazione personale e sull'esperienza diretta.
I.: Alcuni realizzati sostengono che la conoscenza si deve conquistare, non si riceve. La si può insegnare, ma l'apprendimento dipende solo da chi impara.
M.: Fa' lo stesso.
I.: Molti praticano lo yoga per anni, senza risultato. Qual è la causa del loro insuccesso?
M.: Quando ci si assuefà a forme varie di distacco o assorbimento estatico, la coscienza entra in sospensione. Senza disporre della totalità della coscienza, il progresso è impossibile.
I.: Molti sperimentano l'estasi del samadhi. In quello stato di rapimento la coscienza è particolarmente intensa, ma non succede niente.
M.: Che cosa ti aspetti? Perché la realizzazione dovrebbe essere il risultato di qualcosa? Una cosa porta all'altra, ma la realizzazione è del tutto al di là della causalità. Dimora immutabilmente nel Sé. Lo yoghi può avere la chiave di molti prodigi, ma il Sé continua a restargli ignoto. Il realizzato, invece, può apparire un essere molto ordinario e sentirsi tale, ma conosce assai bene il Sé.
I.: Altri coltivano la conoscenza di sé, con ostinazione ma con risultati assai scarsi. Come mai?
M.: Si vede che non sono giunti alle fonti della conoscenza, e al fondo delle loro sensazioni, sentimenti e pensieri. Il ritardo può dipendere da questo. Oppure dal fatto che alcuni desideri sono ancora attivi in loro.
I.: Gli alti e i bassi nella disciplina sono inevitabili. Tuttavia il ricercatore, se è serio, insiste a qualunque costo. Che può fare il saggio per un uomo del genere?
M.: Se il ricercatore è serio, la luce si può trasmettere. Essa è per tutti, sempre, ma i ricercatori sono pochi e in mezzo ad essi i maturi sono molto più rari. La maturità del cuore e della mente è indispensabile.
I.: Vi siete realizzato faticosamente da voi, o per la grazia del vostro maestro?
M.: Lui ha messo l'insegnamento, io la fiducia. La fiducia riposta in lui mi fece credere alle sue parole e viverle fino in fondo, e in quel modo giunsi a realizzare ciò che sono. La persona del maestro e le sue parole attivarono in me la fiducia che le ha rese fruttuose.
I.: Ma si può trasmettere la realizzazione senza parole, senza nemmeno la fiducia o la preparazione, giusto all'impronta?
M.: Si può, sì, ma chi c'è a riceverla? Vedi, nel mio caso, io ero così all'unisono, così totalmente affidato al maestro, e c'era tanto poca resistenza in me, che tutto accadde presto e semplicemente. Ma non tutti hanno questa fortuna. La pigrizia e l'inquietudine spesso si frappongono e, finché non sono riconosciute e rimosse, il progresso è lento. Tutti coloro che hanno avuto una realizzazione istantanea, per semplice contatto o per l'effetto di uno sguardo o di un pensiero, erano già pronti a riceverla, e sono una minoranza molto esigua. Ai più, per maturare, occorre tempo. E la disciplina, il sadhana, non è che una maturazione accelerata.
I.: Che cosa rende maturi? Qual è il fattore di maturazione?
M.: Anzitutto la serietà. Bisogna realmente volerlo. Il realizzato, in fin dei conti, è la serietà spinta al massimo. Qualunque cosa faccia, vi si dona totalmente, senza riserve, senza preclusioni. L'integrità ti conduce alla realtà.
I.: Amate il mondo?
M.: Quando ti fai male, gridi. Perché? Perché ami te stesso. Non ingabbiare il tuo amore, limitandolo al corpo, lascialo aperto. Allora sarà amore per ogni cosa. Quando le false auto-identificazioni saranno state eliminate una per una, quello che resta è l'amore che tutto abbraccia. Liberati da ogni idea su di te, anche quella di essere Dio. Nessuna definizione di sé è valida.
I.: Sono stanco di promesse e di esercizi meditativi che assorbono tutto il mio tempo e le mie energie, e non portano a nulla. Voglio la realtà subito. Posso averla?
M.: Certo che puoi. Purché tu sia veramente stufo di tutto, inclusi i tuoi esercizi. Quando avrai estinto qualsiasi richiesta al mondo e a Dio, quando non cercherai né ti aspetterai più nulla, non sollecitato, inatteso, lo stato supremo ti arriderà.
I.: Se un uomo, assorbito dai doveri familiari e dagli affari mondani, si dedica rigorosamente alla disciplina nel modo prescritto, otterrà dei risultati?
M.: Sì, ma nel senso che i risultati lo fasceranno come in un bozzolo.
I.: Tanti uomini santi affermano che appena si è maturi la realizzazione accade. Anche se è vero, serve a poco saperlo. Deve pur esserci un modo, una via, che non dipende né dalla maturazione, che prende tempo, né dalla disciplina, che esige sforzo.
M.: Non chiamarla "via", semmai è un genere di abilità, e nemmeno quello. Sii ricettivo e quieto. Ciò che cerchi ti è tanto vicino che non c'è spazio per una via.
I.: Ci sono così tanti ignoranti al mondo e così pochi sapienti! Perché?
M.: Non preoccuparti degli altri. Bada a te. Tu sai che sei. Non farti appesantire dai nomi. Sii, semplicemente. Ogni nome e forma che ti attribuisci offusca la tua natura.
I.: Perché la ricerca dovrebbe cessare prima della realizzazione?
M.: Il desiderio di verità è il più nobile; anzi, il definitivo; tuttavia, è ancora un desiderio. Perché il reale si installi in te, tutti i desideri vanno dimessi. Ricordati che sei. Questo è il tuo capitale attivo. Investilo, e ne avrai un grosso profitto.
I.: Perché cercare?
M.: È inevitabile. La vita stessa è ricerca. Quando il cercare si estingue, subentra il supremo.
I.: Perché è intermittente, un po' viene e un po' va?
M.: Non va e viene. È.
I.: Lo dite per esperienza?
M.: Certo. È onnipresente, fuori del tempo.
I.: Perché con voi è stabile, e con me va e viene?
M.: Forse perché non ho desideri, o perché tu non desìderi abbastanza. Devi sentirti disperato quando la mente ha perduto il contatto.
I.: Per tutta la vita ho lottato, e ho ottenuto così poco. Ho letto, ascoltato: invano.
M.: Ascoltare, leggere, è diventata un'abitudine per te.
I.: Ho abbandonato anche quella. Ora non leggo più.
M.: Non conta quello che hai già abbandonato, ma quello cui sei ancora legato. Rintraccialo e buttalo via. La disciplina è la ricerca di ciò che va abbandonato. Svuòtati completamente(1).
I.: Come può un folle desiderare la saggezza? Bisogna conoscere l'oggetto del desiderio per desiderarlo. Quando il supremo è ignoto, come è possibile desiderarlo?
M.: L'uomo matura naturalmente, finché è pronto per la realizzazione.
I.: Ma qual è il fattore che fa maturare?
M.: Il ricordo di sé, la consapevolezza dell'"io sono" fanno maturare in fretta. Abbandona tutte le idee su di te, semplicemente sii.
I.: Sono stanco di tutte le vie, i sistemi, le tecniche, gli espedienti, di tutte queste acrobazie mentali. C'è un modo di percepire la realtà direttamente e all'istante?
M.: Smetti di usare la mente, e vedi ciò che capita. Concèntrati su quello ininterrottamente. Non c'è altro.
I.: Da giovane, ebbi strane esperienze, brevi ma memorabili, come la sensazione di non essere nulla, proprio nulla, benché pienamente cosciente. Ma corro il rischio di un nuovo desiderio, quello di rievocare quei momenti.
M.: È tutto immaginario. Nella luce della coscienza accadono cose di ogni genere, a nessuna bisogna attribuire una speciale importanza. La vista di un fiore è meravigliosa come la visione di Dio. Lasciale essere. Perché ricordarle e fare della memoria un problema? Sii totalmente coi ricordi. Non dividerli in nobili e ignobili, interni ed esterni, durevoli e fugaci. Va' oltre, torna alla fonte, al sé che è comunque identico. Sei debole perché sei convinto di essere nato nel mondo. In realtà è il mondo che è continuamente creato e ricreato da te. Impara a vedere tutto come un'emanazione della luce, che è la fonte del tuo essere. In quella luce troverai un amore e un'energia infiniti(2).
I.: Se sono quella luce, perché non la conosco?
M.: Per conoscere, devi avere una mente conoscente, capace di apprendere. Invece la tua mente è sempre in movimento, incapace di rispecchiare. Come puoi vedere la luna in tutto il suo splendore quando l'occhio è appannato da un malessere?
I.: È come dire che il sole è la causa dell'ombra, ma nell'ombra non si vede. Per vederlo, devi girarti.
M.: Introduci di nuovo la trinità del sole, del corpo e dell'ombra. In realtà non c'è niente di simile. Quello che dico non ha niente in comune con dualità e trinità. Smetti di concettualizzare, di fissarti sulle parole. Vedi e sii.
I.: Devo vedere per essere?
M.: Vedi ciò che sei(3). Non domandare agli altri, non lasciare che parlino di te. Guarda dentro e vedi. L'insegnante non può che dirti questo. Non occorre andare dall'uno all'altro. La stessa acqua è in tutti i pozzi. Attingi al più vicino. Nel mio caso l'acqua è dentro di me, e io sono l'acqua.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione

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