42. 6 Febbraio 1971




I.: Ho notato l'emergere in me di un nuovo me stesso, indipendente dal vecchio. In un certo senso, i due coesistono. Il vecchio continua a fare le sue cose come prima; il nuovo non lo disturba, ma nemmeno s'identifica con lui.
M.: Qual è la principale differenza tra il vecchio e il nuovo?
I.: Il vecchio insegue tutto ciò che è definito e spiegato. Vuole che le cose si adattino verbalmente l'una all'altra. Il nuovo non tiene alle spiegazioni verbali: accetta le cose come sono, e non cerca di ricollegarle alle cose ricordate.
M.: Sei sempre, incessantemente consapevole della differenza fra l'abituale e lo spirituale? Come si atteggia il nuovo te stesso verso il te stesso di prima?
I.: Il nuovo si limita a guardare il vecchio. Non è né amichevole né nemico. Semplicemente accetta il vecchio come ogni altra cosa. Non gli nega l'essere, ma solo il valore e la validità.
M.: Il nuovo è la totale negazione del vecchio; il nuovo permissivo non è veramente nuovo. In realtà è il vecchio medesimo atteggiato in modo nuovo. Il veramente nuovo oblitera il vecchio completamente. La coesistenza diventa impossibile. Si può dire che ci sia un processo di autosvelamento, un rifiuto metodico di accettare le idee e i valori del passato, o solo una tolleranza reciproca? Qual è il rapporto fra di loro?
I.: Non parlerei di rapporto. Si limitano a coesistere.
M.: Quando parli del vecchio e del nuovo te stesso, quale dei due hai in mente? Poiché c'è una continuità di memoria tra l'uno e l'altro, ricordandosi ciascuno dell'altro, come fai a parlare di due te stesso?
I.: L'uno è schiavo delle abitudini. L'altro no. L'uno concettualizza, l'altro è svincolato da ogni sorta di idee.
M.: Ma perché due? Tra il te stesso vincolato e quello libero non può esserci rapporto. Proprio il fatto che coesistono dimostra la loro unità fondamentale. C'è un unico te stesso, che è sempre: ora. Quello che definisci il secondo - vecchio o nuovo che sia - è una modalità, un altro aspetto della tua unica personalità. Il sé è unico. Tu sei te stesso, e alimenti certe idee su ciò che sei stato o sarai. Ma un'idea non è il sé. In questo momento, seduto di fronte a me, quale dei due te stesso sei, il vecchio o il nuovo?
I.: Sono in conflitto tra loro.
M.: Come può esserci conflitto tra ciò che è e ciò che non è? La conflittualità è l'atteggiamento caratteristico del vecchio. Quando emerge il nuovo, il vecchio non c'è più. Non puoi parlare del nuovo e del conflitto contemporaneamente. Anche lo sforzo di lottare perché si affermi il nuovo, è del vecchio sé. Ovunque si dia conflitto, sforzo, competizione, desiderio di cambiare, il nuovo non c'è.
In che misura ti sei liberato della tendenza del vecchio te stesso ad alimentare i conflitti?
I.: Non posso dire di essere ora un uomo diverso. Ma ho scoperto nuove cose su di me, condizioni tanto diverse da quelle note, che mi sento giustificato a chiamarle nuove.
M.: Il vecchio te stesso è il tuo unico sé. Lo stato che subentra all'improvviso senza causa, non è macchiato dal sé. Puoi chiamarlo "Dio". Ciò che è senza seme e senza radici, che non germoglia, non cresce, non fiorisce né fruttifica, che sorge all'improvviso, gloriosamente, in modo misterioso e abbagliante, puoi chiamarlo "Dio". È del tutto inaspettato benché inevitabile, infinitamente intimo e tuttavia sorprendente, al di là di ogni speranza eppure certissimo. Poiché è senza causa, non è ostacolato. Obbedisce a una sola legge: la legge della libertà. Tutto ciò che implica una continuità, una sequenza, un movimento da uno stato all'altro, non può essere reale. La realtà non progredisce: è definitiva, perfetta, senza riscontro.
I.: Come la attuo?
M.: Non puoi far niente per attuarla ma puoi evitare di creare ostacoli(1). Osserva la mente, il modo in cui appare e funziona. Osservandola, scopri che il tuo te stesso è l'osservatore. Se resti immobile, solo osservando, ti avvedi di essere la luce dietro l'osservatore(2). La fonte della luce è oscura, la fonte della conoscenza è ignota(3). Solo la fonte è. Torna a quella fonte e dimora lì. Il suo luogo non è il cielo, o l'etere che tutto avvolge. Dio è tutto ciò che è grandioso e splendido; io non sono nulla, non ho, non faccio nulla. Eppure tutto promana da me: la fonte è me; io sono la radice, l'origine(4).
Quando la realtà esplode in te, puoi chiamarla esperienza di Dio. Oppure è Dio che ha esperienza di te. Dio ti conosce, quando tu conosci te stesso(5). La realtà non è il risultato di un processo; è un'esplosione. È assolutamente al di là della mente, sicché tutto quello che puoi fare è conoscere bene la mente. Non che essa ti possa aiutare, ma conoscendola eviterai che ti renda incapace. Devi essere molto vigile, perché la mente farà di tutto per ingannarti. È come sorvegliare un ladro: da lui non ti aspetti niente, ma ci tieni a non essere derubato. Fa' lo stesso con la mente, senza attenderti niente(6).
Ti porgo un altro esempio. Ci svegliamo e ci addormentiamo. Dopo una giornata di lavoro, viene il sonno. Sono io che vado a dormire o è l'inavvertenza, tipica del sonno, che viene a me? In altre parole, siamo svegli perché siamo addormentati, e lo stato a cui ci destiamo non è veramente di veglia. L'affiorare del mondo in esso è dovuto all'ignoranza, e io ci sto dentro come in un dormiveglia. Non facciamo che sognare. Solo il sapiente conosce la vera veglia e il vero sonno. Sogniamo di essere desti, sogniamo di essere nel sonno. Le tre condizioni non sono che varianti dello stato di sogno. Prendere tutto come un sogno, libera. Sei schiavo finché dai realtà ai sogni. Immaginare che sei nato come un uomo così e così, ti vincola all'essere così e così. L'essenza della schiavitù è immaginarti come un processo, come un essere che ha una storia, dal passato al futuro. In realtà, non c'è storia, non siamo un processo, non ci sviluppiamo, non decadiamo: vedilo come un sogno e stanne fuori(7).
I.: Che vantaggio traggo dall'ascoltarvi?
M.: Ti richiamo a te stesso. Ti chiedo solo di osservarti, dentro e attraverso.
I.: A che scopo?
M.: Vivi, senti, pensi. Se sei attento al tuo vivere, sentire e pensare, ne sei libero e vai oltre. La tua personalità si dissolve e resta il testimone. Allora tu trascendi anche lui. Non chiedermi come accada. Cercalo dentro di te.
I.: In che cosa sono diversi la persona e il testimone?
M.: Sono, entrambi, modalità della coscienza. Nell'una, desideri e temi; nell'altro sei imperturbabile, il piacere e il dolore non ti toccano, gli eventi non ti travolgono. Lasci che vadano e vengano.
I.: Come ci s'installa nello stato di pura testimonianza?
M.: La luce della coscienza proviene da una fonte che è al di là di essa. Consapevole della natura di sogno della coscienza, mettiti in cerca della luce in cui essa appare, che la fa essere. Ci sono due cose: il contenuto della coscienza e la consapevolezza della coscienza e del suo contenuto.
I.: So, e so di sapere.
M.: Bene, purché la seconda conoscenza sia non-condizionata e fuori del tempo. Dimentica il conosciuto, ma ricorda che sei il conoscitore. Non restare sempre immerso nelle tue esperienze. Ricorda che sei al di là dello sperimentatore, il quale non è mai nato ed è privo di morte. Sarà quella reminiscenza a far emergere la qualità del puro conoscere, la luce della consapevolezza incondizionata.
I.: Quando s'instaura l'esperienza della realtà?
M.: L'esperienza è del mutamento, va e viene. La realtà non è una cosa che accade, non si può sperimentare, né percepire al modo in cui si percepisce un evento. Se aspetti che gli eventi accadano, che si dia la realtà, aspetterai all'infinito, perché la realtà non accade, non è soggetta all'andare e al venire. È proprio nel desiderio e nella ricerca della realtà che consistono il suo movimento, la sua operatività. Tutto quello che puoi fare è cogliere il nodo centrale, che cioè la realtà non è un evento e non accade, e che, qualunque cosa accada nel mutevole, non è la realtà. Se impari a vedere l'evento come evento e basta, il transitorio come tale, l'esperienza come un mero esperire, avrai fatto tutto il possibile. A quel punto diventi vulnerabile alla realtà; non sei più armato contro di essa, com'eri quando accreditavi eventi ed esperienze. Non appena sono subentrati il piacere e il dispiacere, hai eretto uno schermo.
I.: La realtà si esprimerebbe nell'azione o nella conoscenza? O non è una specie di sentimento?
M.: Né l'azione né il sentimento né il pensiero esprimono la realtà. Se parli di espressione del reale, introduci una dualità dove non c'è. Solo la realtà è, non c'è la sua espressione, non c'è nient'altro(8). La veglia, il sogno e il sonno profondo non sono me, come io non sono in essi. Quando morirò, il mondo dirà: "Oh, Maharaj è morto!". Ma per me, sono parole vuote. Quando si adora l'immagine del maestro, tutto si svolge come se egli fosse lì a vivere la sua giornata; il risveglio, il bagno, il pasto, il riposo, la passeggiata e il rientro, la benedizione dei presenti e di nuovo il sonno. Tutto si svolge nei minimi particolari, eppure è come avvolto da un senso d'irrealtà. Lo stesso è con me. Tutto accade come deve, eppure niente accade. Faccio ciò che mi sembra necessario, ma so anche che niente lo è, che la vita stessa è una finzione.
I.: Allora perché vivere? Perché mantenere questo inutile andare e venire, svegliarsi e addormentarsi, mangiare e digerire?
M.: Non sono io a farlo, accade da sé. Non ho aspettative, non programmo, mi limito a osservare gli eventi, sapendo che sono irreali.
I.: È stato così dal primo momento dell'illuminazione?
M.: I tre stati: il risveglio, il sonno, il nuovo risveglio, continuano ad avvicendarsi, come sempre, ma non accadono a me. Accadono e basta. Piuttosto c'è una cosa immutevole, immobile, salda come la roccia, inattaccabile, un solo blocco di puro essere-coscienza-beatitudine. Io non ne sono mai fuori. Niente può staccarmene, nessuna tortura, nessuna calamità(9).
I.: Tuttavia, siete cosciente!
M.: Sì e no. C'è pace: una pace profonda, immensa, incrollabile. La memoria registra gli eventi, ma essi non hanno rilievo. A stento me ne accorgo.
I.: Non è uno stato che avete raggiunto, a quanto pare.
M.: Non è venuto. Era lì da sempre. L'ho scoperto, semmai, all'improvviso(10). Come, nascendo, scopristi il mondo d'acchito, così mi avvenne di scoprire il mio vero essere.
I.: Ma c'era una nebbia che la disciplina, il sadhana, ha diradato? Quando la vostra vera natura vi divenne palese, restò in voi come una limpida percezione o si offuscò nuovamente? La vostra condizione è permanente o intermittente?
M.: È una condizione assolutamente costante. Qualunque cosa faccia, sta come una roccia: immobile. Non appena ti risvegli alla realtà, ti ci installi. Un bambino non ritorna nel ventre! È uno stato semplice, più piccolo del piccolissimo, più grande del grandissimo. È evidente di per sé eppure è al di là della descrizione.
I.: C'è una via che porta ad esso?
M.: Tutto può diventarlo, purché tu sia interessato. Già lo scervellarti sulle mie parole per coglierne il pieno significato è una disciplina sufficiente a spezzare la barriera. Niente mi molesta. Non offro resistenza alla molestia: perciò non ha ragione di restare con me. Dalla tua parte, invece, la molestia è tanta. Vieni dalla mia parte. Sei incline alle difficoltà. Io ne sono immune. Può accadere di tutto: basta avere un interesse sincero. Lo produce la serietà.
I.: Posso svilupparlo a mia volta?
M.: Certamente. Sei ben capace di fare la traversata.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione

Home