I.: Qual è lo stato abituale della mente di un realizzato? Vede, ascolta, mangia, beve, si sveglia e s'addormenta, lavora e si riposa, in un modo diverso? E c'è una prova della differenza? A parte la testimonianza verbale degli stessi realizzati, non c'è modo di verificare il loro stato oggettivamente? Ci sono delle differenze riscontrabili nelle loro risposte fisiologiche, nel metabolismo o nella struttura psicosomatica e neurologica?
M.: Puoi trovare e non trovare delle differenze. Tutto dipende dalla tua capacità di osservazione. Ma le differenze oggettive sono le meno importanti. Ciò che conta nei cosiddetti realizzati è l'atteggiamento di fondo, la loro posizione, che è di totale autonomia e distacco.
I.: Il realizzato è un essere sensibile? Quando suo figlio muore, prova dolore?
M.: Soffre con quelli che soffrono. L'evento in sé è irrilevante, ma egli prova grande compassione per chi soffre, vivo o morto che sia, nel corpo e fuori. Dopotutto, amore e compassione fanno la sua natura. Il realizzato è tutt'uno col tutto, e l'amore è quell'unità in azione.
I.: Si ha molta paura della morte.
M.: Il realizzato non teme nulla. Ma ha compassione dell'uomo che teme. Nascere, vivere e morire, è in fin dei conti naturale. Ma aver paura, no. È giusto dare attenzione all'evento.
I.: Immaginate di essere ammalato: febbre alta, dolori, tremiti. Il medico vi dice che il vostro stato è serio, e che vi restano pochi giorni di vita. Quale sarebbe la vostra prima reazione?
M.: Nessuna. Come il bastoncino d'incenso si consuma, così il corpo muore. Davvero è una cosa di pochissima importanza. Quello che conta è che non sono il corpo né la mente. Io sono.
I.: I vostri familiari sarebbero disperati. Che cosa direste loro?
M.: Ciò che si dice in questi casi: non temete, la vita continua, Dio avrà cura di voi, saremo presto di nuovo insieme; e cose del genere. Per me tutta la faccenda, con lo scompiglio che comporta, è priva di senso, perché non sono l'entità che si immagina viva o morta. Non sono nato e non morirò. Non ho niente da ricordare o da dimenticare.
I.: Che ne pensate delle preghiere per i defunti?
M.: Prega sempre per loro. Lo gradiscono tanto. Ne sono lusingati. Il realizzato non ha bisogno delle tue preghiere. Egli è la risposta alle tue preghiere.
I.: L'uomo comune, dopo la morte, resta cosciente e attivo. E il realizzato?
M.: È già morto. Ti aspetti che muoia una seconda volta?
I.: La dissoluzione del corpo è un fatto importante anche per il realizzato.
M.: Non ci sono per lui eventi importanti, tranne quando si raggiunge il fine ultimo. Allora il suo cuore giubila. Tutto il resto non gli importa. L'universo è il suo corpo; la vita tutta, è la sua. Come in una città illuminata, se si fulmina una lampadina, l'impianto non ne risente, così è per la morte di un corpo rispetto all'intero(1).
I.: Il particolare non influenza l'intero, ma il particolare sì. L'intero è un'astrazione, il particolare è concreto e reale.
M.: Lo dici tu. Per me è piuttosto l'inverso: l'intero è reale, la parte va e viene. Il particolare nasce e rinasce, cambia nome e forma; il realizzato è la realtà che non muta e che rende possibile il mutevole. Ma lui, di questo, non può convincerti. Deve diventare evidente da sé, con l'esperienza. Per me, tutto è uno e identico.
I.: Il peccato e la virtù sono la stessa cosa?
M.: Sono valori rispetto all'uomo ma, rispetto a me, non sono. Ciò che finisce in gioia è virtù, e ciò che si traduce in dolore è peccato. Sono, ambedue, stati mentali. Il mio stato non è della mente.
I.: Siamo come ciechi che non sanno che cosa significhi vedere.
M.: Puoi metterla così.
I.: La pratica del silenzio è una disciplina efficace?
M.: Tutto ciò che fai in funzione dell'illuminazione, ti ci porta più vicino. Quello che fai senza ricordarla, te ne allontana. Ma perché complicare? Contentati di sapere che sei al disopra e al di là di tutte le cose e i pensieri. Ciò che vuoi essere, lo sei già. Attienitici con la mente.
I.: Sento che lo dite, ma non posso crederlo.
M.: Ero anch'io come te. Poi confidai nel mio maestro, che si dimostrò veritiero. Se puoi, confida in me. Ricorda questo: non desiderare niente, perché niente ti manca(2). Proprio la ricerca ti impedisce di trovare(3).
I.: Sembrate indifferente a tutto.
M.: Non indifferente, ma imparziale. Non do preferenze al me e al mio. Un mucchio di terra e di gioielli, sono parimenti non voluti. La vita e la morte per me sono lo stesso.
I.: L'imparzialità vi rende indifferente.
M.: Al contrario, l'amore e la compassione sono il mio fulcro. Vuoto di ogni predilezione, sono libero di amare(4).
Il Buddha disse che l'idea di illuminazione è molto importante. Molti attraversano la vita senza avere la minima idea che ci sia l'illuminazione, e tantomeno lottano per ottenerla. Ma appena ne sentono parlare, è un seme sparso che non può inaridire(5). Per questo il Buddha mandava i suoi monaci a predicare per otto mesi all'anno.
"Si può offrire cibo, indumenti, riparo, affetto, conoscenza, ma il dono più alto è l'annuncio dell'illuminazione", soleva dire il mio maestro. È così. L'illuminazione è il bene massimo. Una volta acquisita, nessuno può sottrartela.
I.: Se parlaste così in Occidente, vi prenderebbero per folle.
M.: Lo credo. Per l'ignorante, ciò che non capisce è follia. Perciò, restino pure come sono. Non è per merito mio, se io sono come sono; né è per colpa loro, se pensano a modo loro. La Realtà Suprema si manifesta in tante maniere. I suoi nomi e forme sono infiniti. Tutto sorge e tramonta nello stesso oceano, la fonte è unica. Andar per cause e risultati è il passatempo della mente. Bello è ciò che è. L'amore non è un risultato, ma il fondamento dell'essere(6). Ovunque tu vada, troverai essere, coscienza e amore. Perché avere delle preferenze?
I.: Quando centinaia di migliaia di vite sono annullate da calamità naturali, come nubifragi o carestie, non mi addoloro. Ma quando un uomo muore per mano d'un altro uomo, la mia sofferenza è enorme. L'inevitabile ha una sua maestosità, ma l'uccidere si può ben evitare, perciò è orrendo.
M.: Tutto accade come accade, calamità naturali o provocate dall'uomo. Non c'è bisogno di inorridire.
I.: Può esserci qualcosa senza una causa?
M.: In ogni evento si riflette l'universo. È impossibile rintracciare la causa ultima. L'idea stessa di causa è un modo di dire. Non possiamo immaginare che qualcosa spunti dal nulla. Ma questo non prova che ci sia la causalità.
I.: La natura è senza mente, perciò non è responsabile. Ma l'uomo che ce l'ha, perché è tanto perverso?
M.: Anche la perversità ha cause naturali: ereditarietà, ambiente, e così via. Sei troppo lesto a condannare(7). Lascia stare gli altri. Òccupati anzitutto della tua mente. Quando avrai capito che anche la mente è parte della natura, la dualità cesserà.
I.: Questo non lo capisco. Come può la mente far parte della natura?
M.: Perché la natura è nella mente: senza la mente, dov'è la natura?
I.: Se la natura è nella mente e la mente è mia, dovrei poter controllare la natura, il che non è. Il mio comportamento obbedisce a forze al di là del mio controllo.
M.: Lo stato di testimonianza è molto potente, in esso tutto è attivo. Se sviluppi l'atteggiamento del testimone, otterrai nell'esperienza il distacco che arreca il controllo(8).