39. 23 Gennaio 1971




I.: Vi ascolto, e mi accorgo che è inutile interrogarvi. Qualunque sia la domanda, invariabilmente la rovesciate e mi riportate al nudo fatto che la mia vita è un'illusione che mi sono costruito da me, e che la realtà è inesprimibile a parole. Le parole aumentano la confusione, e l'unico saggio partito è quello della ricerca silenziosa dentro di sé.
M.: La mente crea l'illusione, e la mente se ne libera. Le parole possono aggravare l'illusione ma anche cooperare a fugarla. Non c'è niente di sbagliato nel proferire la stessa verità ripetutamente finché diventa reale. L'opera della madre non si estingue con la nascita del bambino. Lo nutre giorno per giorno, anno dopo anno, finché non ha più bisogno di lei. La gente deve udire tante parole finché i fatti non urlano di più.
I.: Così, siamo bambini da nutrire con parole?
M.: Finché dai importanza alle parole, sei come un bambino.
I.: Va bene, allora siete mia madre.
M.: Dov'era il bambino prima di nascere? Non era con la madre? Perché era già con lei, ha potuto nascere.
I.: La madre non portava certo il bambino dentro di sé da quando era piccola.
M.: Virtualmente era madre. Va' oltre l'illusione del tempo.
I.: La vostra risposta è sempre uguale. Come un orologio che batte le stesse ore.
M.: È inevitabile. Quando ripeto, "io sono, io sono", non faccio che asserire e riaffermare un fatto sempre presente. Ti stanchi delle mie parole perché non vedi la verità che vive dietro di esse. Toccala, e troverai il pieno significato delle parole e del silenzio: tutt'e due.
I.: Avete detto che la bambina era già la madre di suo figlio. In potenza, non in atto.
M.: Col pensiero, il potenziale diventa attuale. Il corpo e i fatti che lo riguardano, esistono nella mente.
I.: La mente è coscienza in movimento, e la coscienza l'aspetto condizionato (Saguna) del Sé. L'incondizionato (nirguna) è l'altro aspetto, e al di là sta l'abisso dell'assoluto (paramartha).
M.: Va bene. L'hai espresso correttamente.
I.: Ma per me sono parole. Ascoltarle e ripeterle non basta, vanno dimostrate.
M.: Niente ti blocca quanto la preoccupazione dell'esterno, che t'impedisce di mettere a fuoco l'interno. Non puoi evitarlo, non puoi sfuggire alla tua disciplina. Procura di distoglierti dal mondo, finché l'interno e l'esterno saranno fusi, e potrai valicare l'incondizionato, non più interno e non più esterno.
I.: Certo l'incondizionato è solo un'idea nella mente condizionata. Di per sé non esiste.
M.: Di per sé, no. Ogni cosa ha bisogno della propria assenza. Essere è essere distinguibili, qui e non lì, ora e non allora, così e non altrimenti. (1)Come l'acqua ha la forma del contenitore, così tutto è determinato dalle qualità (guna). Come l'acqua rimane com'è, quale che sia il contenitore, così luce resta com'è, quali che siano i colori che se ne traggono, e così il reale non muta, quali che siano le condizioni in cui si riflette. Perché tenere la sola riflessione nel fuoco della coscienza? Perché non il reale in sé?
I.: La coscienza stessa è riflessione. Come può reggere il reale?
M.: Sapere che la coscienza e il suo contenuto non sono che riflessi, mobili e fugaci, è la messa a fuoco del reale. Il rifiuto di vedere il serpente nella corda è la condizione necessaria per vedere la corda.
I.: Solo necessaria o anche sufficiente?
M.: Si deve anche sapere che c'è la corda, e che sembra un serpente. In modo analogo, si deve sapere che il reale esiste, e che la sua natura è quella del testimone-coscienza. Il reale è ovviamente al di là del testimone; ma per poterlo penetrare, bisogna prima cogliere lo stato di pura testimonianza. La consapevolezza delle condizioni porta all'incondizionato.
I.: Può l'incondizionato essere sperimentato?
M.: Conoscere il condizionato come tale, è tutto ciò che si può dire sull'incondizionato. I termini positivi sono meri accenni, e fuorvianti.
I.: Si può parlare di testimonianza del reale?
M.: E com'è possibile? Possiamo parlare solo dell'irreale, dell'illusorio, transitorio e condizionato. Per andare oltre, dobbiamo passare attraverso la negazione di tutto quello che ha un'esistenza indipendente. Tutte le cose dipendono: dalla coscienza. E la coscienza dipende dal testimone.
I.: E il testimone dipende dal reale?
M.: Il testimone è il riflesso del reale in tutta la sua purezza. Dipende dalla condizione della mente. Dove dominano chiarezza e distacco sorge il testimone-coscienza. È come dire che dove l'acqua è tersa e calma, l'immagine della luna si fa nitida. O come la luce diurna che appare come un barbaglio nel diamante.
I.: Può esserci coscienza senza il testimone?
M.: Senza il testimone diventa incoscienza, puro vegetare. Il testimone è latente in ogni stato della coscienza come la luce in tutti i colori. Non può esserci conoscenza senza il conoscitore, e nessun conoscitore senza il suo testimone. Non solo conosci ma conosci ciò che conosci.
I.: Se l'incondizionato non si può sperimentare, perché ogni esperienza è condizionata, perché parlarne?
M.: Come può esserci conoscenza del condizionato senza l'incondizionato? Dev'esserci una fonte da cui tutto sgorga, un fondamento su cui tutto si regge. L'autorealizzazione è anzitutto la coscienza del proprio condizionamento, e la consapevolezza che l'infinita varietà delle condizioni dipende dalla nostra sconfinata vocazione a farci condizionare, e a promuovere la varietà. Alla mente condizionata l'incondizionato appare sia come la totalità che come l'assenza assoluta. Il fatto che non possa essere sperimentato direttamente non lo rende non-esistente.
I.: È un sentimento?
M.: Anche un sentimento è uno stato mentale. Come un corpo sano non reclama attenzione, così l'incondizionato libera dall'esperienza. Ad esempio, la morte. L'uomo ordinario ha paura di morire, perché ha paura di cambiare. II saggio non teme, perché la sua mente è già morta. Non pensa: "io sono vivo", ma: "c'è la vita". In essa non è mutamento, né morte. La morte appare come un mutamento nel tempo e nello spazio. Ma dove non c'è né tempo né spazio, come può esserci la morte? II saggio è già morto al nome e alla forma. Come può la sua perdita influenzarlo? L'uomo in treno si sposta da un luogo all'altro, ma l'uomo fuori del treno non va da nessuna parte, perché non è soggetto a una destinazione. Non ha dove andare, da fare, da diventare. Quelli che fanno piani dovranno portarli avanti. Quelli che non ne fanno, non occorre che siano nati.
I.: Qual è lo scopo del dolore e del piacere?
M.: Esistono di per sé o solo nella mente?
I.: Ma esistono, lasciate stare la mente.
M.: Il dolore e il piacere sono meri sintomi, i risultati di una conoscenza sbagliata e di sentimenti sbagliati. Un risultato non può avere uno scopo in sé.
I.: Nell'economia di Dio tutto deve avere uno scopo.
M.: L'hai conosciuto per parlarne con tanta disinvoltura? Chi è Dio per te? Un suono, una parola sulla carta, un'idea nella mente?
I.: Sono nato grazie al suo potere e vivo per questo.
M.: E soffri, e muori. Ti rende felice?
I.: Può essere colpa mia, se soffro e muoio. Fui creato per la vita eterna.
M.: Perché l'eterno è collocato nel futuro e non nel passato? Ciò che ha un inizio deve avere una fine. Solo il senza-inizio è senza-fine.
I.: Dio può essere un concetto, un'ipotesi di lavoro. Ma è utilissimo anche così!
M.: Purché tu sia libero da interne contraddizioni, e non è questo il caso. Perché non lavorare invece su una teoria che hai ideato e formulato da te? Almeno non ci sarebbe un dio esterno con cui combattere.
I.: Il mondo è tanto ricco e complesso: come potrei averlo creato io?
M.: Ti conosci tanto da sapere quello che avresti o non avresti potuto fare? Non conosci i poteri che hai. Non hai mai indagato. Comincia da te.
I.: Tutti credono in Dio.
M.: Per me, tu sei il tuo dio; se pensi altrimenti, penserai in eterno. Se poi c'è un Dio, allora tutto è suo, ed è per il meglio. Da' il benvenuto a tutto ciò che accade con cuore lieto e grato. E ama tutte le creature. Anche questo ti condurrà al Sé.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione

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