35. 2 Gennaio 1971




I.: Da molte parti sento dire che la libertà dai desideri e dalle inclinazioni è il presupposto indispensabile per la realizzazione, Ma ritengo che attuarla sia impossibile. L'ignoranza di sé provoca i desideri, i quali perpetuano l'ignoranza. È un circolo vizioso!
M.: Non ci sono condizioni da soddisfare. Non c'è niente da fare, né da abbandonare. Guarda, ricorda: qualunque cosa tu percepisca non è te né tua. È lì, nel campo della coscienza, ma tu non sei il campo, né il conoscitore del campo. È l'idea di dover fare, che t'intrappola nei risultati dei tuoi sforzi: la motivazione, il desiderio, il senso di frustrazione: tutto questo ti tira indietro. Lìmitati a guardare ciò che accade, e sappi che sei oltre.
I.: Dovrei astenermi dal fare qualsiasi cosa?
M.: Non puoi! Ciò che va avanti, deve procedere! Se ti arresti di colpo, ti schianti.
I.: C'entra il fatto che il conoscitore e il conosciuto diventano tutt'uno?
M.: Il conoscitore e il conosciuto non sono altro che due idee nella mente e le parole corrispondenti. Non c'è sé in esse. Il sé non è né l'una né l'altra né tra l'una e l'altra né al di là. Cercarlo mentalmente è futile. Smetti di cercare e guarda: è qui-ora; è quell'"Io sono" che conosci così bene. Smetti di vederti nel campo della coscienza. Se non hai già valutato con cura questa materia, ascoltarmi una volta non ti servirà. Dimentica le tue esperienze e conquiste passate, sii come nudo, esposto ai venti e alle piogge della vita. Così facendo, ti si offrirà l'occasione(1).
I.: La devozione (bhakti) ha posto nel vostro insegnamento?
M.: Quando non stai bene, vai dal medico che ti dice che cosa non va, e qual è il rimedio. Se ti fidi di lui, tutto va liscio; prendi la medicina, segui la dieta, e guarisci. Ma se non hai fiducia, ecco un'occasione per metterla alla prova, o ti metti tu stesso a studiare medicina! In tutti questi casi, è il tuo desiderio di guarire che ti muove, non il medico.
Senza fiducia, non c'è pace. C'è sempre qualcuno di cui ti fidi - una madre, una moglie -. Ma, tra tutti, il più affidabile è il conoscitore del sé, il liberato. Tuttavia la fiducia, da sola, non basta. Devi anche desiderare. Desiderio e fiducia devono andare di concerto. Quanto più è forte il desiderio, tanto più facile verrà l'aiuto. Il più perfetto dei maestri è impotente finché il discepolo non desideri imparare. Brama e serietà sono i requisiti più importanti. La fiducia verrà con l'esperienza. Dédicati al tuo scopo: la devozione verso chi ti guida, verrà subito dopo. Se il desiderio e la fiducia sono intensi, raggiungerai lo scopo, purché non provochi ritardi con tentennamenti e compromessi.
Il maestro più grande è te stesso. Davvero, tra gli insegnanti, è il supremo. Lui solo ti conduce alla meta, ed è l'unico che incontrerai alla fine del viaggio. Se confidi in lui, non avrai bisogno di altri maestri. Però devi avere un fortissimo desiderio di trovarlo, e di non provocare ostacoli e ritardi. Impara dai tuoi errori senza ripeterli.
I.: Posso rivolgervi una domanda personale?
M.: Procedi.
I.: Siete seduto su una pelle di antilope. Come si concilia con la nonviolenza?
M.: Per tutta la vita ho fatto e venduto sigarette, aiutando la gente a rovinarsi la salute. E di fronte a dove abito il comune gestisce un gabinetto pubblico che, a sua volta, rovina la salute a me. In un mondo violento, come si può evitare in assoluto una violenza o l'altra?
I.: Certamente si dovrebbe evitare ogni violenza evitabile. Ciò nonostante, in India, ogni sant'uomo ha la sua pelle di tigre, di leone, leopardo o antilope, su cui è assiso.
M.: Forse perché nei tempi andati non c'erano tessuti sintetici e una pelle di animale era il meglio per allontanare l'umidità. Il reumatismo non è affascinante, nemmeno per un santo! Così s'instaurò l'usanza che per meditazioni prolungate si adottasse una pelle di animale. Come il tamburino nel tempio, così la pelle d'antilope per lo yoghi. Quasi non lo notiamo.
I.: Ma l'animale è stato ucciso.
M.: Non ho mai saputo d'uno yoghi che abbia ucciso una tigre per sedercisi sopra. Gli uccisori non erano yoghi, e gli yoghi non uccidono.
I.: Non dovreste esprimere la vostra riprovazione rifiutando di usare la pelle?
M.: Che strana idea! Io disapprovo l'universo, perché solo una pelle d'antilope?
I.: Che cosa non va nell'universo?
M.: L'oblio di sé è l'offesa più grave: tutte le disgrazie ne derivano. Bada al più importante, il meno importante ci penserà da sé. Non riordini una stanza al buio. Prima apri la finestra. Far entrare la luce rende tutto più semplice. Così, prima di migliorare gli altri, impariamo a vederci come siamo: e mutati. È inutile girare in tondo con quesiti senza fine: trova te stesso, e tutto cadrà al posto giusto.
I.: L'aspirazione a tornare alla fonte è molto rara. È naturale o no?
M.: All'inizio è naturale uscire; alla fine, entrare. In realtà sono la stessa cosa, come inspirare ed espirare.
I.: Anche il corpo e l'abitante del corpo sono la stessa cosa?
M.: Gli eventi nello spazio e nel tempo si possono considerare come un tutt'uno: nascita e morte, causa ed effetto. Ma il corpo e l'abitante del corpo non appartengono allo stesso ordine di realtà. Il corpo esiste nel tempo e nello spazio, è transitorio e limitato, mentre l'abitante è fuori dello spazio-tempo, eterno, e onnipervasivo. Ritenere che i due siano identici è un grave errore, responsabile di sofferenze senza fine. Si può dire che il corpo e la mente compongano un'unità, ma la realtà sottostante non è il corpo-mente.
I.: Chiunque sia, l'abitante controlla il corpo, ne è perciò responsabile.
M.: C'è un potere universale che controlla ed è responsabile.
I.: Allora posso fare ciò che voglio, e dare la colpa a un fantomatico potere universale? Com'è facile!
M.: È facile, sì. Cogli l'Unico che tutto muove, e rimetti tutto a Lui(2). Se non esiti e non simuli, questa è la via più breve per raggiungere la realtà. Astieniti dal desiderio e dalla paura, abbandona ogni controllo e ogni senso di responsabilità.
I.: Ma è una follia!
M.: Sì, una divina follia. Che cosa non va nel far cadere l'illusione del controllo e della responsabilità personali? Tutt'e due sono mentali. È ovvio che, finché immagini di controllare, dovrai anche figurarti responsabile. L'uno implica l'altro.
I.: Come può l'universale rispondere del particolare?
M.: La vita sulla terra dipende dal sole. Tuttavia non puoi incolpare il sole per tutto ciò che accade, anche se ne è la causa ultima(3). La luce dà il colore al fiore, ma non controlla il processo direttamente. Lo rende possibile, ecco tutto.
I.: Quello che disapprovo è il rifugiarsi nell'idea di un potere universale.
M.: Non puoi disputare con i fatti.
I.: I fatti di chi? Vostri o miei?
M.: I tuoi, direi. I miei non puoi negarli perché non li conosci. Se li conoscessi, non li negheresti. Qui sta il guaio. Scambi le tue immaginazioni per fatti, e i miei fatti per immaginazioni. Io so con certezza che tutto è uno. Le differenze non separano, che tu sia responsabile di tutto o no. Immaginare di poter controllare un corpo, anche il proprio, è la tipica aberrazione del corpo-mente.
I.: Il corpo limita anche voi.
M.: Solo nelle faccende che lo riguardano. Io non me ne occupo. È come prolungare le stagioni dell'anno. Si avvicendano: senza toccarmi. Allo stesso modo il corpo-mente va e viene; la vita è sempre in cerca di nuove espressioni.
I.: Finché non mettete tutto il peso del male su Dio, mi va bene. Può esserci un Dio per tutto ciò che so, per me resta un'idea proiettata dalla mente. Per voi può essere una realtà, per me la società è più reale di Dio, visto che ne sono la creatura e il prigioniero. I vostri valori sono sapienza e compassione; quelli della società: astuzia ed egoismo. Io vivo in un mondo molto diverso dal vostro.
M.: Nessuno ti costringe.
I.: Nessuno costringe voi! L'obbligato sono io, piuttosto. Il mio è un mondo malvagio, pieno di sangue e di lacrime, di fatiche e dolori. Spiegarlo con intellettualismi, accampando teorie sull'evoluzione e sul karma, non fa che aggiungere all'offesa l'insulto. Il Dio di un mondo malvagio è un dio crudele.
M.: Tu sei il dio del tuo mondo, e siete entrambi stupidi e crudeli. Lascia che Dio sia un concetto, creato da te. Trova chi sei, e come sia successo che, in un mondo pieno di male, tu viva aspirando alla verità, al bene e alla bellezza(4). A che ti serve discutere a favore o contro Dio, quando non sai chi sia Dio e di che parli? Il Dio nato dalla paura e dalla speranza, modellato dal desiderio e dall'immaginazione, non può essere il Potere Che È, la Mente e il Cuore dell'universo.
I.: È vero che il mondo in cui vivo e il Dio in cui credo sono creature dell'immaginazione. Ma in che modo li crea il desiderio? Perché immagino un mondo così dolente e un Dio così indifferente? Che c'è di sbagliato in me, e perché dovrei torturarmi tanto? Viene l'illuminato e dice: "È solo un sogno che deve finire", ma non è lui stesso parte del sogno? Sono intrappolato, e non vedo vie d'uscita. Dite di essere libero; da che cosa? Vi scongiuro, non nutritemi di altre parole, aiutatemi a destarmi, visto che siete voi a vedere che mi agito nel sogno.
M.: Quando dico che sono libero, mi limito ad asserire un fatto. Se sei adulto, sei libero dall'infanzia. Io sono libero da ogni descrizione e identificazione. Qualunque cosa tu possa ascoltare, vedere o pensare, non sono quello, né un percepito né un concetto.
I.: Però avete un corpo e ne dipendete.
M.: Di nuovo pretendi che il tuo punto di vista sia l'unico giusto. Lo ripeto: non ero, non sono, non sarò mai un corpo. Questo è un fatto. Anch'io, un tempo, mi ero illuso di essere nato, ma il maestro mi mostrò che la nascita e la morte sono due idee e null'altro. La nascita è l'idea: "Ho un corpo", e la morte: "Ho perduto il corpo". Se so che non sono il corpo; che io ci sia o no, che cosa cambia? Il corpo-mente è come una stanza. C'è, ma non devo viverci tutto il tempo.
I.: Tuttavia il corpo c'è, e ne avete cura.
M.: Il potere che crea il corpo ne ha cura.
I.: Saltate continuamente da un livello all'altro.
M.: I livelli sono due: quello fisico, dei fatti; e quello mentale, delle idee. Io sono al di là. I tuoi fatti e le tue idee non sono i miei. Vieni dalla mia parte, e vedi insieme a me.
I.: Anche se mi convinco di non essere il corpo, non credo comunque che Dio se ne occupi. Non lo farà. Mi lascerà morire di fame, ammalarmi e soccombere.
M.: Che altro destino ti aspetti per un corpo(5)? Perché ci tieni tanto? È perché ritieni di essere il corpo, che lo vorresti indistruttibile. Puoi prolungarne la vita con pratiche opportune, ma in vista di quale bene ultimo?
I.: È meglio vivere a lungo, in buona salute. Ci dà l'opportunità di evitare gli errori dell'infanzia e della giovinezza, le frustrazioni della maturità, le miserie e l'imbecillità della vecchiaia.
M.: Vivi pure a lungo, se ci tieni. Ma non sei tu a decidere. Puoi forse determinare il giorno della tua nascita e della tua morte? Non parliamo la stessa lingua. La tua, è per sentito dire, appesa a ipotesi e delibere. Parli con sicurezza di cose che ignori.
I.: Per questo sono qui.
M.: Non sei ancora qui. Io sono qui. Vieni! Ma tu non vuoi. Vorresti che io vivessi la tua vita, sentissi a modo tuo, usassi il tuo linguaggio. Non posso, e non ti aiuterebbe. Sei tu che dovresti venire da me. Le parole sono della mente, e la mente ottenebra e distorce. Di qui l'assoluto bisogno di andare al di là delle parole, e venire dalla mia parte.
I.: Prendetemi con voi.
M.: Lo sto facendo, ma tu resisti. Dai realtà ai concetti, mentre i concetti travisano la realtà. Abbandona ogni concettualizzazione. Sii serio, in silenzio, attento. E tutto andrà bene.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione

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