34. 26 Dicembre 1970




I.: Sono svedese. Attualmente insegno Hatha Yoga in Messico e negli Stati Uniti.
M.: Dove l'hai imparato?
I.: In America, il mio insegnante era un monaco indù.
M.: Che cosa ti ha fruttato?
I.: Buona salute e un mezzo per vivere.
M.: È tutto quello che volevi?
I.: Cerco la pace della mente. Sono rimasto disgustato dalle crudeltà commesse dai cosiddetti cristiani nel nome di Cristo. Per qualche tempo ho respinto la religiosità. Poi fui attratto dallo yoga, ne ho studiato la filosofia e mi ha giovato.
M.: Da quali segni lo deduci?
I.: Una buona salute è qualcosa di molto tangibile.
M.: Non c'è dubbio che sia piacevole sentirsi bene. Il piacere è tutto quello che ti attendevi dallo yoga?
I.: La gioia di star bene è la ricompensa dell'Hatha Yoga. Ma lo yoga in genere dà ben di più. Risponde a molte domande.
M.: Che cosa intendi per yoga?
I.: L'insieme delle conoscenze dell'India: evoluzione, reincarnazione, dottrina del karma, eccetera.
M.: Hai avuto l'insegnamento che volevi. In che modo ne hai tratto beneficio?
I.: Mi ha offerto la pace della mente.
M.: Davvero? La tua mente è in pace?
I.: Non ancora.
M.: Ovvio. Non esiste la pace della mente. La mente significa disturbo; l'irrequietezza stessa è la mente. Lo yoga non è un attributo della mente, né uno stato mentale.
I.: Un po' di pace l'ho tratta.
M.: Esamina da vicino, e vedrai che la mente ribolle di pensieri. Talvolta può svuotarsi; ma lo fa per breve tempo, e ritorna irrequieta. Una mente sedata non è pacifica.
Hai detto che volevi pacificare la mente. Chi lo vuole, è già pacificato egli stesso?
I.: Poiché non sono in pace, chiedo aiuto allo yoga.
M.: Non vedi una contraddizione? Per vent'anni hai cercato la pace della mente. Non l'hai trovata perché una cosa intrinsecamente inquieta non può essere in pace.
I.: Un progresso c'è.
M.: La pace che sostieni di aver trovato è molto fragile; tutto può disturbarla. Ciò che chiami pace, altro non è che un'assenza di disturbo. A stento merita quel nome. La vera pace non è soggetta a disturbo. Puoi rivendicare una pace della mente che sia inattaccabile?
I.: Mi adopero, tento.
M.: Anche il tentativo è una forma d'inquietudine.
I.: Allora, che rimane?
M.: Il sé non ha bisogno di essere ma di riposare(1). È la pace stessa, non una pace. Solo la mente è inquieta. Tutto ciò che conosce è un'inquietudine in forme e gradazioni diverse. Quelle piacevoli sono considerate superiori, e le spiacevoli, inferiori. Il cosiddetto progresso è solo una conversione dallo spiacevole al piacevole. Ma i cambiamenti, di per sé, non ci menano all'immutabile, perché tutto ciò che incomincia deve finire. Il reale non incomincia; ma solo rivela se stesso come ciò che non ha inizio e non ha fine, diffuso ovunque, onnipotente, immobile e prima fonte del movimento, senza tempo e mutamento.
I.: Che devo fare?
M.: Attraverso lo yoga hai accumulato conoscenza ed esperienza. È innegabile. Ma che uso ne fai? Yoga significa unire, congiungere. Che cosa hai ricongiunto?
I.: Tento di ricongiungere la personalità al vero me stesso.
M.: La persona (vyakti) è immaginaria. Il sé (vyakta) è la vittima dell'immaginazione della persona. Proprio il prenderti per quello che non sei, ti rende schiavo. La persona non è un'entità che esista di diritto, è il sé che crede che ci sia una persona, ed è cosciente di essere quella persona. Al di là del sé manifesto, c'è il non-manifesto (avyakta), la causa non-causata di tutto. Anche parlare di una riunificazione della persona con il sé è improprio, perché non c'è una persona, ma un'immagine mentale prodotta da una falsa realtà in cui si crede. Niente è stato diviso e niente c'è da riunire.
I.: Lo yoga aiuta a cercare e a trovare il sé.
M.: Puoi trovare quello che hai perduto, non quello che è rimasto sempre con te.
I.: Se non avessi mai perso niente, mi sarei illuminato. Ma non è avvenuto. La mia ricerca non è già una prova che ho perso qualcosa?
M.: Prova soltanto che credi di aver perduto. Ma chi lo crede? E che cosa si crede perduto? Hai perduto una persona come sei tu? Qual è il sé, il te stesso che cerchi? Che cosa esattamente ti aspetti di trovare?
I.: La vera conoscenza di me stesso.
M.: La vera conoscenza di te, del sé che è in te, non è un conoscere. Non è qualcosa che trovi rovistando dappertutto(2). Nello spazio e nel tempo non la trovi(3). La conoscenza non è che memoria, un modello, un abito mentale, motivati dal piacere e dal dolore. È perché sei pungolato dal piacere e dal dolore che vai in cerca della conoscenza. Essere se stessi è completamente al di là di ogni motivazione. Non puoi esserlo per un motivo. Lo sei, senza alcuna ragione(4).
I.: Praticando lo yoga, troverò la pace.
M.: Può esserci una pace a parte te stesso? Parli per esperienza o perché l'hai letto sui libri? Anche una conoscenza libresca può servire per incominciare, ma presto dev'essere abbandonata per quella diretta, che per sua natura è inesprimibile. Le parole si possono usare anche per distruggere; le immagini sono fatte di parole, e con le parole sono distrutte. Ti trovi nello stato in cui sei ora, grazie a un pensiero espresso in parole; per la stessa via, devi uscirne.
I.: Ho raggiunto un certo grado di pace interiore. Dovrei distruggerlo?
M.: Ciò che si è ottenuto, non si perde. Quando otterrai la pace vera, quella che non hai mai perduto, essa resterà con te, perché non ti è stata mai lontana. Invece di cercare ciò che non hai, trova ciò che da sempre hai avuto con te(5): ciò che è, prima dell'inizio e dopo la fine di tutto, non-nato e senza-morte(6). Quella perfetta immobilità, non influenzata dalla nascita e dalla morte del corpo e della mente, è lo stato che devi percepire.
I.: Con quali mezzi?
M.: Nella vita niente si ottiene senza superare ostacoli. Gli ostacoli alla distinta percezione del proprio essere sono il desiderio del piacere e la paura del dolore. La motivazione piacere-dolore è ciò che si frappone. La libertà da ogni motivazione, lo stato in cui non sorge alcun desiderio, è lo stato naturale.
I.: L'abbandono dei desideri richiede tempo?
M.: Se lo affidi al tempo, ci vorranno milioni di anni. L'abbandono di un desiderio dopo l'altro è un processo senza fine. I desideri e le paure, lasciali per conto loro, dà tutta la tua attenzione al soggetto, a colui che è dietro l'esperienza del desiderio e della paura. Domàndati: chi desidera? Lascia che ogni desiderio ti riconduca a te stesso.
I.: La radice di tutti i desideri e le paure è unica: la brama di felicità.
M.: La felicità che puoi concepire o desiderare è un appagamento del corpo e della mente. Non è quella vera.
I.: I piaceri del corpo e della mente e la sensazione di benessere che procura la salute, non possono non essere radicati nella realtà.
M.: Nell'immaginazione, semmai. L'uomo cui si dia una pietra, assicurandolo che è un diamante di valore inestimabile, tripudia, finché non si avvede dell'errore; così, quando si conosce il sé, i piaceri perdono il loro sapore piccante e i dolori l'asprezza. Sono visti come sono: reazioni condizionate, piatte ripulse e attrazioni, fondate sui ricordi e i preconcetti.
I.: Il piacere può essere immaginario. Ma il dolore è reale.
M.: Dolore e piacere vanno sempre di concerto. La libertà dall'uno significa libertà da ambedue. Se non badi al piacere, non temerai il dolore. Ma esiste una felicità che non si identifica con nessuno dei due, e che è completamente al di là. Quella che conosci tu è descrivibile e misurabile. È oggettiva, per così dire. Ma ciò che è oggettivo non ti può appartenere. Questo mescolare i livelli è inconcludente. La realtà è oltre il soggettivo e l'oggettivo, al di là di tutti i livelli e di qualsivoglia distinzione. Senza dubbio, non è la loro origine e fondamento.
I.: Ho seguito molti insegnanti, ho studiato molte dottrine, ma nessuna mi ha dato ciò che volevo.
M.: Il desiderio di trovare il sé sarà colmato purché non desideri altro. Devi essere molto onesto con te stesso, e disinteressarti di tutto il resto. Se continui ad alimentare i desideri, e ti impegni per appagarli, il tuo scopo principale subirà un ritardo. Va' dentro, non deviare, non volgerti mai all'esterno(7).
I.: Ma i desideri e le paure sono ancora qui.
M.: Appena scoprirai che la loro radice è nell'attesa nata dalla memoria, cesseranno di ossessionarti.
I.: Ho constatato che il servizio sociale è un compito senza fine, perché miglioramento e peggioramento, progresso e regresso, vanno di conserva. Lo si può notare in ogni campo e ad ogni livello. Che cosa resta?
M.: Qualsiasi opera tu abbia intrapreso, completala. Non assumere nuovi compiti, a meno che non sia richiesto da una concreta situazione di sofferenza o di sollievo dal dolore. Anzitutto, trova te stesso: te ne verranno benedizioni senza fine. Nulla giova al mondo quanto la rinuncia ai vantaggi. L'uomo che non pensa più nei termini di guadagno e perdita è il vero nonviolento, al di là di tutti i conflitti.
I.: Mi ha sempre attratto la non-violenza.
M.: La parola ahimsa significa letteralmente: non fare il male. Ossia la precedenza non è data al far il bene, ma al non danneggiare, al non accrescere la sofferenza. Dar piacere agli altri non è ahimsa.
I.: Non dico il piacere, ma l'aiuto agli altri è una cosa cui tengo moltissimo.
M.: L'unico vero aiuto è liberare dal bisogno di aiuto. Un aiuto reiterato non è più un aiuto.
I.: Come lo si ottiene per sé, e in che modo lo si partecipa?
M.: Quando comprendi che la vita, nella separazione e nel limite, è dolore, e che noi tendiamo naturalmente all'integrazione e all'unità, a realizzarci come puri esseri liberati, in quella scoperta scavalchi il bisogno di aiuto. Il soccorso che puoi dare con precetti ed esempi, è molto meno essenziale di quello che dai semplicemente essendo te stesso. Non puoi dare ciò che non hai, né avere ciò che non sei. Puoi solo dare ciò che sei: e, di quello, a dismisura.
I.: Davvero ogni esistenza è dolorosa?
M.: E quale altra può essere la causa di questa universale ricerca del piacere? Forse che un uomo felice cerca la felicità? Come è inquieta la gente, sempre in agitazione! Perché sono nel dolore, cercano sollievo nel piacere. Tutta la felicità che possono immaginare è nella garanzia di un piacere prolungato.
I.: Se la persona per cui mi prendo non può essere felice, che posso fare?
M.: Cessare di essere quello che sei ora. Non c'è niente di crudele in questa diagnosi. Svegliare un uomo da un incubo è un atto di compassione. Sei venuto qui perché soffri, e io ti dico: déstati, sii te stesso. La fine del dolore non è nel piacere. Quando capisci che sei al di là di ambedue, appartato e inattaccabile, la ricerca della felicità cessa, e anche il dolore che vi si accompagna. Infatti il dolore tende costantemente al piacere e il piacere trapassa in dolore.
I.: Non può esserci dunque felicità nella realizzazione?
M.: Neanche dolore, solo libertà. La felicità è sempre dipendente, e si può perdere; la libertà da tutto, non dipende da alcunché, né si perde. La libertà dal dolore non ha causa, perciò è indistruttibile. Realizzala.
I.: Non sono nato per soffrire a causa del mio passato? È mai possibile la libertà? Sono forse nato perché l'ho voluto?
M.: Che cosa sono la nascita e la morte se non l'inizio e il termine di un grappolo di eventi nella coscienza? A causa dell'idea di separazione e di limite sono due eventi dolorosi. Il sollievo momentaneo dal dolore, lo chiamiamo piacere: ed erigiamo castelli in aria, invocando un piacere senza fine che chiamiamo felicità. È un unico grande equivoco. Déstatene, va' oltre, vivi davvero.
I.: La mia conoscenza è limitata, il mio potere scarso.
M.: Come fonte di ambedue, il sé è al di là sia della conoscenza che del potere. L'osservabile è nella mente. La natura del sé è pura consapevolezza, puro testimoniare, non toccato dalla presenza o assenza del conoscere o del piacere.
Fa' che il tuo essere sia fuori di questo corpo che nasce e che muore, e tutti i tuoi problemi saranno sciolti. Ci sono perché sei convinto di esser nato per morire. Disingànnati e sii libero. Tu non sei la persona.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione

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