I.: Vi osservo: mi sembrate un uomo di pochi mezzi, costretto a fronteggiare i problemi della povertà e della vecchiaia, come chiunque.
M.: Se fossi molto ricco, che cosa cambierebbe? Sono quello che sono. Chi altri potrei essere? Non sono né ricco né povero, sono me stesso.
I.: Tuttavia siete sensibile al piacere e al dolore.
M.: Li avverto nella coscienza, ma io non sono né la coscienza né il suo contenuto.
I.: Dite che nel profondo dell'essere siamo eguali. Come si spiega che la vostra esperienza sia tanto diversa da quella comune?
M.: La mia esperienza non è diversa nei fatti, ma nel modo di valutarli, e nell'atteggiamento. Vedo lo stesso mondo che vedi tu, ma non allo stesso modo. Non c'è niente di misterioso in ciò. Ognuno vede il mondo attraverso l'idea che ha di se stesso. A seconda di come pensi di essere, così pensi che sia il mondo. Se ti immagini separato, anche il mondo ti apparirà tale, e tu proverai desiderio e paura. Io non mi vedo separato, perciò non c'è niente che desideri o tema.
I.: Siete un punto luminoso nel mondo. Non tutti lo sono.
M.: Non c'è differenza tra me e gli altri, eccetto che nel mio conoscermi come sono. Io sono tutto e lo so con certezza, tu no.
I.: Dunque è vero che siamo diversi.
M.: No. La differenza è solo nella mente, ed è temporanea. Io ero come te, tu sarai come me(1).
I.: Dio ha fatto il mondo straordinariamente disuguale.
M.: La disuguaglianza è solo in te. Vediti come sei, e vedrai il mondo com'è: un blocco compatto di realtà, indivisibile, indescrivibile. Il tuo potere creativo proietta su di esso un'immagine, e tutte le domande riguardano quell'immagine.
I.: Uno yoghi tibetano ha scritto che Dio crea il mondo con un fine, e lo governa secondo un piano. Il fine è buono; il piano, sapiente.
M.: Tutto questo è nel tempo, io bado all'eterno. Dei e universi vanno e vengono, incarnazioni si susseguono senza fine, ma in ultimo ritorniamo alla fonte. Parlo della fonte senzatempo di tutti gli dei, con i loro universi, passati, presenti e futuri.
I.: Voi li conoscete, li ricordate?
M.: Quando i ragazzini montano per gioco uno spettacolo, che c'è da vedere o ricordare(2)?
I.: Perché metà dell'umanità è maschile e metà femminile?
M.: Per la felicità degli uni e delle altre. L'impersonale (avyakta) diventa il personale (vyakta), per la gioia reciproca. Grazie al maestro posso contemplare con occhio imparziale sia l'impersonale che il personale. Per me sono tutt'uno. Nella vita il personale s'immerge nell'impersonale.
I.: Come si verifica?
M.: Non sono che i due aspetti di un'unica realtà. È improprio parlare di una precedenza dell'uno sull'altro. Sono interpretazioni dello stato di veglia.
I.: Che cosa produce lo stato di veglia?
M.: Alla radice di ogni processo creativo c'è il desiderio. Il desiderio e l'immaginazione si istigano e rafforzano l'un l'altro. Il quarto stato (turiya) è pura, testimoniante, distaccata consapevolezza, imperturbata e silenziosa. È come lo spazio, non influenzato da ciò che contiene. Le afflizioni del corpo e della mente non lo raggiungono: sono esterne, li, mentre il testimone è sempre "qui".
I.: Che cosa è reale, il soggettivo o l'oggettivo? lo direi che l'universo oggettivo è quello reale, mentre la psiche è mutevole e transitoria. Voi, invece, rivendicate la realtà del mondo interiore, e la negate a quello esterno.
M.: Sia il soggettivo sia l'oggettivo sono mutevoli. Niente che li riguardi è reale. Trova il permanente nel fluttuante, l'unico fattore stabile in ogni esperienza.
I.: Qual é?
M.: Posso dargli molti nomi, indicarlo in molte maniere, ma non gioverà finché non lo vedrai da te. Un miope non scorgerà il passero sul ramo, per quanto tu lo inciti a guardare; nel caso migliore, vedrà il tuo dito. Purifica anzitutto la tua visione, impara a vedere invece di fissare, e distinguerai il passero. Ma devi anche voler vedere. Per conoscerti, ti occorrono chiarezza e serietà, e una maturità del cuore e della mente che ottieni solo mettendo in pratica ogni giorno ciò che hai capito, per poco che sia. Nello yoga non c'è compromesso.
Se vuoi peccare, pecca con tutto il cuore e apertamente. Anche i peccati hanno da insegnare al peccatore serio(3); come le virtù, al santo serio. È la loro mescolanza che è disastrosa. Niente ti blocca più del compromesso, perché mostra una mancanza di serietà senza la quale non puoi far nulla.
I.: Approvo l'austerità, ma in pratica sono tutto per il godimento. L'abitudine a inseguire il piacere e a scansare il dolore è così radicata in me che tutte le mie buone intenzioni non mettono radici nella vita quotidiana. Dirmi che non sono onesto, non mi aiuta, perché non ho la minima idea di come si faccia a diventarlo.
M.: Non sei né onesto né disonesto: dare nomi a degli atteggiamenti serve solo a esprimere che li approvi o li condanni. Il problema non sei tu, ma la mente. Comincia col dissociartene. Ripeti a te stesso con fermezza che non sei la mente, e che i suoi problemi non sono i tuoi.
I.: Anche se lo ripeto all'infinito, la mente non smette di funzionare e i suoi problemi restano tali e quali. Ora però non ditemi che non sono serio, e che dovrei esserlo un tantino di più. Lo so, lo riconosco, e mi limito a chiedervi: com'è successo?
M.: Almeno, lo domandi! Come inizio, è già un buon segno. Continua a riflettere, a stupirti, a voler trovare una via. Sii cosciente di te, concedi alla mente il massimo di attenzione. Senza che te ne avveda, la tua psiche subirà un cambiamento, penserai in modo più chiaro, sentirai con maggior carità e agirai in modo impeccabile. Non occorre che tu aspiri a tutto ciò, semplicemente assisterai al mutamento dentro di te. Infatti, ciò che sei è il risultato della disattenzione, e quello che diverrai sarà il frutto dell'attenzione.
I.: Come può la sola attenzione apportare il cambiamento?
M.: Finora la tua vita è stata oscura e agitata: hanno prevalso il tamas e il rajas. L'attenzione, la vigilanza, la consapevolezza, la chiarezza, la vivacità, il vigore, sono tutte espressioni dell'integrità, dell'adeguamento intrinseco alla tua vera natura (sattva). L'intervento del sattva serve a riconciliare tra loro e a neutralizzare il tamas e il rajas; e a ricostruire la personalità, concordemente alla natura del sé. Il sattva è il fedele servitore del sé, sempre all'erta e obbediente.
I.: E ci arriverò attraverso la sola attenzione?
M.: Non sottovalutarla. Per conoscere, agire, scoprire e creare, devi metterci tutto il cuore, ossia attenzione. Tutte le benedizioni ne fluiranno.
I.: Mi suggerite di concentrarmi sull'"io sono". Anche questa è una forma di attenzione?
M.: Altroché! Da' la tua attenzione indivisa a ciò che è più importante nella tua vita, e che è il centro del tuo universo personale: te stesso(4).
I.: Per conoscermi, dovrei allontanarmi da me. Ma ciò che è lontano da me, non può essere me stesso. Perciò sembra che non possa conoscere me, ma solo ciò che scambio per me stesso.
M.: È vero(5). Come non puoi vedere la tua faccia ma solo il suo riflesso nello specchio, così puoi solo contemplare la tua immagine riflessa nel limpido specchio della pura consapevolezza.
I.: Come ottengo che lo specchio sia limpido?
M.: Ovviamente, rimuovendo le macchie. Come le vedi, le elimini. L'antico insegnamento è valido in pieno.
I.: Che significa vedere e rimuovere?
M.: Lo specchio terso è di tale natura che non puoi vederlo. Qualsiasi cosa tu veda, non può che essere una macchia. Distoglitene, rinuncia ad essa, apprendila come non desiderata.
I.: Tutte le percezioni sono macchie?
M.: Macchie, sì.
I.: Il mondo intero è una macchia?
M.: Lo è.
I.: Che orrore! Dunque l'universo non ha valore?
M.: Un valore immenso. Se lo scavalchi, realizzi te stesso.
I.: Ma come si è formato in principio?
M.: Lo saprai quando finirà.
I.: Quando finirà?
M.: Ora(6).
I.: E perché non finisce?
M.: Perché non glielo consenti.
I.: Voglio che finisca.
M.: Non è vero. Tutta la tua vita è legata ad esso. Passato e futuro, desideri e paure, sono radicati nel mondo. Senza il mondo, dove sei, chi sei?
I.: È proprio quello che sono arrivato a scoprire.
M.: Te lo sto dicendo: trova un punto d'appoggio al di fuori, e tutto sarà limpido e facile.