19. 4 Luglio 1970




I.: Mi guadagno da vivere dipingendo. Dal punto di vista spirituale, che valore ha essere un pittore?
M.: Quando dipingi, a che pensi?
I.: Mentre dipingo, c'è il dipingere e ci sono io, nient'altro.
M.: E che fai, stando lì?
I.: Dipingo.
M.: Non è vero. Tu vedi che il dipingere accade. Sei solo uno spettatore, l'accadere è fuori di te.
I.: Forse che il quadro si dipinge da sé? Oppure c'è un me più profondo, o un Dio, che dipingono?
M.: La coscienza è il pittore più grande. L'intero mondo è un quadro.
I.: Il quadro è nella mente del pittore, e il pittore è nel quadro, che è nella mente del pittore, che è nel quadro! Non è assurda questa serie infinita di stati e dimensioni l'una nell'altra? Se incominciamo a parlare così, poniamo una catena di testimoni che si testimoniano l'un l'altro. È come stare tra due specchi e stupirsi della folla!
M.: E va bene! Diciamo che ci sei tu, e il doppio specchio. Tra i due, i tuoi nomi e forme sono infiniti.
I.: Voi come vedete il mondo?
M.: Vedo un pittore che dipinge un quadro. Il quadro lo chiamo il mondo; il pittore, Dio. Io non sono nessuno dei due. Non creo né sono creato. Contengo tutto, niente contiene me.
I.: Quando vedo un albero, un volto, un tramonto, è un quadro perfetto. Ma se chiudo gli occhi, l'immagine mentale è opaca e confusa. Se è la mente che proietta il quadro, perché solo ad occhi aperti vedo un bel fiore, mentre ad occhi chiusi l'immagine è vaga?
M.: Perché i tuoi occhi esterni sono migliori di quelli interni, e la tua mente è sempre rivolta all'esterno. Ma se impari a osservare il tuo mondo mentale, vedrai che è persino più colorato e attraente di quello che ti offrono i sensi esterni. Ti ci vorrà dell'allenamento, questo sì, ma perché discutere? Tu immagini che il quadro derivi dal pittore che l'ha dipinto. Non fai che pensare alle origini e alle cause. La causalità è nella mente, la memoria fornisce l'illusione della continuità, e l'iterazione produce l'idea di causa. Quando c'è una tendenza delle cose ad accadere ripetutamente una dopo l'altra, pensiamo che siano collegate da un rapporto di causa. Questo rapporto crea l'abitudine, che però non è affatto una necessità.
I.: Avete appena finito di dire che il mondo è stato fatto da Dio.
M.: Non dimenticare che il linguaggio è uno strumento della mente; è fatto dalla mente per il suo stretto uso. Non appena ammetti una causa, ammetterai che Dio è la causa ultima, e il mondo, il suo effetto. Sono diversi, ma non separati.
I.: Taluni dicono di vedere Dio.
M.: Quando vedi il mondo, vedi Dio. Non c'è un vedere Dio, senza il mondo(1). Al di là del mondo, vedere Dio significa esserlo. La luce con cui vedi il mondo-Dio è un puntino infinitesimale, eppure è il primo e ultimo riconoscimento in ogni atto di conoscenza e d'amore: l'"Io sono".
I.: Devo vedere il mondo per scorgere Dio?
M.: Non c'è altra maniera. Senza il mondo, niente Dio.
I.: E se non ci sono né il mondo né Dio, che cosa resta?
M.: Resti tu come puro essere (avyakta).
I.: E il mondo e Dio?
M.: Puro essere, anch'essi.
I.: Il puro essere è lo stesso che il Supremo (Paramakasha)?
M.: Se vuoi. Le parole contano poco, visto che non servono a raggiungerlo. Come affermano, negano.
I.: Che significa vedere il mondo come Dio?
M.: È come entrare in una stanza buia. Non vedi niente, né colori né superfici. Puoi solo toccare, a tastoni. Poi si apre la finestra, e la stanza è inondata di luce. Tornano le forme e i colori. La finestra dà la luce, ma non è la fonte. Il sole è la fonte. Analogamente, la materia è come una stanza buia; la coscienza - la finestra - inonda la materia di sensazioni e percezioni, mentre il Supremo è il sole, la fonte della materia e della luce. Che la finestra sia aperta o chiusa, il sole brilla comunque. La differenza è tutta dalla parte della stanza, non del sole. Tuttavia, anche questo è marginale rispetto al puntino dell'"Io sono". Senza di esso non c'è niente. Sicché non c'è conoscenza che non riguardi l'"Io sono". Ed è l'unica che porti alla libertà e alla gioia. Tutte le idee fallaci su di esso rendono schiavi.
I.: "Io sono" e "c'è" sono lo stesso?
M.: Il primo denota ciò che è interiore; il secondo, ciò che è fuori. Tutt'e due sono radicati nel senso di essere.
I.: Il senso di essere equivale all'esperienza di esistere?
M.: Esistere significa essere-una-cosa, qualcosa, un sentimento, un pensiero, un'idea. L'esistenza è sempre del particolare. Solo l'essere è universale, nel senso che ogni essere è compatibile con qualsiasi altro. Esistenza significa divenire, mutare, nascere, morire e rinascere; nell'essere c'è la pace silenziosa(2).
I.: Se il mondo lo creo io, perché l'ho fatto tanto brutto?
M.: Ognuno vive in un suo mondo. Non tutti i mondi sono egualmente buoni o cattivi.
I.: A che si deve la differenza?
M.: La mente che proietta il mondo lo colora a modo suo. Quando incontri un uomo per la prima volta, ti è estraneo. Quando lo sposi, diventa un altro te stesso. Quando litighi, diventa il tuo nemico. È l'atteggiamento della mente a determinare ciò che sei a te stesso.
I.: Ammetto che il mondo sia soggettivo. Ciò lo rende anche illusorio?
M.: È illusorio finché è soggettivo, e solo nella misura in cui è tale. La realtà è nell'oggettività.
I.: Che significa oggettività? Prima avete detto che il mondo è soggettivo, e ora tirate in ballo l'oggettività. Ma non è tutto soggettivo?
M.: Ogni cosa è soggettiva, ma il reale è oggettivo.
I.: Sarebbe a dire?
M.: Che il reale non dipende dai ricordi, dalle attese, dai desideri e dalle paure. Si vede tutto com'è.
I.: Questa è l'esperienza del quarto stato (turiya)?
M.: Chiamalo come vuoi. È solido, saldo, immutabile, senza inizio e senza fine, sempre ora, sempre fresco.
I.: Come si raggiunge?
M.: L'assenza di desiderio e di paura ti ci porta direttamente.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione

Home