18. 1 Luglio 1970




I.: Il vostro modo di descrivere l'universo come un composto di materia, mente e spirito, è uno dei tanti. Esistono altri modelli ai quali l'universo sarebbe conforme, e si è molto perplessi sulla loro attendibilità. Si finisce col sospettare che siano sistemazioni di puro rilievo verbale, e che la realtà ecceda qualsiasi modello che tenti di spiegarla.
La struttura dell'universo, secondo voi, sarebbe triplice: il madhakash, il chidakash e il paramakash corrispondono rispettivamente al campo della materia-energia, a quello della coscienza, e al puro spirito. Il madhakash è un'estensione sottomessa al moto e all'inerzia. Lo percepiamo ma abbiamo anche coscienza di percepire. Perciò ci sarebbero due realtà: la materia-energia e la coscienza. La materia si direbbe situata nello spazio, mentre l'energia scorre nel tempo, essendo legata al mutamento e misurabile in base alla sua velocità. La coscienza sembra essere in qualche modo qui e adesso, in un singolo punto dello spazio e del tempo. Ma voi sembrate dire che anche la coscienza è universale, il che la rende senza tempo, senza spazio e impersonale. Posso capire che non ci sia contraddizione tra l'atemporale e l'aspaziale e il qui e adesso, ma non riesco a cogliere che cosa possa essere la consapevolezza impersonale. Per me la coscienza è sempre focalizzata, centrata, individualizzata, insomma una persona. Sembra che voi diciate che ci può essere un percepire senza il percettore, un conoscere senza il conoscitore, un amare senza l'amante, un agire senza colui che agisce. La coscienza implica un essere cosciente, un oggetto di coscienza e il fatto che si è coscienti. Definisco la persona ciò che è cosciente. Essa vive nel mondo, ne fa parte, lo influenza e ne è influenzata.
M.: Perché non indaghi quanto siano reali il mondo e la persona?
I.: Non ho bisogno di indagare. Mi basta che la persona non sia meno reale del mondo in cui sta.
M.: Allora qual è la domanda?
I.: Sono reali le persone e mentali o concettuali gli universali, o viceversa?
M.: Non sono reali né gli uni né gli altri.
I.: Certamente io sono abbastanza reale da meritare la vostra risposta, e io sono una persona.
M.: Non quando dormi.
I.: L'immersione nel sonno non è un'assenza. Anche addormentato, sono.
M.: Per essere una persona devi essere cosciente di te. Lo sei sempre?
I.: Quando dormo, no, né quando sono svenuto o drogato.
M.: Durante la veglia, la tua coscienza è continua?
I.: No, talvolta sono assente o semplicemente assorto.
M.: E in questi vuoti della coscienza sei sempre la persona?
I.: Ma è ovvio che sono lo stesso. Mi ricordo com'ero ieri e l'anno scorso, sono sempre la mia persona.
M.: Per esserlo, ti occorre la memoria?
I.: Va da sé.
M.: E senza la memoria, chi sei?
I.: Una memoria incompleta comporta una personalità parimenti incompleta. Senza memoria non posso esistere come persona.
M.: Invece puoi esistere benissimo. Nel sonno, è sempre così.
I.: Solo nel senso che sono vivo. Ma la persona non c'è.
M.: Visto che ammetti che come persona hai un'esistenza intermittente, puoi dirmi chi sei negli intervalli in cui non ti senti una persona?
I.: In questo caso, posso solo dire di esistere.
M.: La vogliamo chiamare esistenza impersonale?
I.: La chiamerei piuttosto inconscia: sono, ma non so di esserlo.
M.: Questa stessa affermazione potresti farla quando sei privo di coscienza?
I.: No.
M.: Puoi solo dire al passato "Non sapevo; non ero cosciente", nel senso che non ricordavi.
I.: Se non ero cosciente, come potrei ricordare, e che cosa?
M.: Ma eri davvero senza coscienza o sei semplicemente dimentico?
I.: C'è modo di distinguerlo?
M.: Vàluta un po'. Ricordi ogni secondo della tua giornata di ieri?
I.: No.
M.: Cioè, sei cosciente, ma non ricordi?
I.: Sì.
M.: Forse nel sonno avevi coscienza ma non puoi ricordarlo.
I.: Dormivo. Non ero come una persona cosciente.
M.: Come lo sai?
I.: Me lo dicono quelli che mi hanno visto dormire.
M.: Possono solo asserire che ti hanno visto giacere ad occhi chiusi, col respiro regolare. Non potevano stabilire se eri cosciente o no. L'unica prova è la tua memoria. Una prova assai labile, a quanto pare.
I.: Ammetto che nei termini in cui l'ho posto, sono una persona solo durante la veglia. E non so chi sono fra uno stato e l'altro.
M.: Almeno ora sai di non sapere! Visto che sostieni di non avere coscienza negli intervalli durante la veglia, lasciali perdere. Occupiamoci solo della veglia.
I.: Nei sogni sono la stessa persona.
M.: D'accordo. Esaminiamoli insieme, veglia e sogno. La differenza sta solo nella continuità. Se i tuoi sogni fossero sostanzialmente continui, portando ogni notte le stesse immagini e uguali personaggi, non sapresti distinguere tra la veglia e il sogno. Perciò d'ora in poi, parlando dello stato di veglia, includeremo quello di sogno.
I.: Diciamo pure che sono una persona in rapporto consapevole col mondo.
M.: Il mondo e il consapevole rapporto sono essenziali al tuo essere la persona?
I.: Anche murato in una caverna, resto una persona.
M.: Il che implica un corpo e una caverna. E un mondo in cui esistano.
I.: Me ne rendo conto. Il mondo e la coscienza del mondo sono essenziali alla mia esistenza di persona.
M.: Ciò rende la persona una parte del mondo, e il mondo una parte della persona. I due sono tutt'uno.
I.: La coscienza è a sé. La persona e il mondo appaiono nella coscienza.
M.: Hai detto: appaiono. Potresti aggiungere: scompaiono?
I.: No. Posso solo essere consapevole dell'apparire mio e del mondo. Come persona, non posso dire: "il mondo non è". Senza il mondo, non sarei qui a dirlo. È perché c'è il mondo, che io son qui, e dico che c'è.
M.: O viceversa. Il mondo c'è perché ci sei tu.
I.: Per me quest'affermazione è priva di senso.
M.: La sua mancanza di senso può scomparire se indaghiamo.
I.: Da dove si parte?
M.: Io so una sola cosa: che tutto ciò che dipende non è reale(1). La realtà è intrinsecamente non-dipendente. Dato che l'esistenza della persona dipende da quella del mondo e ne è circoscritta e definita, la persona non può essere reale.
I.: Ma nemmeno può essere un sogno.
M.: Anche il sogno esiste, quando è conosciuto, goduto o alimentato. Qualunque cosa tu pensi o senta, esiste. Ma può non essere ciò che credi che sia. Quella che credi una persona, può essere tutt'altro.
I.: Sono quello che so di essere.
M.: Non puoi proprio dirlo! Le tue idee su di te mutano di giorno in giorno, e di momento in momento. La tua immagine è quanto di più mutevole tu abbia. È vulnerabilissima, alla mercé di chiunque. Un lutto, la perdita di un lavoro, un'offesa, e l'immagine di te, che chiami persona, cambia radicalmente. Per sapere chi sei, devi prima indagare e sapere che cosa non sei. E per saperlo, devi osservarti attentamente, e respingere tutto ciò che non s'attaglia al fatto fondamentale: "Io sono".
Le idee del tipo: sono nato in un certo tempo e luogo dai miei genitori, e ora sono il tal dei tali, non riguardano l'"Io sono". Il nostro atteggiamento usuale è di affermare "Sono questo". Prova a separare l'"io sono" dal "questo", e cerca di avvertire che significa essere, essere soltanto, senza "questo" o "quello". Tutte le tue abitudini vi si oppongono, e la lotta contro di esse è lunga e difficile, ma una chiara comprensione è del massimo aiuto. Quanto più ti rendi conto che al livello della mente puoi solo essere descritto in termini negativi, tanto più in fretta verrai a capo della tua ricerca, e coglierai il tuo essere illimitato(2).



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione

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