16. 17 Giugno 1970




I.: Ho incontrato molti realizzati, mai un liberato. Con la liberazione ci si libera anche del corpo?
M.: Che cosa intendi per realizzazione e liberazione?
I.: La realizzazione direi che è un'esperienza di pace, di bellezza e bene insieme. Ho provato qualcosa di simile: il mondo si colma di significato, l'essenza e la sostanza si fondono. Dura poco ma è indimenticabile. È un ricordo stupendo e anche un desiderio struggente. Direi che la liberazione è quando quello stato di grazia diventa duraturo. Ora vorrei sapere se essa va d'accordo con la sopravvivenza del corpo.
M.: Che cosa non va nel corpo?
I.: Il corpo è debole e dura poco. Crea bisogni e desideri insaziabili. Limita, e fa soffrire.
M.: E con ciò? Lascia pure che le sue espressioni siano limitate. La liberazione non è del corpo, ma del sé, appena è sottratto alle idee false imposte dall'"io". Anche se è eccelsa, non è però un'esperienza specifica.
I.: E dura sempre?
M.: L'esperienza non può che essere temporanea. Ciò che incomincia deve finire.
I.: Dunque non esiste la liberazione, come esperienza permanente?
M.: Al contrario. Siamo liberi sempre. Sei cosciente di essere e libero di esserlo. Nessuno può sottrartelo. Ti sei mai scoperto non-esistente o noncosciente?
I.: Posso non ricordarlo, ma questo non smentisce che di tanto in tanto sia incosciente.
M.: Perché non risali dall'esperienza allo sperimentatore, e cogli l'importanza dell'unica valida affermazione: "io sono"?
I.: Come si fa?
M.: Non c'è un modo. Tieni a mente l'"Io Sono", immergiti in esso finché il sentimento e il pensiero diventano tutt'uno. Dopo prove e riprove, raggiungerai il giusto equilibrio di attenzione e amore, e la mente sarà fermamente installata nell'"Io Sono". Qualunque cosa tu pensi, dica o faccia, è sullo sfondo di questa condizione inalterata e amorevole.
I.: E voi la chiamate liberazione?
M.: La chiamo normalità. Perché non stare con agio e felicità nell'essere, conoscere e agire? Perché ritenerlo così eccezionale da prevedere l'immediata distruzione del corpo? Che cosa non va col corpo, che dovrebbe morire? Rettifica il tuo atteggiamento verso il corpo, e lascialo solo. Evita sia l'indulgenza sia il tormento eccessivi. Lascia che il corpo faccia il suo corso, per lo più al di sotto dell'attenzione cosciente.
I.: Il ricordo di quello stato di grazia mi perseguita. Vorrei riviverlo.
M.: Non puoi se ci tieni. La tensione del desiderio blocca l'accesso a un'esperienza più profonda. Niente che conti può accadere a una mente che sa esattamente ciò che vuole. Perché niente di ciò che la mente possa immaginare e volere, vale davvero(1).
I.: Allora che cosa vale la pena di volere?
M.: Il massimo. La più vertiginosa felicità, l'assoluta libertà. L'assenza di desiderio è il colmo della gioia.
I.: Non voglio la libertà dai desideri, ma la libertà di soddisfarli.
M.: Sei libero di soddisfarli. In realtà non fai altro.
I.: Mi provo, ma gli ostacoli mi frustrano.
M.: Superali.
I.: Non sono abbastanza forte.
M.: Che cosa ti rende debole? Che cos'è la debolezza? Se gli altri soddisfano i loro desideri, perché tu non dovresti?
I.: Si vede che manco di energia.
M.: E che le è successo? L'hai forse sparpagliata fra tanti desideri e ricerche a contrasto? La tua dotazione di energia non è inesauribile.
I.: Perché no?
M.: I tuoi scopi sono modesti. Non puntano al massimo. Solo l'energia di Dio è infinita: perché non desidera niente per sé. Sii come Lui, e tutti i desideri ti saranno colmati. Quanto più alti saranno gli scopi e vasti i desideri, tanta maggiore energia avrai per soddisfarli. Desidera il bene di tutti, e l'universo sarà con te. Ma se aspiri a un piacere solo tuo, devi procacciartelo nel modo più duro. Prima di desiderare, meritalo.
I.: Studio filosofia, sociologia e scienze dell'educazione. Penso mi ci voglia un più ampio sviluppo mentale per tendere alla realizzazione. Sono sulla pista giusta?
M.: Per guadagnarsi la vita, occorre una competenza precisa. La conoscenza generalizzata sviluppa senza dubbio la mente. Ma se tendi nella vita solo a un accumulo di conoscenza, elevi un muro intorno a te. Per andare oltre la mente, non è indispensabile un equipaggiamento intellettuale perfetto.
I.: Allora che devo fare?
M.: Diffida della mente e scavalcala.
I.: Che cosa troverò oltre la mente?
M.: L'esperienza diretta dell'essere-conoscere-amare.
I.: Come si trascende la mente?
M.: I punti di partenza sono tanti. Lo scopo è unico. Puoi incominciare con l'azione disinteressata e la rinuncia ai frutti; poi coltiverai l'abbandono dei pensieri; infine, di tutti i desideri. Il fattore-chiave è l'abbandono (tyaga). Oppure puoi ignorare tutto ciò che ti capiti di desiderare, pensare o fare, e ti concentri sull'"io sono", dopo averlo reso un pensiero e un sentimento. Qualsiasi esperienza sopraggiunga, resti imperturbabile e annoti imperterrito che tutto ciò che puoi percepire è transitorio, e solo l'"io sono" dura.
I.: Non posso dedicarmi a queste pratiche per tutta la vita. Ho i miei doveri.
M.: Bada ai tuoi doveri, vivaddio! L'azione che non ti coinvolga emotivamente, che sia benefica e senza dolore non ti vincolerà. Puoi essere impegnatissimo ed efficiente, e restare interiormente libero e quieto, con una mente tersa, che rispecchia senza aderire(2).
I.: È mai realizzabile?
M.: Se non lo fosse, non ne parlerei. Perché dovrei occuparmi di fantasie?
I.: Tutti citano le Scritture.
M.: Quelli che conoscono solo le Scritture non sanno niente. Conoscere significa essere. Ciò di cui parlo lo so non perché l'ho letto o sentito dire.
I.: Studio il sanscrito con un insegnante, ma non mi limito a leggere le Scritture. Cerco l'autorealizzazione e mi sono imbattuto nella guida giusta. Che devo fare?
M.: Visto che conosci le Scritture, perché domandi?
I.: Le Scritture danno le direttive generali, ma l'uomo ha bisogno di istruzioni proprio sue.
M.: Il maestro esterno (guru) è solo una pietra miliare. La vera guida (sadguru) è il sé dentro di te, ossia te stesso. Solo il maestro interiore ti condurrà allo scopo, perché lui è lo scopo.
I.: Non è mica facile raggiungere il maestro interiore.
M.: Visto che è in te e con te(3), non dovrebbe essere difficile. Guarda dentro e lo troverai.
I.: Se guardo dentro, trovo sensazioni e percezioni, pensieri e sentimenti, desideri e paure, ricordi e aspettative. Avvolto in questa nuvola, non vedo niente.
M.: Ciò che vede tutto questo e anche il niente, è il maestro interiore. Lui solo è, tutto il resto appare. È te stesso, la tua forma intrinseca (swarupa), la tua speranza e garanzia di libertà. Trovalo, attàccati a lui, e sarai al sicuro.
I.: Vi credo, ma quando si tratta di cogliere questo essere interno, vi assicuro, mi sfugge sempre.
M.: Il pensiero - "mi sfugge" - dove si annida?
I.: Nella mente.
M.: Chi conosce la mente?
I.: Il testimone della mente.
M.: È mai venuto qualcuno da te, dicendo: "Sono il testimone della tua mente"?
I.: No. È solo un'altra idea della mente.
M.: Allora, chi è il testimone?
I.: Io.
M.: Dunque conosci il testimone perché sei lui. Non ti occorre vedertelo di fronte. Ecco un'altra conferma che essere è conoscere.
I.: Sì. Sono il testimone e la consapevolezza di questo fatto. Ma a che mi serve?
M.: Che domanda! Ti aspetteresti un vantaggio? Non ti basta sapere ciò che sei?
I.: Quali sono gli usi dell'autoconoscenza?
M.: Comprendere ciò che non sei, e liberarti dal falso: idee, desideri, e azioni.
I.: Se sono soltanto il testimone, che differenza c'è a far bene o male?
M.: Ciò che ti aiuta a conoscerti è bene; è male ciò che te lo impedisce. Conoscere se stessi è pura gioia; dimenticarlo è dolore.
I.: La coscienza-testimone è il vero sé?
M.: È il riflesso del reale nella mente (buddhi). Il reale è al di là. Il testimone è la porta che ti serve per attraversare.
I.: Qual è lo scopo della meditazione?
M.: Vedere il falso nel falso: ininterrottamente.
I.: Ci dicono di meditare con regolarità.
M.: Praticare ogni giorno e deliberatamente la discriminazione tra il vero e il falso, e rinunciare al falso, è meditazione. Per incominciare molti metodi sono adatti, ma convergono tutti in uno.
I.: Diteci, per favore, qual è la scorciatoia per l'autorealizzazione.
M.: Non c'è una via breve o lunga, ma taluni sono più ansiosi, e altri meno. Posso dire di me. Ero un uomo semplice, ma diedi fiducia al mio maestro. Feci come disse: mi concentrai sull'"io sono". Precisò che ero al di là di ogni percezione e pensiero: gli credetti. Ci misi l'anima e il cuore, l'attenzione, tutto il tempo libero (per il resto lavoravo e badavo alla famiglia). Il risultato della fede e della tenace applicazione fu che in tre anni mi realizzai.
Tu potrai seguire una strada diversa, ma sarà sempre la serietà a determinare la misura del progresso.
I.: Che altro mi suggerite?
M.: Instàllati consapevolmente nell'"io sono". Questo è l'inizio e anche il termine di ogni impresa.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione

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