Nisargadatta Maharaj
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96. 24 Marzo 1972




I.: Sono americano, e ho trascorso l'ultimo anno in un ashram nel Madhya Pradesh, per studiare lo yoga nei suoi vari aspetti. Il maestro del nostro insegnante è un discepolo del grande Sivananda Saraswati, e vive a Monghyr. Sono anche stato nell'ashram di Ramana. A Bombay ho seguito un corso intensivo di meditazione birmana, diretto da un certo Goenka. Ma la pace non l'ho trovata. L'autocontrollo e l'applicazione quotidiana sono migliorati, ma niente di più. Non posso ricostruire esattamente la causa e l'effetto. Luoghi santi ne ho visti molti. Come abbiano agito su di me, non so.
M.: I buoni risultati verranno, presto o tardi. Allo Sri Ramanashram hai ricevuto istruzioni?
I.: Sì, da alcuni insegnanti inglesi, e anche da un indiano, cultore di gnana yoga, residente lì.
M.: Che progetti hai?
I.: Devo rientrare negli Stati Uniti. Vorrei completare l'Università, studiare la medicina naturale e farne la mia professione.
M.: Una buona professione, senza dubbio.
I.: C'è qualche pericolo nel seguire la vita dello yoga a tutti i costi?
M.: È pericoloso un fiammifero quando la casa è in fiamme? Cercare la realtà è l'impresa più pericolosa, perché distruggerà il mondo in cui vivi. Ma se il tuo scopo è l'amore della verità e della vita, non c'è da temere.
I.: Temo la mia mente. È così instabile!
M.: Le immagini appaiono e scompaiono nello specchio della mente. Lo specchio rimane. Impara a riconoscere l'immobile nel mobile, l'invariabile nel mutevole, finché vedrai che tutte le differenze sono solo apparenti, e che l'unicità è un fatto. Questa identità di base puoi chiamarla Dio, Brahman, o matrice (prakriti); le parole contano poco, basta scoprire che tutto è uno. Non appena puoi dire: "io sono il mondo, il mondo è me" con la fiducia di chi l'ha provato di persona, sei libero dal desiderio e dalla paura, e diventi totalmente responsabile del mondo. L'insensata sofferenza del genere umano diventa il tuo unico interesse.
I.: Così anche un realizzato ha i suoi problemi!
M.: Sì, ma non sono più opera sua. Il suo dolore non è avvelenato da un senso di colpa. Non c'è nulla di male a soffrire per i peccati degli altri. Il tuo Cristianesimo si basa su questo.
I.: Ma tutta la sofferenza non si crea da sé?
M.: Sì, finché c'è un sé separato a crearla. Alla fine sai che non c'è peccato, né colpa, né ricompensa, ma solo la vita nelle sue infinite trasformazioni. Se dissolvi l'"io", la sofferenza personale cessa. Resta la grande tristezza della compassione, l'orrore del dolore inutile.
I.: Esiste qualcosa d'inutile nello schema della realtà?
M.: Nulla è necessario o inevitabile. L'abitudine e la passione accecano e ingannano. La consapevolezza compassionevole sana e redime. Non c'è nulla che possiamo fare, ma solo lasciare che le cose accadano secondo la loro natura.
I.: Consigliate la completa passività?
M.: Chiarezza e carità sono azione. L'amore non è pigro, e la chiarezza guida. Non occorre che ti preoccupi per l'azione, bada alla mente e al cuore. L'egoismo e la stupidità sono l'unico male.
I.: È meglio ripetere il nome di Dio o meditare?
M.: La ripetizione ti stabilizzerà il respiro. La respirazione quieta e profonda fa aumentare la vitalità, stimola il cervello, e aiuta la mente a diventare pura, stabile, e adatta alla meditazione. Senza vitalità si può far poco, da qui l'importanza di proteggerla e accrescerla. Posizione del corpo e respirazione sono una parte dello yoga, perché il corpo deve essere sano e sotto controllo, senza eccessi di concentrazione che alla fine lo danneggiano, e senza dimenticare che all'inizio la mente è tutto. Se la rendi quieta e incapace di disturbare lo spazio interiore (chidakasha), il corpo acquista un nuovo significato, e la sua trasformazione diventa necessaria e possibile.
I.: Ho girato tutta l'India, ho incontrato molti maestri e appreso vari yoga in piccole dosi. È giusto avere un assaggio di tutto?
M.: No, è solo un approccio. A un certo punto incontrerai un uomo che ti aiuterà a trovare la tua via.
I.: Se trovo un maestro da me, sento che non può essere quello giusto. Dovrebbe arrivare inaspettato, come un fatto irresistibile.
M.: La cosa migliore è non anticipare. Il modo in cui rispondi è decisivo.
I.: Sono padrone delle mie risposte?
M.: La discriminazione e il distacco, se li pratichi ora, matureranno a suo tempo. Se le radici sono sane e bene irrorate, i frutti saranno sicuramente dolci. Sii puro, vigile, tienti pronto.
I.: A che servono austerità e penitenza?
M.: Affrontare tutte le vicissitudini della vita è una penitenza sufficiente! Non occorre che ti inventi altri guai. Affrontare gioiosamente qualunque cosa la vita ti porti, è tutta l'austerità che ti occorre(1).
I.: E il sacrificio?
M.: Condividi volontariamente e con gioia tutto ciò che hai, con chiunque ne abbia bisogno; non inventare crudeltà da subire(2).
I.: Che cos'è arrendersi?
M.: Accettare le cose come vengono.
I.: Sento di essere troppo debole per reggermi da solo. Mi occorre la santa compagnia di un maestro e di buona gente. L'equanimità è al di là delle mie forze. Accettare le cose come vengono, mi terrorizza. Inorridisco al pensiero del ritorno negli Stati Uniti.
M.: Invece devi andare, e giocare le tue carte il meglio possibile. Concludi anzitutto gli studi. Puoi sempre tornare in India per ricerche sulla medicina naturale.
I.: Sono ben consapevole delle possibilità che avrò negli Stati Uniti. È la solitudine che mi fa orrore.
M.: Hai sempre la compagnia di te stesso: non sei solo. Ma se sei estraniato, ti sentiresti solo anche in India. Dopo il ritorno in America, ti prego, non far nulla che sia indegno della gloriosa realtà nel tuo cuore, e sarai felice e tale rimarrai. Ma devi cercare il sé; e quando l'hai trovato, stargli accanto.
I.: La completa solitudine mi gioverà?
M.: Dipende dal tuo temperamento. Puoi lavorare in mezzo agli altri, vigile e cordiale, e maturare assai più che in una oziosa solitudine, alla mercé delle chiacchiere senza fine della mente(3). Non immaginare di cambiare grazie allo sforzo. La violenza, anche quando è auto-inflitta, come nel caso delle austerità e penitenze, rimane sterile.
I.: C'è modo di capire chi è realizzato e chi no?
M.: La sola prova sta dentro di te. Se ti capita di tramutarti in oro, sarà un segno che hai toccato la pietra filosofale. Statti accanto, e osserva che cosa accade alla tua persona. Non domandare agli altri. Il loro maestro può non essere il tuo. Un maestro può essere universale nell'essenza, ma non nell'espressione. Può sembrare adirato, avido o troppo in ansia per la sua comunità o la famiglia, o può darsi che sia tu ingannato dalle apparenze, e non gli altri.
I.: Non ho il diritto di pretendere da me l'assoluta perfezione, sia dentro che fuori?
M.: Dentro: sì. Ma quella esterna dipende dalle circostanze, dalle condizioni del corpo personale e sociale, e da molti altri fattori.
I.: Mi fu consigliato di trovare un saggio per imparare l'arte di realizzarmi, ed ora sento dire che è tutto sbagliato, che non posso rendermi conto di quel che sia un saggio, e che non ci sono mezzi con cui acquistare la conoscenza. Che confusione!
M.: Perché hai completamente frainteso la realtà. La tua mente è immersa nell'abitudine di valutare e acquisire, e non vuole ammettere che l'incomparabile e l'irraggiungibile sono lì, fuori del tempo, dentro il cuore, in attesa che tu li riconosca. Tutto quello che devi fare è abbandonare i ricordi e le attese. Lìmitati a tenerti pronto, in assoluta nudità e impersonalità.
I.: Chi attua l'abbandono?
M.: Dio. Tu accontentati di provarne il bisogno(4). Non resistere, non attaccarti alla persona per cui ti prendi. Immagini di essere una persona, e credi che anche il realizzato lo sia, magari di una qualità un po' diversa, con più nozioni e più potere. Potresti descriverlo come un essere sempre consapevole e beato, ma anche ciò è lontano dal vero. Non fidarti di definizioni e descrizioni: sono ingannevoli.
I.: Se non mi si dice che cosa devo fare e come, mi sento perduto!
M.: E perditi, vivaddio(5)! Finché ti senti sicuro e fiducioso, la realtà ti sfugge. Se non accetti l'avventura interiore come un modo di vivere, la scoperta non verrà a te.
I.: La scoperta di che?
M.: Del centro del tuo essere, che è libero da tutte le direzioni, mezzi e fini.
I.: Vuol dire: essere, conoscere, avere?
M.: Vuol dire: non essere, non conoscere, non avere alcunché. Questa è l'unica vita che valga la pena, l'unica gioia da provare.
I.: Ammetto che l'obiettivo è oltre la mia comprensione. Fatemi almeno conoscere la strada.
M.: Devi trovarla da te. Altrimenti, non sarà la tua e non ti porterà da nessuna parte. Vivi seriamente la verità che hai trovato; agisci secondo il poco che hai capito. È la serietà che ti farà compiere l'opera, non l'abilità tua o d'altri.
I.: Temo gli errori. Ho tentato tante cose: non ne è venuto fuori nulla.
M.: Hai dato troppo poco di te, eri semplicemente curioso, non serio.
I.: Non saprei fare di più.
M.: Almeno questo, lo sai. Non avvalorare le tue esperienze, visto che sono superficiali; dimenticale via via che finiscono. Vivi una vita pulita, aperta, tutto qui.
I.: La moralità è importante?
M.: Non mentire, non offendere: non è importante? Ti occorre soprattutto la pace interiore: che esige armonia tra l'interno e l'esterno. Fa' ciò in cui credi, e credi in ciò che fai. Tutto il resto è una perdita d'energia e di tempo.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione


Vedi Eckhart:
(E1 a pag. 160) Se si cerca soltanto la volontà di Dio si deve accettare quello che ci capita, o che ci viene manifestato, come un dono di Dio.
Vedi Eckhart:
(E2 a pag. 80 segg.) Molta gente crede di dover compiere grosse opere esteriori: digiunare, andare scalzi ed altre cose ancora, che si chiamano opere di penitenza. Ma la vera penitenza, quella migliore, che permette di fare i più grandi progressi, consiste nell'abbandonare completamente tutto ciò che è altro da Dio e dal divino, in se stesso ed in tutte le creature [...] Questa penitenza è uno spirito distaccato da tutte le cose che si rivolge a Dio. Compi dunque coraggiosamente quelle opere che più ti fanno giungere a ciò, ma se, al contrario, qualche opera esteriore - digiuno, veglia, lettura o che sia - è per te un ostacolo, lasciala perdere, senza timore di trascurare così una opera di penitenza.
Vedi Eckhart:
(E2 a pag. 64) Mi è stata posta questa questione: alcuni vorrebbero separarsi completamente dagli altri e stare soli, e in ciò troverebbero la pace, e nello stare in chiesa: è questa la cosa migliore? Allora io ho risposto di no, ed ecco perché. Chi è come deve essere, in verità, si trova bene in ogni luogo e con chiunque, ma chi non è come deve essere, non si trova bene in alcun luogo né con alcuna persona.
Vedi Eckhart:
(E3 a pag. 25) La grazia è una presenza interiore, un'adesione, un'unione con Dio, e là Dio è con te, allora avviene la nascita [del Figlio unigenito in te]. A nessuno deve sembrare impossibile giungervi. Cosa me lo impedisce, per quanto difficile sia, dal momento che è Lui che la compie? [...] Alcuni mi dicono che non hanno [la grazia]. Allora io dico: "Mi dispiace. Ma la desideri?". 'No." "Questo mi dispiace ancora di più!" Se non la si ha, che se ne abbia almeno il desiderio. Se non se ne ha nemmeno il desiderio, si desideri almeno il desiderio.
Vedi Margherita:
(MP, cap. 41) Tale Anima non fa più nulla né per Dio né per sé, ed ha così perduto i sensi che non sa cercare né trovare Dio, e neanche guidare se stessa.