Nisargadatta Maharaj
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83. 18 Dicembre 1971




I.: L'altro giorno dicevate che all'origine della vostra realizzazione c'è stata la fede nel maestro. Vi assicurò che eravate la Realtà Suprema, e che non c'era nient'altro da fare. Gli avete creduto, lasciando alle cose di seguire il loro corso, senza tensioni, né sforzi. Ci terrei a sapere se vi sareste ugualmente realizzato senza la fede nel maestro. Dopotutto, quello che siete siete, sia con la fiducia che senza; a meno che il dubbio non ostacoli l'effetto delle parole del maestro, rendendole sterili.
M.: L'hai detto: sarebbero rimaste sterili - per un po' -.
I.: E il potere implicito nelle parole del maestro?
M.: Sarebbe rimasto latente. Vorrei dire però che la domanda poggia su un equivoco. Il maestro, il discepolo e l'amore e la fiducia che li anima, sono una cosa sola, non tanti fatti indipendenti. Ognuno è parte dell'altro. Senza amore e fiducia non ci sarebbe stato né maestro, né discepolo, né rapporto reciproco. È come pigiare un interruttore per accendere una lampadina. Ottieni la luce perché lampadina, filo, interruttore, trasformatore, linee di trasmissione e centrale elettrica formano un tutto unico. Mancando uno solo di questi fattori, non può esserci la luce. Non devi separare l'inseparabile. Le parole non creano i fatti; o li descrivono o li distorcono. Il fatto non è mai verbale.
I.: Ancora non capisco: è o non è infallibile la parola del maestro?
M.: Le parole di un realizzato non mancano mai il bersaglio. Attendono le giuste condizioni, il che può richiedere un certo tempo, com'è naturale, perché c'è una stagione per seminare e una per mietere. Ma la parola di un maestro è un seme che non muore. Certo dev'essere un maestro vero, un uomo che ha trasceso il corpo, la mente e la stessa coscienza; che è andato al di là dello spazio e del tempo, della dualità e dell'unità, della comprensione e della descrizione. Uomini dabbene e istruiti, potranno insegnarti molte cose utili, ma non sono dei veri maestri, le cui parole si avverano. Potranno perfino dirti che sei la realtà ultima in persona, e con ciò?
I.: Tuttavia, se per qualche motivo mi capita di affidarmi e obbedire a uno di loro, verrò a perderci?
M.: Se sei capace di dar fiducia e obbedire, troverai presto il vero maestro, o meglio, sarà lui a trovarti.
I.: Chi conosce se stesso, diventa per questo un maestro? E si può conoscere la realtà, anche se non si sa condurvi altri ad attingerla?
M.: Se conosci ciò che insegni, puoi insegnare ciò che conosci. Conoscenza e ammaestramento sono tutt'uno. Ma la realtà assoluta è al di là di ambedue. Quelli che si sono autonominati maestri, parlano di maturità e sforzo, di meriti e acquisti, di destino e grazia; sono parole, proiezioni di una mente asservita. Invece di aiutare, ostacolano.
I.: Come posso stabilire a chi affidarmi e di chi diffidare?
M.: Diffida di tutti, finché non sei convinto. Il vero maestro non ti umilierà mai, né ti estranierà da te stesso. Ti riporterà costantemente al fatto della tua perfezione intrinseca, e t'incoraggerà a cercare all'interno. Sa che non hai bisogno di nulla, nemmeno di lui, e non si stanca di ricordartelo(1). Un maestro di propria nomina s'interessa molto più a se stesso che ai discepoli.
I.: Secondo voi, la realtà è oltre ciò che si può conoscere e insegnare di essa; ma - domando - la conoscenza del reale non è già il cosiddetto Supremo, e il saperlo insegnare, la prova che lo si è raggiunto?
M.: La conoscenza del reale o del sé è uno stato della mente. Insegnare a un'altra persona è un movimento nella dualità. Sia in un caso che nell'altro, riguardano la mente, ed essa soltanto. Il sattva Guna è pur sempre solo una qualità.
I.: Allora che cos'è reale?
M.: Chi sa vedere la mente come il non-realizzato e il realizzato, e l'ignoranza e la conoscenza come stati della mente, quegli è reale. Quando ti offrono dei diamanti mescolati al terriccio, puoi perderli o trovarli, ma è la capacità di vedere che conta, non ciò che vedi, il terriccio. Che ne è del grigiore della pietruzza e dello splendore del diamante senza il potere della visione? Il conosciuto è una forma, la conoscenza un nome, e il conoscitore uno stato della mente. Il reale è oltre.
I.: La conoscenza oggettiva, le idee sulla realtà e l'autoconoscenza, non sono certo la stessa cosa. Alle prime occorre un cervello, all'altra no.
M.: Puoi sistemare le parole e distribuire i significati come vuoi, resta il fatto che tutta la conoscenza è una forma di ignoranza. La mappa più accurata è pur sempre un pezzo di carta. Ogni conoscenza sta nella memoria; è l'arte di riconoscere, mentre la realtà è oltre il dualismo del conoscitore-conosciuto.
I.: Allora con che cosa si conosce la realtà?
M.: Com'è ingannevole il tuo linguaggio! Dai per scontato, e non te ne accorgi, che la realtà, come fosse una cosa tra le altre, sia conoscibile. Dopodiché introduci la figura ipotetica di un conoscitore della realtà, al di là di essa. La realtà, per essere, non ha bisogno di essere conosciuta. Convincitene. Ignoranza e conoscenza sono nella mente, non nella realtà.
I.: Se il reale non si conosce, come lo raggiungo?
M.: Non ti occorre raggiungere ciò che è già in te. Il fatto stesso di raggiungerlo, te lo fa perdere. Abbandona l'idea che non l'hai trovato, e lascialo entrare nel fuoco della percezione diretta, qui-ora, rimuovendo tutto ciò che è della mente.
I.: Quando va via tutto l'eliminabile, che cosa resta?
M.: Il vuoto, la consapevolezza, la pura luce dell'essere coscienti. È come chiedere che cosa resta di una stanza, quando è svuotata dei mobili. Resta un'utilissima stanza. E quando anche i muri siano abbattuti, resta lo spazio. E al di là dello spazio e del tempo, il qui-ora della realtà.
I.: E il testimone rimane o no?
M.: Finché c'è la coscienza, c'è anche il suo testimone. I due appaiono e scompaiono insieme.
I.: Se anche il testimone è transitorio, perché gli si dà tanta importanza?
M.: Per rompere l'incantesimo del conosciuto, l'illusione che solo il percepibile sia reale.
I.: La percezione è primaria; il testimone, secondario.
M.: Questo è il cuore della faccenda. Finché credi reale solo il mondo esterno, ne sei schiavo. Per liberarti, devi volgere la tua attenzione all'"io sono", il testimone. Naturalmente, il conoscitore e il conosciuto sono uno, non due(2), ma per rompere l'incantesimo del conosciuto, il conoscitore deve essere posto in primo piano. Nessuno ha priorità sull'altro, sono entrambi dei riflessi nella memoria dell'esperienza ineffabile, sempre nuova e sempre ora, intraducibile, più veloce della mente.
I.: Sono un umile ricercatore, che va da un maestro all'altro in cerca della liberazione. La mia mente è ammalata, brucia di desiderio, è gelata dalla paura. I giorni scorrono, rossi di dolore, grigi di noia. L'età avanza, la salute decade, il futuro è buio e terrificante. Di questo passo vivrò nella sofferenza e morirò nella disperazione. C'è qualche speranza per me? O sono arrivato troppo tardi?
M.: Non c'è nulla di sbagliato in te, ma le idee che hai su di te sono un mucchio di falsità. Non sei tu che desideri, temi e soffri, ma la persona, cementata nel corpo dalle circostanze e dagli influssi. Quella persona non è te. Fìccatelo bene in testa, e non perderlo mai di vista. Normalmente ci vuole una lunga disciplina, anni di austerità e meditazione.
I.: La mia mente è debole. Mi mancano la forza e la tenacia per il sadhana. Sono un caso senza speranza.
M.: In un certo senso, invece, sei un caso molto promettente. C'è un'alternativa alla disciplina, che è la fiducia. Se sei a corto di convinzione - che viene dalla ricerca fruttuosa - approfitta della mia scoperta. Sono pronto a condividerla con te, ed è presto detta: tu non sei estraniato dalla realtà, non lo sei mai stato né lo sarai mai. Sei colmo e perfetto qui, ora, e nulla può privarti del tuo patrimonio: ciò che sei. Sei come me, ma lo ignori. Non sai chi sei e perciò t'immagini di essere chi non sei. Tutti i desideri, le paure, lo sconforto sono radicati in quell'unico errore e nella tua frenetica e futile attività di fuga. Abbi semplicemente fede in me, e vivi con quella fiducia. Non t'inganno. Sei la Suprema Realtà, al di là del mondo e dei suoi creatori, della coscienza e del suo testimone, di ogni affermazione e negazione. Ricordalo, pensaci, agisci in conformità. Abbandona ogni senso di separazione, vediti riflesso in tutto, e opera in conseguenza. Con l'azione verrà la beatitudine, e con questa la convinzione. Dopotutto dubiti di te perché sei in pena. Non si può immaginare una gioia naturale, spontanea e duratura. O c'è o non c'è. Quando comincerai ad assaporare la pace, l'amore e la felicità non causata, tutti i dubbi spariranno. Lìmitati a impadronirti di ciò che dico e vivi concordemente.
I.: Mi suggerite di vivere di ricordi?
M.: Lo fai in ogni caso. Ti chiedo semplicemente di sostituire la memoria vecchia con quella di cui ti parlo io. Agisci in base ai nuovi ricordi, come prima facevi coi vecchi. Non temere. Per un po' di tempo, per forza, ci sarà un conflitto tra i ricordi vecchi e i nuovi, ma se ti metti risolutamente dalla parte di questi, la lotta finirà, e presto realizzerai lo stato in cui si è se stessi senza sforzo, né si è ingannati dai desideri e dalle paure, prodotti dall'illusione.
I.: Molti maestri hanno l'abitudine di dare un segno concreto della loro grazia: il copricapo, il bastone, la ciotola delle elemosine, o un vestito, trasmettendo o confermando così l'iniziazione ai discepoli. Non vedo alcun valore in simili pratiche. Non è l'autorealizzazione che si trasmette, ma il darsi importanza. A che serve sentirsi dire qualcosa di adulatorio, ma falso? Da un lato mi mettete in guardia contro i maestri che si proclamano tali, dall'altro mi chiedete di avere fede in voi. Perché sareste un'eccezione?
M.: Non ti chiedo di aver fiducia in me, ma nelle mie parole, e di ricordarle; voglio la tua felicità, non la mia. Diffida di coloro che mettono una distanza fra te e il tuo vero essere, e si offrono come mallevadori(3). Io non faccio nulla del genere. Non prometto, nemmeno. Ti dico semplicemente: se hai fede nelle mie parole e le metti alla prova, scoprirai da te quanto siano vere. Se pretendi una prova prima di avventurarti, non posso che affermare: io sono la prova. Ho confidato nelle parole del maestro e le ho ricordate, scoprendo che aveva ragione: io ero, sono e sarò la realtà infinita, onnicomprensiva, che tutto trascende.
Non hai il tempo o l'energia per pratiche lunghe. Ecco, ti offro un'alternativa. Accetta le mie parole sulla fiducia, e vivi ripartendo da zero, oppure vivi e muori nel dolore.
I.: Mi pare troppo bello per essere vero.
M.: Non farti ingannare dalla semplicità del consiglio. Coloro che hanno il coraggio di aver fede sono pochissimi: o i veri innocenti o i veri disperati. Sapere che sei prigioniero della mente, che vivi in un mondo immaginario creato da te, è l'alba della sapienza. Non tenere a niente di quel mondo, essere pronti ad abbandonarlo, è serietà. Questa sola serietà, nata dall'autentica disperazione, ti spingerà ad aver fede in me.
I.: Non ho sofferto abbastanza?
M.: La sofferenza ti ha reso tardo, incapace di vedere la sua enormità. Il tuo primo compito è di osservare la sofferenza dentro e intorno a te; il successivo, di bramare la liberazione. L'intensità del desiderio sarà la tua guida; non te ne occorre altra.
I.: Il dolore mi ha resto tardo, indifferente perfino alla sua esistenza.
M.: Può darsi che non sia il dolore ma il piacere che ti ha istupidito. Indaga.
I.: Qualunque sia la causa, sono ottuso. Non ho la volontà né l'energia.
M.: Oh, no. Ne hai a sufficienza per il primo passo(4). E ogni passo genererà l'energia sufficiente per il successivo. L'energia viene con la fiducia, e questa con l'esperienza.
I.: È giusto cambiare molti maestri?
M.: Perché no? I maestri sono come pietre miliari. È naturale muovere dall'uno all'altro. Ognuno ti indica la direzione e la distanza, mentre il sad guru, il maestro eterno, è la via stessa. Appena comprendi che la via è la mèta, e che sei sempre in cammino, non per raggiungerla ma per godere della sua bellezza e sapienza, la vita cessa di essere un'impresa penosa e diventa semplice e naturale, un'estasi in sé.
I.: Allora non è necessario adorare, pregare, o praticare lo yoga?
M.: Spazzare il pavimento, lavare, e farsi il bagno tutti i giorni, non fa male. L'autoconsapevolezza ti dice a ogni passo che cosa devi fare. Quando tutto è fatto, la mente rimane quieta.
Ora sei nello stato di veglia, hai un nome e una forma, sei una persona con le sue gioie e i suoi dolori. Prima che tu nascessi, questa persona non c'era; né esisterà dopo la tua morte. Invece di lottare con la persona per farla diventare ciò che non è, perché non oltrepassi lo stato di veglia e abolisci del tutto la vita personale? Non devi estinguere la persona, ma vederla nella giusta prospettiva.
I.: Un'altra domanda. Avete detto che, prima di nascere, ero tutt'uno con la pura essenza della realtà; se è così, chi ha deciso che nascessi?
M.: In realtà non sei mai nato e non morirai(5). Ma ora immagini di essere e di avere un corpo, e ti chiedi che cosa lo ha prodotto. Entro i limiti dell'illusione la risposta è: il desiderio nato dalla memoria ti attira verso un corpo, e ti fa pensare di coincidergli. Ma ciò è vero da un punto di vista relativo. Infatti, non c'è alcun corpo, né un mondo che lo contenga: c'è solo un atteggiamento mentale, uno stato di sogno, pronto a dileguare non appena se ne metta in dubbio la realtà.
I.: Dopo la vostra morte, ritornerete? Se vivessi tanto a lungo, vi rincontrerei.
M.: Per te il corpo è reale, per me non c'è. Per come mi vedi, esisto solo nella tua immaginazione. Sicuramente mi vedrai ancora se e quando avrai bisogno di me. Questo non mi tocca, come il sole non è toccato da albe e tramonti. E perché non è toccato, è sempre lì(6).
Tu sei schiavo della conoscenza, io no. Non ho quell'insicurezza che ti fa desiderare di sapere. Sono curioso come un bambino. Ma non è l'ansia che mi fa cercare rifugio nella conoscenza. Perciò non mi interessa sapere se rinascerò, o quanto durerà il mondo. Sono domande nate dalla paura.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione


Vedi Eckhart:
(E2 a pag. 118) Chi vuol riconoscere la nobiltà e l'utilità del perfetto distacco, deve considerare la parola che Cristo ha pronunciato sulla sua propria umanità, quando disse ai suoi discepoli: È necessario che io vi lasci, perché se non vi lascio, non verrà in voi lo Spirito santo (Gv. 16,7).
Vedi Eckhart:
(E2 a pag. 203) Come ho detto spesso, v'è nell'anima qualcosa di tanto legato a Dio da essere uno, e non unito.
Vedi Margherita:
(MP, cap. 5) Quest'Anima non vuole più nulla per mediazione.
Vedi Eckhart:
(E1 a pag. 208) Per quanto sottile e puro possa essere il mezzo con cui conosco Dio, esso deve andarsene.
Vedi Eckhart:
(E1 a pag. 163) L'uomo deve rivolgere il proprio volere a Dio in ogni opera, ed avere negli occhi Dio solo. E così proceda, e non abbia timore, senza stare a considerare se così va bene per non compiere passi falsi. Infatti, se un pittore, dovendo dare il primo tratto di penna, considerasse tutti gli altri, non concluderebbe nulla. Se qualcuno dovesse recarsi in una città, e stesse a considerare come fare il primo passo, non concluderebbe nulla. Perciò l'uomo deve seguire la prima ispirazione e procedere avanti; allora giunge dove deve, e va bene così.
Vedi Eckhart:
(E1 a pag. 137) Perciò io sono non nato, e, secondo il modo del mio non esser nato, non posso mai morire. Secondo il modo del mio non esser nato, io sono stato in eterno, e sono ora, e rimarrò in eterno.
Vedi Margherita:
(MP, cap. 24) Proprio come il sole ha la luce di Dio, ed illumina tutto senza contaminarsi, così queste Anime hanno il loro essere da Dio e in Dio, e non si contaminano per quello che vedono o ascoltano fuori di loro.
Vedi Eckhart:
(E2 a pag. 187) La luce divina è troppo nobile per avere comunanza con le potenze dell'anima, infatti Dio è estraneo e lontano da tutto quel che tocca ed è toccato. È proprio perché le potenze sono toccate e toccano, che esse perdono la loro verginità.