Nisargadatta Maharaj
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71. 22 Settembre 1971




I.: È ampiamente dimostrato il danno che i discepoli arrecano al maestro. Fanno progetti e li attuano senza curarsi della sua volontà. Alla fine c'è un infinito darsi pensiero per il maestro, e tanto dispetto verso i condiscepoli.
M.: Sì, succede.
I.: Chi costringe il maestro a sopportare tali bassezze?
M.: Il maestro è fondamentalmente privo di desiderio. Vede ciò che accade, ma non sente il bisogno di intervenire. Non sceglie, non decide. Come un puro testimone, guarda ciò che avviene e resta impassibile.
I.: Ma la sua opera ne soffre.
M.: La vittoria - alla fine - è sempre sua. Sa che se i discepoli non impareranno dalle sue parole, impareranno dai loro errori. Interiormente rimane quieto e silenzioso. Non si sente separato. L'universo è suo, compresi i discepoli con i loro piani meschini. Nulla in particolare lo influenza, semmai tutto lo influenza in pari misura.
I.: Che cos'ha di speciale la grazia del maestro?
M.: È costante e indiscriminata: non è concessa a uno e negata all'altro.
I.: In che modo mi tocca personalmente?
M.: È grazie al maestro che la tua mente si volge a cercare la verità ed è grazie a lui se la raggiungi. La grazia del maestro opera immancabilmente per il tuo bene ultimo. Ed è per tutti.
I.: Tra i discepoli alcuni sono pronti, maturi, ed altri no. Non sta al maestro, in questo caso, di scegliere e decidere?
M.: Il maestro conosce le cose ultime e vi sospinge inesorabilmente il discepolo. Questi, cammin facendo, incontra mille difficoltà che deve superare da sé. È come la gravitazione. Il frutto cade quando nulla lo trattiene.
I.: Se il discepolo non vede il fine, come può intercettare gli ostacoli?
M.: Il fine lo mostra il maestro, gli ostacoli li scopre il discepolo. Il maestro non ha preferenze, ma i discepoli che sono più irretiti negli ostacoli, sembrano lasciati indietro.
In realtà il discepolo è come il maestro: un centro inesteso di percezione e amore in azione. Ma la sua immaginazione e l'identificazione con l'immaginato, lo confinano e lo convertono in una persona. Il maestro non bada alla persona. La sua attenzione è volta all'osservatore interno, che ha il compito di comprendere, eliminando con ciò stesso la persona. Alla grazia del maestro, deve corrispondere l'abnegazione del discepolo.
I.: Ma la persona non vuole essere eliminata.
M.: La persona è solo il risultato di un equivoco. In realtà non esiste. Sentimenti, pensieri e azioni corrono davanti all'osservatore in successione senza fine, lasciando delle tracce nel cervello e creando un'illusione di continuità. Un barlume dell'osservatore riflesso nella mente, crea il senso dell'"io", e la persona acquista un'esistenza apparentemente indipendente. In realtà non c'è alcuna persona, c'è solo l'osservatore che si identifica con l'"io" e il "mio". Il maestro dice all'osservatore: tu non sei questo, non c'è nulla di tuo in ciò, tranne l'"io sono": il puntolino che fa da ponte tra l'osservatore e il suo sogno. "Io sono questo", "io sono quello", è sogno, mentre l'"io sono", puro e semplice, ha impresso su di sé il marchio della realtà.
Quante cose hai assaggiato! Si sono risolte tutte in nulla. Solo l'"io sono" è rimasto immutato. Nel mutevole scegli di stare con l'immutabile, finché non sarai in grado di andare oltre.
I.: Quando avverrà?
M.: Non appena avrai rimosso gli ostacoli.
I.: Quali ostacoli?
M.: Il desiderio del falso e la paura del vero. La persona che è in te immagina che al maestro tu interessi personalmente. Non è così. Per lui la tua persona è un fastidio, un intralcio da rimuovere. In realtà egli mira a eliminarti come fattore nella coscienza.
I.: Se vengo eliminato, che cosa rimane?
M.: Nulla, e tutto. Rimarrà il senso dell'identità, ma non più l'identificazione con un corpo particolare. L'essere-consapevolezza-amore splenderanno come un'unica luce. La liberazione non è mai della persona, è dalla persona.
I.: E non resta traccia della persona?
M.: Solo un vago ricordo, come quello di un sogno o del primissimo tempo d'infanzia. Dopotutto, che c'è da ricordare? Un flusso di eventi, perlopiù accidentali e insignificanti? Una serqua di desideri, paure e inani sbagli? C'è qualcosa che valga la pena di ricordare? La persona è un guscio che t'imprigiona.
I.: A chi chiede di rompere il guscio? Chi deve romperlo?
M.: Spezza i legami della memoria e dell'autoidentificazione, e il guscio si disferà da sé. C'è un centro che dà realtà a tutto ciò che percepisce. Basta comprendere che tu sei la fonte della realtà, che la dai, invece di prenderla, e che non ti serve nessun appoggio, nessuna conferma. Le cose sono come sono perché tu le accetti come sono. Se smetti di accettarle, si dissolveranno. Qualsiasi cosa alla quale pensi con desiderio e con paura, ti si para innanzi come reale. Osservala senza sentimento, e perderà consistenza. Il piacere e il dolore sono momentanei. È più facile ignorarli che agire in base ad essi.
I.: Se tutto è destinato a finire, perché si manifesta?
M.: La creazione è il prodotto naturale della coscienza. Grazie alla coscienza si manifestano le apparenze. La realtà è oltre la coscienza.
I.: Se siamo consapevoli delle apparenze, come mai non lo siamo del fatto che sono pure apparenze?
M.: La mente dissimula la realtà, senza conoscerla. Per conoscere la natura della mente, bisogna saperla osservare in tacita e spassionata consapevolezza.
I.: Se la mia natura è identica a quella della coscienza universale, perché mi toccano l'ignoranza e l'illusione?
M.: In realtà non ti hanno mai toccato. Trova il sé al quale addebiti l'ignoranza e l'illusione, e la tua domanda otterrà risposta. Parli come se conoscessi il sé, e lo vedessi dominato dall'ignoranza e dall'illusione. In realtà, non lo conosci, né sei consapevole dell'ignoranza. Fa' di tutto per diventare consapevole, così perverrai al sé, e vedrai che in esso non c'è ignoranza né illusione. Come sotto alla pietra c'è il buio, nonostante la luminosità del sole, così all'ombra della coscienza dell'"io-sono-il-corpo", devono esserci ignoranza e illusione.
I.: Ma perché è sorta la coscienza del corpo?
M.: Non chiedere "perché", chiedi "come". È nella natura dell'immaginazione creatrice identificarsi con ciò che crea. Puoi arrestarla in qualsiasi momento staccando l'attenzione, o impiegandola per cercare.
I.: Viene prima la creazione o la ricerca?
M.: Prima si crea un mondo, poi l'"io sono" diventa una persona, variamente infelice. Si mette in cerca della felicità, incontra un maestro che dice: "Non sei la persona, scopri chi sei". Lo fa, e passa oltre.
I.: Perché non lo ha fatto dall'inizio?
M.: Non gli è venuto in mente. Aveva bisogno che glielo dicesse qualcuno.
I.: Ed è sufficiente?
M.: Lo è.
I.: Nel mio caso non funziona.
M.: Non hai fiducia in me.
I.: Perché la mia fede è debole?
M.: I desideri e le paure ti hanno offuscato la mente. Ha bisogno di una buona strigliata.
I.: Come mi schiarisco la mente?
M.: Osservandola spietatamente. La disattenzione oscura, l'attenzione rischiara.
I.: Perché i maestri indiani sostengono l'inazione?
M.: Le azioni e le attività sono in gran parte senza valore, se non decisamente nocive. Dominati dal desiderio e dalla paura, gli uomini non possono agire bene. La cessazione dell'esercizio del male deve precedere quello del bene. Di qui la necessità di sospendere temporaneamente tutte le attività, per indagare sugli impulsi e le motivazioni, per riconoscere ciò che è falso nella propria vita, e purgare la mente dal male. Solo allora puoi ripristinare l'azione, a partire dai tuoi ovvi doveri(1). Naturalmente, se hai la possibilità di aiutare qualcuno, fallo subito e con tutto te stesso; non attendere di essere perfetto. Ma non fare nemmeno l'altruista di professione.
I.: Non mi pare che tra i discepoli abbondino gli altruisti. I più sono presi dai loro conflitti meschini. Non hanno cuore per gli altri.
M.: Sii paziente con loro. Per troppi anni hanno badato a tutto meno che a se stessi. Adesso, per cambiare, lascia che si occupino di sé.
I.: Quali sono i frutti dell'autoconsapevolezza?
M.: Aumenta l'intelligenza. Se nella consapevolezza apprendi, nell'autoconsapevolezza apprendi su di te. Naturalmente, conoscerai solo ciò che non sei. Per conoscere chi sei, devi andare oltre la mente.
I.: La consapevolezza non è oltre la mente?
M.: La consapevolezza è il punto in cui la mente si espande nella realtà. Nella consapevolezza non si cerca ciò che piace, ma ciò che è vero.
I.: La consapevolezza produce uno stato di silenzio interiore, di vuoto psichico.
M.: È vero, ma non basta. Hai mai provato la vacuità che tutto abbraccia, in cui l'universo naviga come una nube nel cielo di smalto?
I.: Vorrei prima conoscere bene il mio spazio interiore.
M.: Abbatti il muro, svelli l'idea "io-sono-il-corpo", e l'interno e l'esterno diventeranno tutt'uno.
I.: Devo morire.
M.: La distruzione fisica conta poco. Ciò che ti lega è l'attaccamento alla vita dei sensi. Se potessi sperimentare in pieno il vuoto interiore, l'esplosione nella totalità sarebbe vicina.
I.: La mia esperienza spirituale ha le sue stagioni. A volte tocco il cielo, poi ripiombo a terra. Sono come il ragazzo dell'ascensore: su e giù, su e giù.
M.: Tutti i cambiamenti nella coscienza dipendono dall'idea "io-sono-il-corpo". Senza di essa la mente diventa salda. Affiora il puro essere, libero di sperimentare ciò che vuole, Ma, per realizzarlo, non basta ascoltare o anche memorizzare ciò che il maestro ti dice. Se non fai di tutto per applicare ogni sua parola nella vita quotidiana, non lamentarti se non progredisci. Tutti i veri progressi sono irreversibili. Gli alti e bassi mostrano che l'insegnamento non è stato preso a cuore e tradotto pienamente in azione.
I.: L'altro giorno dicevate che il karma non esiste. Eppure ogni cosa ha una causa, e la somma complessiva di tutte le cause può esser chiamata karma.
M.: Finché crederai di essere un corpo, attribuirai delle cause a tutto. Non dico che le cose non siano causate. Ognuna ha innumerevoli cause. È così, perché il mondo è così. Ogni causa nelle sue ramificazioni copre l'universo.
Quando scopri che puoi essere a volontà ciò che accetti di essere(2), e che sei ciò che appari a causa dell'ignoranza(3) o dell'indifferenza, sei libero di ribellarti e di cambiare. Ti consenti di essere ciò che non sei, e cerchi le cause che ti fanno essere così. Ma è futile! C'è una sola causa, ed è l'ignoranza del tuo vero essere, che è perfetto e al di là di ogni causa. L'universo è responsabile di tutto ciò che accade; e tu sei la sua origine.
I.: Non ne so niente.
M.: Perché non cerchi. Indaga, scruta dentro, e saprai.
I.: Come può un puntolino come me creare l'universo?
M.: In ospedale ogni paziente diventa il centro di un'immensa e complessa attività onirica. Lo stesso capita quando si è colpiti dal virus dell'"io-sono-il-corpo". Quando s'incomincia ad averne abbastanza, si fantastica sulla liberazione, e si assumono iniziative del tutto futili. Ci si concentra, si medita, ci si tortura la mente e il corpo, si fanno cose superflue e naturalmente si perde l'essenziale, che è l'eliminazione della persona.
I.: Un po' di preghiera e di meditazione all'inizio, possono servire a predisporre l'auto-analisi.
M.: Se lo credi, fallo. Secondo me, ogni dilazione è un ritardo. Puoi saltare tutti i preparativi e andare direttamente alla fase finale della ricerca interiore. Di tutti gli yoga questo è il più semplice e breve.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione


Vedi Eckhart:
(E2 a pag. 92) Prima di tutto, bisogna impegnarsi per prendere delle salde buone abitudini. Se, infatti, un uomo non esercitato volesse agire come uno esercitato, non farebbe nulla di buono e si perderebbe totalmente. Soltanto quando l'uomo si è prima liberato di tutte le cose, rendendole estranee a se stesse, può applicarsi con prudenza alle opere, dedicandovisi senza scrupolo o privandosene senza difficoltà.
Vedi Eckhart:
(E2 a pag. 70) Se tu possiedi una volontà giusta, niente ti mancherà: né amore, né umiltà, né alcuna virtù. Ciò che tu vuoi con tutta la tua volontà, tu lo possiedi, e non te lo può togliere né Dio né alcuna creatura, purché la tua volontà sia integra e veramente divina, e applicata al presente. Non devi dire perciò: Vorrei..., giacché questo rimanda al futuro, ma invece: Voglio che ora sia così.
Vedi Eckhart:
(E2 a pag. 189) È così per le persone che vivono nella ignoranza: non sanno cosa è Dio, e sembra loro e si immaginano di vivere, ma un tale sapere non viene da Dio.