70. 18 Settembre 1971
M.: Da dove venite? Perché siete qui?
I.: Vengo dall'America e il mio amico dall'Irlanda. Negli ultimi sei mesi ho girato da un ashram all'altro. Il mio amico è venuto per conto suo.
M.: Che cosa hai visto?
I.: Sono stato nelI'ashram di Ramana Maharshi e ho anche visitato Rishikesh. Qual è la vostra opinione su Ramana?
M.: Siamo entrambi nello stesso antico stato(1). E tu che cosa sai di lui? Visto che sei convinto di essere un corpo con un nome, non puoi percepire altro che corpi e nomi.
I.: Se vi capitasse di incontrare Ramana, che succederebbe?
M.: Probabilmente ci sentiremmo molto felici. Potremmo anche scambiare qualche parola.
I.: Ma vi riconoscerebbe come un liberato?
M.: Naturalmente. Come un uomo riconosce un uomo, così due liberati si riconoscono(2). Non si può apprezzare ciò che non si è provato. Si è ciò che si pensa di essere, ma non si può pensare di essere ciò di cui non si è fatta esperienza.
I.: Per diventare ingegnere, devo imparare l'ingegneria. Che cosa devo imparare per diventare Dio?
M.: Disimparare tutto. Dio è il termine di ogni desiderio e conoscenza(3).
I.: Intendete che diventerei Dio solo rinunciando al desiderio di diventarlo?
M.: Poiché la tua forma è fatta dei tuoi desideri, quando non ne resta nessuno, torni al tuo stato naturale.
I.: Come faccio a sapere di aver raggiunto la perfezione?
M.: Non puoi conoscere la perfezione, ma solo l'imperfezione. Perché ci sia conoscenza, devono esserci separazione e disarmonia. Ciò che non sei puoi conoscerlo, ma ciò che sei puoi solo esserlo. La via d'accesso è la comprensione, che sta nel vedere il falso come falso. Ma per capire, devi osservare dal di fuori.
I.: Il concetto vedantico di maya, illusione, si riferisce al manifesto. La nostra conoscenza del non manifestato è perciò inattendibile, tuttavia dovremmo fondarci su di essa.
M.: Puoi conoscere solo l'attuato. Il non manifestato, il potenziale sono inconoscibili.
I.: Perché il conoscitore sarebbe ignoto?
M.: Il conoscitore conosce il conosciuto. Tu conosci il conoscitore? Chi è il conoscitore del conoscitore? Vuoi conoscere il non manifestato: puoi dire di conoscere il manifestato?
I.: Conosco cose, idee e le loro relazioni. È la somma complessiva delle mie esperienze.
M.: È tutto?
I.: Diciamo che è la somma di tutte le esperienze vissute. Ammetto di non conoscere ciò che non è avvenuto.
M.: Se il manifestato è la somma complessiva di tutte le esperienze vissute, inclusi gli sperimentatori, quanto del totale conosci? Veramente una minima parte. E che cos'è il poco che sai?
I.: Alcune esperienze sensoriali dirette.
M.: Nemmeno quelle. Sai solo di reagire, ma ignori chi reagisce e a che cosa. Sai di esistere perché tocchi l'"io sono". L'io sono "questo" o "quello" sono immaginari.
I.: Conosco il manifestato perché ne partecipo. Ammetto che la mia parte sia minima, tuttavia è altrettanto reale della sua totalità. E, ciò che più conta, le do significato. Senza di me il mondo è buio e silenzioso.
M.: Una lucciola che illumina il mondo! Tu non dai significato al mondo, lo scopri. Immergiti profondamente in te e trova la fonte da cui sgorgano i significati. Sicuramente non è la mente superficiale che li dispensa.
I.: Che cosa mi rende limitato e superficiale?
M.: Il tutto è aperto e disponibile, ma non puoi prenderlo. Sei attaccato alla personcina che credi di essere. I tuoi desideri sono angusti; le tue ambizioni, meschine. Alla fin fine, senza un centro di percezione, dov'è ciò che si manifesta? Se non è percepito, il manifestato equivale al non manifestato. E il punto percipiente sei tu, l'origine inestesa di tutte le dimensioni. Conosciti come il tutto.
I.: Come può un punto contenere l'universo?
M.: C'è spazio sufficiente in un punto per un'infinità di universi. Non è la capacità che manca. L'unico problema è l'autolimitazione. Ma non si può fuggir via da se stessi. Per lontano che si vada, si torna a sé e al bisogno di capire questo punto che è un nulla, e insieme l'origine di ogni cosa.
I.: Sono venuto in India per trovare un maestro di yoga. Lo sto ancora cercando.
M.: Quale yoga vuoi praticare, quello del prendere o quello del lasciare?
I.: Alla fine non coincidono?
M.: E come potrebbero? Uno rende schiavi, l'altro libera. È il motivo che conta soprattutto. La libertà viene con la rinuncia. Ogni possesso è schiavitù.
I.: Perché dovrei rinunciare a ciò che ho la forza e il coraggio di tenere? E se non ho la forza, come posso rinunciare? Non capisco questo bisogno di rinuncia. Quando voglio qualcosa, perché non dovrei perseguirla? La rinuncia è per i deboli.
M.: Se non hai la saggezza e la forza di rinunciare, lìmitati a guardare le cose che possiedi. Il mero guardarle le brucerà. Se riesci a stare al di fuori della mente, presto constaterai che la rinuncia totale al possesso e al desiderio è la cosa più ovvia e sensata da fare.
Crei il mondo e poi te ne preoccupi. L'egoismo ti rende debole. Se pensi di avere la forza e il coraggio di desiderare, è perché sei giovane e inesperto. Invariabilmente, l'oggetto del desiderio distrugge i mezzi per ottenerlo e dopo un po' avvizzisce. Ed è il meglio che possa accadere, perché t'insegna a evitare il desiderio come il veleno.
I.: Come faccio a praticare l'assenza di desiderio?
M.: Non occorre pratica, nessun atto di rinuncia. Basta distogliere la mente. Il desiderio è la fissazione della mente su un'idea. La scovi ignorandola.
I.: Questo è tutto?
M.: È tutto. Qualunque sia il desiderio o la paura, ignorali. Prova e vedrai. Potrà sfuggirti una volta, non importa. Ritenta, finché lo spazzar via ogni desiderio e paura, ogni reazione, diverrà automatico.
I.: Come si può vivere senza emozioni?
M.: Puoi avere tutte le emozioni che vuoi, ma bada alle reazioni, alle emozioni indotte. Sii interamente regolato e fondato sull'interno, mai sull'esterno.
Rinunciare a una cosa per assicurarsene una migliore, non è vero abbandono. Rinuncia piuttosto perché vedi che non ne vale la pena. Più ti alleni a rinunciare, e più crescerenno in te spontaneamente intelligenza, energia, amore e una gioia illimitata.
I.: Perché è così importante abbandonare i desideri e le paure? Non sono naturali?
M.: Sono mentali. Devi rinunciare a tutto per vedere che non hai bisogno di nulla, nemmeno del corpo. I tuoi bisogni sono irreali e i tuoi sforzi inutili. Immagini che i tuoi possessi ti proteggano. In realtà ti rendono vulnerabile. Renditi conto di essere al di là di tutto ciò che puoi indicare come "questo" o "quello". Sensazioni o definizioni non possono raggiungerti. Distoglitene. Rifiutati di impersonare.
I.: Ed ora che vi ho ascoltato?
M.: L'ascolto fine a se stesso serve a poco. Devi riflettere su ciò che ho detto, e cercare di capire qual è lo stato mentale che mi fa parlare così. Ti parlo dalla verità; allunga la mano e afferrala. Tu non sei ciò che pensi di essere, ti assicuro. L'immagine che hai di te è fatta di ricordi, ed è puramente accidentale.
I.: Ciò che sono è il risultato del mio karma.
M.: Non sei quello che appari. Karma è solo una parola che hai imparato a ripetere. Non sei stato né sarai mai una persona. Rifiuta di considerarti tale. Ma finché non metti nemmeno in dubbio di essere il tal dei tali, c'è poca speranza. Se rifiuti di aprire gli occhi, che cosa ti si può mostrare?
I.: Immagino che il karma sia un potere misterioso che mi spinge alla perfezione.
M.: Così ti è stato detto, ma la perfezione è qui, ora. Il perfettibile non è te. Smetti d'immaginare ciò che non sei. Lo smettere è importante, non quello che smetti.
I.: Il karma non mi ha costretto a diventare ciò che sono?
M.: Nulla costringe. Sei come credi di essere. Smetti di credere.
I.: Siete seduto qui e mi parlate. È certo il vostro karma che l'impone.
M.: Nulla mi s'impone. Faccio il necessario. Quante cose superflue fai tu! È il tuo rifiuto di scrutinare che crea il karma. E l'indifferenza al tuo disagio lo perpetua.
I.: È vero. Che cosa può metter fine a questa indifferenza?
M.: La spinta deve venire da dentro come un'onda di distacco e compassione.
I.: Potrei sentire questa spinta a metà?
M.: Naturalmente. Osserva il tuo stato, e in che stato è il mondo.
I.: Si è fatto un gran parlare di karma e reincarnazione, di evoluzione e yoga, di maestri e discepoli. Come utilizzare tutta questa conoscenza?
M.: Bùttatela alle spalle. Dimenticala. Alleggerisciti per via, di idee e credenze. Abbandona tutte le definizioni, le verità relative, gli scopi tangibili. Si raggiunge l'assoluto solo con la devozione assoluta. Il cuore non deve essere diviso.
I.: Devo cominciare da qualche verità assoluta. Ce n'è qualcuna?
M.: Sì, l'"io sono".
I.: Non è vero nient'altro?
M.: Il resto non è né vero né falso. Sembra reale quando appare, quando è negato scompare. Una cosa transitoria è un mistero.
I.: Pensavo che il reale fosse il mistero.
M.: Come potrebbe? Il reale è semplice, aperto, terso e benevolo, bello e gioioso, senza contraddizioni. Sempre nuovo, fresco, infinitamente creativo. Essere e non essere, vita e morte, tutte le distinzioni in esso si fondono.
I.: Posso ammettere che tutto sia falso. Ma ciò rende inesistente la mia mente?
M.: La mente è ciò che pensa. Per renderla vera, pensa il vero.
I.: Se la forma delle cose è pura apparenza, che cosa sono in realtà?
M.: In realtà c'è solo la percezione. Il percettore e il percepito sono concetti, il fatto di percepire è reale.
I.: A che punto entra in gioco l'Assoluto?
M.: L'Assoluto è il luogo d'origine, la causa del percepire. Ma non credere che un eccesso di analisi ti porti da qualche parte. C'è un nucleo d'essere dentro di te che è al di là dell'analisi, oltre la mente. Lo puoi conoscere solo in azione. Esprimilo, vivilo ogni giorno e la sua luce brillerà sempre più.
La funzione legittima della mente è di dirti ciò che non è. Ma se vuoi la conoscenza di ciò che è, devi andare oltre la mente.
I.: In tutto l'universo c'è una singola cosa che vale?
M.: Sì, il potere dell'amore.
Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione
(MP, cap. 132) Allora cominciai a uscire dall'infanzia, e il mio spirito cominciò a divenire antico.
(MP, cap. 139) Quando due tali creature s'incontrano, si aprono l'una all'altra, e non si possono celare.
(MP, cap. 61) Se Dio vuole che io mi conosca, mi tolga anche la conoscenza di me stessa, altrimenti non posso avere conoscenza alcuna.