Nisargadatta Maharaj
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63. 24 Luglio 1971




I.: Siamo stati per qualche tempo nell'ashram di Satya Sai Baba e per due mesi nel Ramanashram a Tiruvannamalai. Stiamo per rientrare negli Stati Uniti.
M.: L'India ha cambiato qualcosa in voi?
I.: Ci sentiamo alleggeriti del nostro fardello. Satya Sai Baba ci disse di lasciare tutto a lui, e vivere semplicemente un giorno dopo l'altro il meglio possibile. "Siate buoni e lasciate a me il resto" soleva dirci.
M.: Che cosa facevate nell'ashram di Ramana?
I.: L'istruttore ci aveva dato un mantra e lo usavamo per meditare. Non c'era granché da pensare o studiare; cercavamo semplicemente di stare quieti. Tendiamo per lo più alla devozione, e sappiamo poco di filosofia. Ci basta confidare e lasciarci vivere.
M.: I tipi bhakta confidano nel maestro solo finché tutto va bene. Quando arrivano i guai, si sentono abbandonati, e cambiano maestro.
I.: Sì, sappiamo che c'è questo pericolo, e cerchiamo di prendere il difficile per il verso migliore. La persuasione che "tutto è grazia" deve essere molto forte. Un asceta stava camminando verso oriente, quando si levò un forte vento da quella direzione. Il sadhu si limitò a voltarsi e si diresse a occidente. Noi vorremmo vivere proprio così: adattandoci via via a quello che ci viene dal maestro.
M.: C'è solo la vita, nessuno che la vive.
I.: Questo lo capiamo, tuttavia ci sforziamo costantemente di vivere vite che siano nostre, invece di vivere e basta. Progettare per l'avvenire si direbbe un'abitudine inveterata.
M.: Con o senza piani, la vita va avanti. E a un certo punto si forma nella mente un piccolo vortice, che indulge in fantasie e immagina di dominare e controllare la vita.
La vita in sé non ha desideri. Ma il falso sé ama perpetuarsi - piacevolmente -, e fa di tutto per assicurarsi una continuità. La vita è impavida e libera. Finché credi d'influenzare gli eventi, la liberazione non è per te: l'idea stessa di essere il soggetto e la causa dell'azione, è una schiavitù.
I.: Come si supera la dualità tra l'attuatore e l'azione?
M.: Se contempli la vita com'è, infinita, indivisa, onnipresente, sempre attiva, scopri di essere tutt'uno con essa. Bada che non è difficile, perché è un ritorno al tuo stato naturale. Una volta che tu abbia compreso che tutto viene da dentro, che il mondo in cui vivi non è stato proiettato su di te ma da te, le tue paure cessano. Senza questa comprensione, continuerai a identificarti con cose esterne: il corpo, la mente, la società, la nazione, l'umanità, Dio perfino, o l'Assoluto; ma sono tutte fughe dalla paura. Solo quando avrai accettato di essere il responsabile del piccolo mondo in cui vivi, e osserverai il processo della sua creazione, conservazione e distruzione, sarai libero dalla tua schiavitù immaginaria.
I.: Perché dovrei immaginarmi così sciagurato?
M.: È solo per abitudine. Cambia il tuo modo di sentire e di pensare, ed esaminalo da vicino. Sei schiavo per inavvertenza. L'attenzione libera. Dai troppe cose per scontate. Comincia a metterle in dubbio. Le cose più ovvie sono le più dubbie. Poniti delle domande come: "Sono realmente nato?", "Sono davvero così e così?", "Come so che esisto?", "Chi sono i miei genitori?", "Loro hanno creato me o io loro?", "Devo credere a tutto ciò che si dice di me?", "E io chi sono?". Hai messo tanta energia nel costruirti una prigione. Spendine altrettanta per demolirla. Di fatto, la demolizione è facile, perché il falso, una volta scoperto, si dissolve. Tutto dipende dall'idea: "io sono". Esaminala a fondo, perché è la responsabile di tutti i guai. È una specie di pelle che ti separa dalla realtà. Il reale è sia dentro che fuori della pelle, ma la pelle in sé è irreale. L'"io sono" non è un'idea innata. Avresti potuto benissimo vivere senza. È sopraggiunta, a causa della tua identificazione con il corpo. Ha creato un'illusione di separazione dove non ce n'era alcuna. Ti ha reso estraneo al tuo mondo, e il mondo alieno e nemico. Senza l'"io sono" la vita prosegue lo stesso. Ci sono momenti in cui siamo calmi e felici senza l'"io sono". Appena riaffiora, ricominciano i guai.
I.: Come si fa a liberarsi dal senso dell'"io"?
M.: Affrontandolo. Osservalo in azione e in riposo, nota come si sviluppa, quando cessa, che cosa vuole e come lo ottiene, finché vedrai chiaramente e capirai a fondo. D'altra parte, tutti i tipi di yoga hanno un solo scopo: salvarti dalla calamità di un'esistenza spiccata, dal destino di essere una macchia insignificante in un grande quadro bello.
Soffri perché ti sei alienato dalla realtà, e adesso cerchi uno scampo. Non puoi sfuggire alle tue ossessioni. Puoi solo smettere di nutrirle.
L'"io sono" ci tiene alla sua continuità perché è falso. La realtà non ne ha bisogno: sapendosi indistruttibile, è indifferente alla distruzione delle forme e delle espressioni. Facciamo ogni sorta di cose per rafforzare e consolidare l'"io sono": tutto invano, perché l'"io sono" si rigenera ad ogni momento. È un lavoro incessante, e l'unica soluzione radicale è dissolvere in modo definitivo il senso estraniato di "io-sono-così-e-così ". Resta l'essere, non l'essere-te.
I.: Ho delle precise ambizioni spirituali. Non devo adoprarmi per realizzarle?
M.: Nessuna ambizione è spirituale. Tutte le ambizioni sono a vantaggio dell'"io sono"(1). Se vuoi davvero progredire, devi abbandonare ogni idea di realizzazione personale. Le ambizioni dei cosiddetti yoghi sono un controsenso. Il desiderio di un uomo per una donna è pura innocenza paragonato alla brama di una eterna beatitudine personale(2). La mente è una truffatrice. Più sembra devota, peggiore è il tradimento(3).
I.: Molti vengono da voi a chiedere aiuto per le loro pene mondane. Come fate a sapere che cosa dire?
M.: Dico quello che mi viene in mente al momento. Non ho una procedura fissa.
I.: Quando la gente si rivolge a me per un consiglio, come posso sapere che il mio consiglio è giusto?
M.: Osserva il tuo stato interiore, e il livello da cui parli. Se parli dalla mente, è facile che sbagli. Se parli con pieno intuito della situazione, sospendendo le abitudini mentali, il tuo consiglio potrà essere giusto. Il punto principale sta nella consapevolezza che né tu né l'uomo che hai di fronte siete meri corpi; se la tua consapevolezza è colma, un errore è meno probabile.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione


Vedi Eckhart:
(E2 a pag. 61) Gli uomini dicono: Ah! Signore, davvero vorrei essere in buon rapporto, in devozione ed in pace con Dio come altri lo sono, o essere altrettanto povero [...] devo vivere in un eremitaggio o in un monastero. In verità, in ciò sta il mio io, e niente altro. È la tua volontà propria, anche se non lo sai o non lo credi: mai nasce in te l'inquietudine senza che ciò derivi dalla tua propria volontà - che tu lo noti o no -.
Vedi Eckhart:
(E1 a pag. 132) Io vi dico nella verità eterna: finché avete la volontà di compiere il volere di Dio, e avete il desiderio dell'eternità e di Dio, voi non siete davvero poveri.
Vedi Margherita:
(MP, cap. 133) L'Anima crede che sia Dio colui che lei ama; ma a ben guardare è invece se stessa che ama, senza saperlo e senza che se ne accorga.