52. 17 Aprile 1971
I.: Ho lasciato l'Europa alcuni mesi fa, per uno dei miei periodici soggiorni in India da un maestro di Calcutta. Sono ora sulla via del ritorno. Un amico mi ha invitato a incontrarvi e ne sono contento.
M.: Che cosa hai imparato dal tuo maestro, quali pratiche hai seguito?
I.: È un venerabile di circa ottant'anni. Filosoficamente è un vedantino, e la pratica che insegna è molto simile a un risveglio delle energie mentali latenti, a una presa di coscienza degli ostacoli e dei blocchi nascosti. La mia disciplina spirituale era legata a un problema della prima infanzia. Mia madre non poté infondermi la confidenza e l'amore, così essenziali per il normale sviluppo del bambino. Era una donna inadatta alla maternità, ansiosa, nevrastenica e insicura, che addebitava a me di essere per lei un peso e una responsabilità insostenibili. Detestava che fossi nato. Avrebbe voluto che non crescessi, non mi sviluppassi, ma ritornassi nel suo grembo, non-nato, non-esistente. Faceva resistenza a qualsiasi movimento di vita in me, accanitamente combatteva ogni mio tentativo di rompere il cerchio della sua vita abituale. Ero un bambino sensibile e affezionato. Desideravo l'amore sopra ogni cosa, e l'amore, il semplice, istintivo sentimento della madre per il figlio, mi era negato. La ricerca della madre diventò il filo conduttore della mia vita, e non mi ha più lasciato. Mi specializzai in ginecologia e in particolare nel metodo del parto indolore. "Il figlio felice di una madre felice" diventò il mio ideale; ma mia madre era sempre lì, infelice, e del tutto contraria a farmi o a vedermi felice. Lo tradiva in molti modi. Non appena non stavo bene, lei si sentiva meglio; mi rimettevo, e lei ricadeva nella cupezza di sempre. Come se non mi avesse mai perdonato il crimine di essere nato, mi faceva sentire colpevole di vivere. "Vivi perché mi odii. Se mi ami, muori", era il suo silenzioso messaggio. Così ho trascorso la vita, ricevendo profferte di morte invece che d'amore. Imprigionato com'ero in mia madre, eterno bambino, non potei sviluppare rapporti significativi con una donna; imperdonabile, imperdonata, si frapponeva l'immagine di mia madre. Cercai conforto nella professione, e ne trovai molto, però senza mai uscire dalla trappola dell'infanzia. Finalmente, mi sono volto alla ricerca spirituale, e sono ormai molti anni che la coltivo. Ma in un certo senso è sempre la stessa, vecchia ricerca dell'amore materno, che si chiami Dio, Atman o Realtà Suprema. Il mio bisogno fondamentale resta quello di amare ed essere amato. Sfortunatamente le persone che si definiscono religiose odiano la vita e adorano le elucubrazioni. Quando si trovano a faccia a faccia con i bisogni e le urgenze della vita, cominciano a classificare e a concettualizzare, e assegnano ai loro compitini teorici più importanza della vita stessa. Predicano di concentrarsi su un particolare concetto e, invece della spontanea integrazione attraverso l'amore, raccomandano deliberate e laboriose concentrazioni su una formula. Che sia Dio o l'Atman, l'"io" o l'"altro", viene bene lo stesso, come qualcosa su cui pensare, non qualcuno da amare. Non ho bisogno di teorie e sistemi, per attraenti e plausibili che siano, ma che mi si scuota il cuore, che la vita si ridesti. Non ci può essere novità nei modi di pensiero, la freschezza è solo nei sentimenti. Se amo qualcuno, mi viene spontaneo di meditare su quella persona, con un'intensità e un calore che la mente non può controllare. Le parole servono a plasmare i sentimenti; senza sentimenti, sono come abiti che vestono il vuoto, freddi e flaccidi. Mia madre ha prosciugato tutti i miei sentimenti: le mie sorgenti si sono inaridite. Posso trovare qui la ricchezza e l'abbondanza delle emozioni che ebbi da bambino?
M.: Dov'è ora la tua infanzia? E qual è il tuo futuro?
I.: Sono nato, sono cresciuto, morirò.
M.: Beninteso, stai parlando del corpo. E della mente. Io però non mi curo della tua fisiologia e psicologia. Appartengono alla natura e sono soggette alle sue leggi. Parlo invece della tua ricerca d'amore. È mai incominciata? Finirà?
I.: Davvero non saprei. È lì - dai primissimi istanti della mia vita fino agli ultimi-. Un desiderio d'amore - costante e disperato! -.
M.: Nella tua ricerca d'amore, che cosa desideri esattamente?
I.: Amare ed essere amato.
M.: Intendi: una donna?
I.: Non necessariamente. Può essere un amico, un insegnante, una guida - purché il sentimento sia limpido e radioso -. Ovviamente, la donna è la risposta abituale. Ma può non essere l'unica.
M.: Preferisci amare o essere amato?
I.: Veramente, tutt'e due! Ma vedo che amare è un sentimento più grande, più nobile, più profondo. Essere amati è dolce, ma non fa crescere.
M.: Sai amare da te?
I.: È ovvio che bisogna incontrare una creatura amabile. Mia madre non solo non amava ma era tutt'altro che amabile.
M.: Che cosa rende amabile una persona? Non è forse l'essere amata? Prima ami, e poi trovi i motivi.
I.: O viceversa. Ami perché ti rende felice.
M.: Ma che cosa ti rende felice?
I.: Non c'è una regola. È soggettivo e imponderabile.
M.: Comunque sia, se non ami, non c'è felicità. Ma l'amore sa farti sempre felice? L'associazione amore-felicità non è forse di una condizione piuttosto primitiva, infantile? Quando chi ami soffre, non soffri anche tu? E cessi d'amare perché soffri? L'amore e la felicità devono andare e venire insieme? L'amore non è una semplice attesa del piacere?
I.: Proprio no. Può esserci molta sofferenza nell'amore.
M.: Allora, che cos'è l'amore? Non è forse uno stato dell'essere più che della mente? Per amare, devi sapere che ami? Non hai amato tua madre inconsapevolmente? Il tuo desiderio del suo amore, e di un'opportunità di amarla, non è il movimento stesso dell'amore? Non è forse l'amore una parte di te quanto la coscienza di essere? Hai cercato l'amore di tua madre perché l'amavi.
I.: Non me l'avrebbe permesso,
M.: Ma non poteva impedirtelo.
I.: Allora perché sono stato infelice tutta la vita?
M.: Perché non sei penetrato fino alle radici del tuo essere. La completa ignoranza di te stesso ha coperto il tuo amore e la tua felicità, e ti ha indotto a cercare quello che non avevi mai perduto. L'amore è volontà, la volontà di scambiare la propria felicità con tutti. Essere felici - fare felici -: questo è il ritmo dell'amore.
Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione