41. 4 Febbraio 1971
I.: Qual è lo stato abituale della mente di un realizzato? Vede, ascolta, mangia, beve, si sveglia e s'addormenta, lavora e si riposa, in un modo diverso? E c'è una prova della differenza? A parte la testimonianza verbale degli stessi realizzati, non c'è modo di verificare il loro stato oggettivamente? Ci sono delle differenze riscontrabili nelle loro risposte fisiologiche, nel metabolismo o nella struttura psicosomatica e neurologica?
M.: Puoi trovare e non trovare delle differenze. Tutto dipende dalla tua capacità di osservazione. Ma le differenze oggettive sono le meno importanti. Ciò che conta nei cosiddetti realizzati è l'atteggiamento di fondo, la loro posizione, che è di totale autonomia e distacco.
I.: Il realizzato è un essere sensibile? Quando suo figlio muore, prova dolore?
M.: Soffre con quelli che soffrono. L'evento in sé è irrilevante, ma egli prova grande compassione per chi soffre, vivo o morto che sia, nel corpo e fuori. Dopotutto, amore e compassione fanno la sua natura. Il realizzato è tutt'uno col tutto, e l'amore è quell'unità in azione.
I.: Si ha molta paura della morte.
M.: Il realizzato non teme nulla. Ma ha compassione dell'uomo che teme. Nascere, vivere e morire, è in fin dei conti naturale. Ma aver paura, no. È giusto dare attenzione all'evento.
I.: Immaginate di essere ammalato: febbre alta, dolori, tremiti. Il medico vi dice che il vostro stato è serio, e che vi restano pochi giorni di vita. Quale sarebbe la vostra prima reazione?
M.: Nessuna. Come il bastoncino d'incenso si consuma, così il corpo muore. Davvero è una cosa di pochissima importanza. Quello che conta è che non sono il corpo né la mente. Io sono.
I.: I vostri familiari sarebbero disperati. Che cosa direste loro?
M.: Ciò che si dice in questi casi: non temete, la vita continua, Dio avrà cura di voi, saremo presto di nuovo insieme; e cose del genere. Per me tutta la faccenda, con lo scompiglio che comporta, è priva di senso, perché non sono l'entità che si immagina viva o morta. Non sono nato e non morirò. Non ho niente da ricordare o da dimenticare.
I.: Che ne pensate delle preghiere per i defunti?
M.: Prega sempre per loro. Lo gradiscono tanto. Ne sono lusingati. Il realizzato non ha bisogno delle tue preghiere. Egli è la risposta alle tue preghiere.
I.: L'uomo comune, dopo la morte, resta cosciente e attivo. E il realizzato?
M.: È già morto. Ti aspetti che muoia una seconda volta?
I.: La dissoluzione del corpo è un fatto importante anche per il realizzato.
M.: Non ci sono per lui eventi importanti, tranne quando si raggiunge il fine ultimo. Allora il suo cuore giubila. Tutto il resto non gli importa. L'universo è il suo corpo; la vita tutta, è la sua. Come in una città illuminata, se si fulmina una lampadina, l'impianto non ne risente, così è per la morte di un corpo rispetto all'intero(1).
I.: Il particolare non influenza l'intero, ma il particolare sì. L'intero è un'astrazione, il particolare è concreto e reale.
M.: Lo dici tu. Per me è piuttosto l'inverso: l'intero è reale, la parte va e viene. Il particolare nasce e rinasce, cambia nome e forma; il realizzato è la realtà che non muta e che rende possibile il mutevole. Ma lui, di questo, non può convincerti. Deve diventare evidente da sé, con l'esperienza. Per me, tutto è uno e identico.
I.: Il peccato e la virtù sono la stessa cosa?
M.: Sono valori rispetto all'uomo ma, rispetto a me, non sono. Ciò che finisce in gioia è virtù, e ciò che si traduce in dolore è peccato. Sono, ambedue, stati mentali. Il mio stato non è della mente.
I.: Siamo come ciechi che non sanno che cosa significhi vedere.
M.: Puoi metterla così.
I.: La pratica del silenzio è una disciplina efficace?
M.: Tutto ciò che fai in funzione dell'illuminazione, ti ci porta più vicino. Quello che fai senza ricordarla, te ne allontana. Ma perché complicare? Contentati di sapere che sei al disopra e al di là di tutte le cose e i pensieri. Ciò che vuoi essere, lo sei già. Attienitici con la mente.
I.: Sento che lo dite, ma non posso crederlo.
M.: Ero anch'io come te. Poi confidai nel mio maestro, che si dimostrò veritiero. Se puoi, confida in me. Ricorda questo: non desiderare niente, perché niente ti manca(2). Proprio la ricerca ti impedisce di trovare(3).
I.: Sembrate indifferente a tutto.
M.: Non indifferente, ma imparziale. Non do preferenze al me e al mio. Un mucchio di terra e di gioielli, sono parimenti non voluti. La vita e la morte per me sono lo stesso.
I.: L'imparzialità vi rende indifferente.
M.: Al contrario, l'amore e la compassione sono il mio fulcro. Vuoto di ogni predilezione, sono libero di amare(4).
Il Buddha disse che l'idea di illuminazione è molto importante. Molti attraversano la vita senza avere la minima idea che ci sia l'illuminazione, e tantomeno lottano per ottenerla. Ma appena ne sentono parlare, è un seme sparso che non può inaridire(5). Per questo il Buddha mandava i suoi monaci a predicare per otto mesi all'anno.
"Si può offrire cibo, indumenti, riparo, affetto, conoscenza, ma il dono più alto è l'annuncio dell'illuminazione", soleva dire il mio maestro. È così. L'illuminazione è il bene massimo. Una volta acquisita, nessuno può sottrartela.
I.: Se parlaste così in Occidente, vi prenderebbero per folle.
M.: Lo credo. Per l'ignorante, ciò che non capisce è follia. Perciò, restino pure come sono. Non è per merito mio, se io sono come sono; né è per colpa loro, se pensano a modo loro. La Realtà Suprema si manifesta in tante maniere. I suoi nomi e forme sono infiniti. Tutto sorge e tramonta nello stesso oceano, la fonte è unica. Andar per cause e risultati è il passatempo della mente. Bello è ciò che è. L'amore non è un risultato, ma il fondamento dell'essere(6). Ovunque tu vada, troverai essere, coscienza e amore. Perché avere delle preferenze?
I.: Quando centinaia di migliaia di vite sono annullate da calamità naturali, come nubifragi o carestie, non mi addoloro. Ma quando un uomo muore per mano d'un altro uomo, la mia sofferenza è enorme. L'inevitabile ha una sua maestosità, ma l'uccidere si può ben evitare, perciò è orrendo.
M.: Tutto accade come accade, calamità naturali o provocate dall'uomo. Non c'è bisogno di inorridire.
I.: Può esserci qualcosa senza una causa?
M.: In ogni evento si riflette l'universo. È impossibile rintracciare la causa ultima. L'idea stessa di causa è un modo di dire. Non possiamo immaginare che qualcosa spunti dal nulla. Ma questo non prova che ci sia la causalità.
I.: La natura è senza mente, perciò non è responsabile. Ma l'uomo che ce l'ha, perché è tanto perverso?
M.: Anche la perversità ha cause naturali: ereditarietà, ambiente, e così via. Sei troppo lesto a condannare(7). Lascia stare gli altri. Òccupati anzitutto della tua mente. Quando avrai capito che anche la mente è parte della natura, la dualità cesserà.
I.: Questo non lo capisco. Come può la mente far parte della natura?
M.: Perché la natura è nella mente: senza la mente, dov'è la natura?
I.: Se la natura è nella mente e la mente è mia, dovrei poter controllare la natura, il che non è. Il mio comportamento obbedisce a forze al di là del mio controllo.
M.: Lo stato di testimonianza è molto potente, in esso tutto è attivo. Se sviluppi l'atteggiamento del testimone, otterrai nell'esperienza il distacco che arreca il controllo(8).
Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione
(E8, num. 197) Qualcosa può essere gravoso o molesto rispetto a una parte, ma niente danneggia né può danneggiare l'universo nel suo complesso cui, anzi, è sempre utile.
(MP, cap. 44) Non mi manca nulla, poiché non voglio nulla.
(E2 a pag. 225) Più ti si cerca, meno ti si trova. Tu devi cercarlo in guisa tale da non trovarlo in alcun luogo. Se non lo cerchi, allora lo trovi.
(E2 a pag. 17) Impara a non amare se vuoi imparare ad amare. Distogliti dalle cose, per essere rivolto a Dio. In breve, tutto ciò che deve ricevere deve essere per forza vuoto.
(E2 a pag. 47) Il seme di Dio è in noi [...] Il seme del pero si ingrandisce per diventare un pero, il seme del noce per diventare noce, il seme di Dio per diventare Dio.
(E2 a pag. 63) Non pensare che la santità si fondi sulle opere, si deve fondare sull'essere.
(MP, cap. 47) Quest'Anima non dà alcun giudizio su quello di cui non ha comprensione, se non sempre in bene.
(E2 a pag. 60) La più intensa preghiera, la più potente per ottenere qualsiasi cosa, e la più alta di tutte le opere, è quella che proviene da uno spirito libero. Più esso è libero, più la preghiera e l'opera sono intense, degne, utili, lodevoli e perfette. Uno spirito distaccato può tutto.