Nisargadatta Maharaj
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26. 5 Settembre 1970




I.: Vedo che il mondo è una palestra di yoga, e la vita stessa lo è. Ognuno lotta per la perfezione, e lo yoga non è che sforzo. Non c'è niente di spregevole negli individui cosiddetti comuni e nelle loro vite parimenti comuni. Lottano e soffrono quanto gli yogi, solo che non hanno coscienza del loro scopo autentico.
M.: In che modo gl'individui cosiddetti comuni sono degli yogi?
I.: Lo scopo ultimo è lo stesso. Ciò che lo yogi si procura con la rinuncia (tyaga), l'uomo comune ottiene attraverso l'esperienza (bhoga). La via del bhoga è ignara, e dunque iterativa e protratta, mentre quella dello yoga è deliberata e intensa e perciò può essere più rapida.
M.: Ci possono essere periodi di bhoga alternati a periodi di yoga. Prima bhogi, poi yogi, poi ancora bhogi, e ancora yogi.
I.: E in vista di che?
M.: I desideri deboli si possono rimuovere con l'introspezione e la meditazione, ma i desideri forti e ben radicati devono essere soddisfatti, e i loro frutti vanno tutti mangiati.
I.: Perché allora dovremmo tributare tanto rispetto agli yogi e invece disprezzare i bhogi? In un certo senso, sono tutti yogi.
M.: Nella scala dei valori umani lo sforzo deliberato è ritenuto lodevole. In realtà sia il bhogi che lo yogi aderiscono alla loro natura, a seconda delle circostanze e delle occasioni. La vita dello yogi è dominata da un solo desiderio: trovare la Verità. Il bhogi ha molti dominatori. Ma il bhogi diventa uno yogi e lo yogi a sua volta può far ruotare la sua esperienza fino a coincidere col bhogi. Il risultato finale è identico.
I.: Il Buddha avrebbe detto che è immensamente importante aver sentito dire che l'illuminazione esiste, e che la consapevolezza è un rovesciamento e una trasformazione totale del proprio essere. La buona novella è paragonata a una scintilla in un carico di cotone. Lentamente ma irreparabilmente tutto il carico si volgerà in cenere. Così il buon annuncio dell'illuminazione, presto o tardi, trasforma.
M.: Sì, prima ascoltare (shravana), poi ricordare (smarana), ponderare (manana), e via dicendo. Sono cose note. L'uomo che ha udito l'annuncio diventa uno yogi, mentre tutti gli altri perdurano nel loro bhoga.
I.: Allora convenite che una vita noiosa e fine a se stessa, giusto nascere per morire e morire per nascere, faccia avanzare l'uomo del suo semplice peso specifico, così come il fiume sfocia nel mare per la pura spinta della sua massa d'acqua.
M.: Prima che il mondo fosse, la coscienza esisteva. Nella coscienza esso sorge e dura, e nella pura coscienza si dissolve. Alla radice di tutto c'è l'"io sono". "C'è il mondo" è un riconoscimento secondario, perché non mi occorre il mondo per essere, mentre il mondo ha bisogno di me.
I.: La sete di vita è immensa.
M.: La libertà dal desiderio di vivere è anche maggiore.
I.: La stessa libertà della pietra?
M.: Sì, la libertà della pietra, e tanta di più. Illimitata e consapevole.
I.: Non occorre che ci sia la persona per ammassare esperienza?
M.: Per come sei ora, la personalità è solo un ostacolo. L'identificazione col corpo può andar bene per il bambino, ma la vera crescita si ottiene isolando il corpo. Normalmente, i desideri basati sul corpo dovrebbero essere congedati all'inizio della vita. Persino il bhogi, che non rifiuta certo di godere, sa di non doversi aggrappare ai godimenti che ha assaporato. L'abitudine e il desiderio di ripetizione frustrano sia lo yogi sia il bhogi.
I.: Perché continuate a negare importanza alla persona (vyakti)? La personalità è un fattore di primaria importanza. Occupa tutta la scena.
M.: Finché non riconosci che la personalità è solo un'abitudine costruita sul ricordo e alimentata dal desiderio, crederai di essere una persona, soggetta a vivere, morire, sentire, pensare, agire, subire, godere e soffrire. Interrogati: "È così?", "Io chi sono?", "Che cosa c'è dietro e al di là di tutto questo?". E presto vedrai l'errore. E un errore, appena è scoperto, scompare.
I.: Lo yoga della vita, del vivere puro e semplice, lo si può chiamare nisarga yoga, o yoga naturale. Mi ricorda lo yoga originario (athi yoga), menzionato nel Rig Veda come il connubio della vita con la mente.
M.: Una vita vissuta meditativamente, in piena consapevolezza, è di per sé un nisarga yoga.
I.: Che significa il connubio della vita con la mente?
M.: Vivere in una consapevolezza spontanea, con un profondo interesse alla propria vita, in modo meditativo e senza sforzo.
I.: Sharada Devi, la sposa di Ramakrishna Paramahansa, era solita rimproverare i discepoli troppo proni agli sforzi. Li paragonava a manghi spiccati dall'albero ancora acerbi. "Perché affrettarsi? - diceva. - Aspetta di essere maturo e dolcissimo".
M.: Aveva proprio ragione! Quanti scambiano l'alba per il mezzogiorno, un'esperienza fugace per la piena realizzazione, e distruggono quel poco che hanno ottenuto, per eccesso d'orgoglio. L'umiltà e il silenzio sono essenziali al ricercatore, anche quando è in uno stadio avanzato. Solo un sapiente maturo può concedersi una perfetta spontaneità.
I.: In certe scuole di yoga il ricercatore è obbligato a osservare il silenzio per sette, dodici, quindici, o persino venticinque anni, dopo l'illuminazione. Anche Bhagvan Ramana Maharshi s'impose venti anni di silenzio prima d'insegnare.
M.: Sì, il frutto interiore deve maturare. Finché non è pronto, la disciplina, il vivere nella consapevolezza, sono indispensabili. Gradualmente la pratica si raffina, finché perde qualsiasi traccia di forma.
I.: Anche Krishnamurti parla di vivere nella consapevolezza.
M.: Krishnamurti mira sempre all'"estremo". Sì, in definitiva, tutti gli yoga confluiscono nell'athi yoga, il connubio della coscienza (la sposa) con la vita (lo sposo). Coscienza ed essere (sad-chit), s'incontrano nella beatitudine (ananda). Perché sorga la beatitudine, occorre che ci sia un incontro, un contatto, un affermarsi dell'unità nella dualità.
I.: Anche il Buddha ha detto che per raggiungere il nirvana occorre andare dai vivi. La coscienza ha bisogno della vita per espandersi.
M.: Il mondo stesso è contatto: la somma di tutti i contatti attuati nella coscienza. Al primo tocco dello spirito, la materia assume coscienza, e questa, non appena s'intride della memoria e dell'attesa, diventa schiava. L'esperienza pura non trattiene; l'esperienza tesa tra il desiderio e la paura, è impura e produce il karma.
I.: Può esserci felicità nell'unità? La felicità non implica necessariamente un contatto, e perciò una dualità?
M.: Non c'è niente di sbagliato nella dualità finché non crei il conflitto. Una molteplicità e una varietà senza tensione sono gioia. Nella pura coscienza c'è la luce. Perché venga il calore, occorre il contatto. Al disopra dell'unità dell'essere c'è l'unione dell'amore. L'amore è il significato e lo scopo della dualità(1).
I.: Sono orfano. Non ho conosciuto mio padre. Mia madre morì quando nacqui. Fu quasi un caso che il mio patrigno mi abbia adottato, per compiacere sua moglie che non aveva avuto figli. È un uomo semplice, fa il camionista. Dall'età di due anni e mezzo - ora ne ho ventiquattro - vivo viaggiando, sempre alla ricerca di qualcosa. Vorrei vivere una vita buona, santa. Non so che fare.
M.: Torna a casa, òccupati degli affari di tuo padre, e abbi cura dei tuoi genitori quando saranno vecchi. Sposa la ragazza che ti sta aspettando, sii leale, umile, semplice(2). Nascondi la tua virtù, vivi silenziosamente. I cinque sensi e le tre qualità (guna) sono gli otto gradini dello yoga. E l'"io sono" è il Grande Rammentatore (Mahamantra). Da loro puoi imparare tutto ciò che ti serve. Sii attento, indaga senza fine. È tutto.
I.: Se il vivere puro e semplice libera, perché non siamo tutti esseri liberati?
M.: Tutti sono sulla via di diventarlo. Non conta quello che vivi, ma come. L'idea d'illuminazione è della massima importanza. Il puro fatto di sapere che c'è questa possibilità cambia l'intera prospettiva. Funziona come un fiammifero in un mucchio di trucioli. Una scintilla di verità può bruciare un monte di menzogne. Ma è vero anche l'opposto. Il sole della verità è coperto dalla nube dell'identificazione col corpo.
I.: Questo diffondere il buon annuncio dell'illuminazione è dunque importante.
M.: Già l'ascoltare è una promessa d'illuminazione. L'incontro col maestro garantisce che la liberazione avverrà. La perfezione è creativa e apporta la vita(3).
I.: Il realizzato pensa continuamente alla sua realizzazione? Si meraviglia o no dell'alta opinione che la gente ha di lui? Si considera o no un uomo comune?
M.: Né comune né eccezionale. È consapevole e cordiale: intensamente. Si guarda senza indulgere in definizioni e auto-identificazioni. Non si considera separato dal resto del mondo. Lui stesso è il mondo. Tanto libero da sé che è come il prodigo che dissemina le sue ricchezze. Non è ricco, perché non ha proprietà; ma nemmeno è povero, perché dà in abbondanza. Così, il realizzato non ha più un "io" con cui identificarsi, né ha più nulla in cui riconoscersi. È non-situato, oltre lo spazio, il tempo, e il mondo perfino. Al di là delle parole e dei pensieri, lui è.
I.: Per me è un mistero. Sono un uomo semplice.
M.: Invece sei profondo, complesso, sconosciuto, quasi insondabile. Rispetto a te, io sono la semplicità in persona. Sono ciò che è: senza distinzione tra interno ed esterno, mio e tuo, buono e cattivo. Ciò che il mondo è, io sono: ciò che sono, quello è il mondo.
I.: Come succede che ogni uomo crei il suo mondo privato?
M.: Quando molte persone dormono, ognuno è immerso nel suo sogno. Solo al risveglio sorge la questione della molteplicità, che è subito accantonata non appena i sogni siano visti per quel che sono, pura immaginazione.
I.: Pure i sogni hanno un fondamento.
M.: Nella memoria. E anche allora, ciò che si ricorda è un altro sogno. Il ricordo del falso può produrre solo il falso. Non c'è niente che non vada nella memoria in quanto tale. Ciò che è falso è il suo contenuto. Ricorda i fatti, dimentica le opinioni.
I.: Che cos'è un fatto?
M.: Ciò che è percepito in pura consapevolezza, senza l'influsso del desiderio e della paura.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione


Vedi Eckhart:
(E2 a pag. 18) Sta nella natura dell'amore che esso sgorghi e fluisca da due che sono Uno. Uno in quanto Uno non può produrre amore, e neppure due in quanto due. Ma due in quanto Uno produce necessariamente l'amore impetuoso ed ardente, secondo la sua natura.
Vedi Eckhart:
(E2 a pag. 196) Tutte le cose devono continuamente uscire perché Dio entri, a meno che tu non le possieda in un modo più alto e migliore, quando la molteplicità è in te divenuta unità. Allora, più v'è in te di molteplicità, più v'è di unità, l'una trasformandosi nell'altra.
Vedi Eckhart:
(citato in E2 a pag. LXX) Ciò che mi ha permesso di raggiungere la verità eterna è l'essere rimasto qui dove mi son trovato.
Vedi Eckhart:
(E1 a pag. 110) Il Padre non ha mai quiete: è sempre in caccia e si sforza perché il Figlio sia generato in me.
Vedi Margherita:
(MP, cap. 139) Per concludere, se Dio vi ha dato alta creazione, luce eccellente e singolare amore, vi dico di crescere e moltiplicare senza fallo questa creazione.