Nisargadatta Maharaj
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23. 8 Agosto 1970




M.: Piove forte e siete tutti inzaccherati. Nel mio Paese il tempo è sempre bello. Non c'è giorno e notte, caldo e freddo. Non ho rimpianti né preoccupazioni. La mia mente è libera perché non ho desideri.
I.: Ci sono due mondi?
M.: Il tuo mondo appare a te. Per me ce n'è solo uno. Puoi dirmi del tuo ciò che vuoi: ascolterò con attenzione, anche con interesse, ma neppure per un momento dimenticherò che il tuo mondo non è, è un puro sogno.
I.: Che cosa differenzia il vostro mondo dal mio?
M.: Il mio mondo non ha caratteristiche per cui possa essere identificato. Non puoi dire niente a suo carico. Io sono il mio mondo. Il mio mondo è me. Completo e perfetto. Ogni impressione è estirpata; ogni esperienza, respinta. Non mi occorre nulla, neppure me stesso(1), perché non ho modo di perdermi.
I.: Neppure Dio vi occorre?
M.: Sono tutte idee e distinzioni del tuo mondo; nel mio, non c'è niente del genere. È un mondo unico e semplicissimo.
I.: Non accade niente?
M.: Ogni accadimento è del tuo mondo. Lì vale, e suscita risposte. Nel mio, niente accade.
I.: Il semplice fatto che sperimentate il vostro mondo, implica una dualità, che è inerente ad ogni esperienza.
M.: A parole, è così. Ma le tue parole non mi raggiungono. Il mio mondo è non-verbale. Nel tuo il non-detto non esiste. Nel mio, parole e significati non hanno essere. Nel tuo, niente è fermo. Nel mio, niente cambia. Il mio, è un mondo reale; il tuo, è fatto di sogni.
I.: Tuttavia parliamo.
M.: Il parlare accade nel tuo mondo. Nel mio c'è un eterno silenzio, il mio silenzio canta, la mia pienezza è colma, non mi manca niente. Non puoi conoscere la mia terra finché non ci sei dentro.
I.: Sembra come se nel vostro mondo foste solo.
M.: Che senso ha "solo" o "non solo", quando le parole non servono? Sono solo, certo, perché sono tutti(2).
I.: Siete mai venuto nel nostro mondo?
M.: "Venire", "andare": ancora parole. Io sono. Da dove vengo? Dove vado(3)?
I.: A che mi serve il vostro mondo?
M.: Accòstati al tuo, più dappresso, esaminalo criticamente, e un giorno, all'improvviso, ti troverai nel mio.
I.: Che vantaggio ne avrò?
M.: Nessuno. Ti lasci alle spalle ciò che non è tuo, e trovi quello che non hai mai perduto: te stesso.
I.: Chi regge il vostro mondo?
M.: Non ci sono un reggitore e dei sudditi. La dualità è assente. Proietti continuamente le tue idee. Le tue Scritture, i tuoi dei, qui, non hanno senso.
I.: Tuttavia avete un nome e una forma, siete cosciente e attivo.
M.: Nel tuo mondo appaio così. Nel mio ho solo essere. Voi siete ricchi delle vostre idee di possesso, quantità e qualità. Io sono completamente privo di idee.
I.: Nel mio mondo c'è conflitto, disperazione e affanno. Sembra che viviate di qualche strano reddito interiore, mentre io, per vivere, faccio lo schiavo.
M.: Tutto come vuoi tu. Sei libero di lasciare il tuo mondo per il mio.
I.: Come si fa?
M.: Vedi il tuo mondo com'è, non come lo immagini. La discriminazione ti condurrà al distacco; il distacco ti assicurerà una retta azione; la retta azione costruirà il ponte interno per il tuo vero essere. L'azione è una prova di serietà. Fa' quello che ti si dice con fede e diligenza, e tutti gli ostacoli spariranno.
I.: Siete felice?
M.: Nel tuo mondo sarei un mentecatto. Svegliarmi, mangiare, parlare, dormire, e daccapo: un'immensa noia!
I.: Non vi va nemmeno di vivere, allora?
M.: Vivere, morire: parole vuote! Quando mi vedi vivo, sono morto. Quando mi pensi morto, sono vivo. Bella confusione!
I.: Che cosa vi rende diverso? I dolori del nostro mondo per voi sono zero?
M.: Sono consapevole dei vostri problemi, non temere!
I.: E che fate per essi?
M.: Non c'è niente che debba fare. I problemi vanno e vengono.
I.: Vanno via per il fatto stesso che li osservate?
M.: Sì. Un problema, una difficoltà possono essere fisici, emotivi o mentali, ma sempre dell'individuo. Un'ampia gamma di calamità è la somma di parecchi destini individuali, e ci vuol tempo perché s'installi. Ma la morte è forse una calamità?
I.: E se l'uomo viene ucciso?
M.: In quel caso la calamità è dell'uccisore.
I.: Eppure, mi sembra proprio che i nostri mondi siano diversi.
M.: Il mio è reale, il tuo è mentale.
I.: Immaginate una roccia con un buco, e una rana. La rana può trascorrere tutta la vita nel buco, indisturbata, mentre all'esterno il mondo continua. Se le si raccontasse del mondo di fuori, direbbe: "Non c'è. Il mio è un mondo di pace perfetta. Il tuo è una struttura verbale, non esiste". Lo stesso è con voi. Quando negate che il nostro mondo esista, viene a mancare il terreno comune per discutere. Oppure, un altro esempio. Vado da un medico perché ho un dolore allo stomaco. Lui mi visita e sentenzia: "Tutto va bene". "Ma mi fa male" dico io. "È un dolore mentale" dice lui. "Non mi aiuta certo sapere che è mentale! Toglietemelo! E se non sapete curarmi, non siete il mio medico".
M.: Più che giusto.
I.: Avete costruito la strada ferrata, ma senza il ponte il treno non passa. Costruite il ponte!
M.: Non serve.
I.: Un nesso deve pur esserci tra il vostro mondo e il mio.
M.: Non serve un nesso tra due mondi diversi, uno reale e l'altro immaginario, e non può esserci.
I.: Allora che si fa?
M.: Esamina il tuo mondo, scrutalo in modo critico, vaglia ogni idea che lo riguardi; servirà.
I.: Il mondo è troppo vasto per un'indagine. Tutto quello che so è che io sono, che il mondo è, che mi preoccupa, e che io lo preoccupo.
M.: Per la mia esperienza, tutto è beatitudine. Ma il desiderio di beatitudine crea il dolore, e perciò la beatitudine diventa il seme del dolore. L'intero universo di dolore è nato dal desiderio. Cessa di desiderare il piacere, e non saprai neppure che cos'è il dolore.
I.: Perché il piacere dovrebbe essere il seme del dolore?
M.: Perché in nome del piacere tu commetti molti peccati. E i frutti del peccato sono la sofferenza e la morte.
I.: Da che cosa sarei spinto verso il piacere?
M.: Da che cosa? Dall'illusione. La salvezza invece è vedere le cose come sono. E io vedo che non sono collegato a niente, a nessuno, neppure al sé, quale che sia. Sono e rimango indefinito. Dentro e al di là: intimo e irraggiungibile.
I.: Come ci siete arrivato?
M.: Con la fede nel maestro. Mi disse: "Tu solo sei", e non ho dubitato. All'inizio mi ci arrovellavo, fin quando vidi che era vero.
I.: L'avete capito ripetendolo come una formula?
M.: No, diventandolo. Scoprii che ero colmo di coscienza e felice, e che solo per uno sbaglio avevo attribuito l'essere-coscienza-beatitudine al corpo e al mondo dei corpi.
I.: Non siete un uomo istruito. E il poco che avete letto e sentito, non era controverso. Io ho una certa cultura, e ho constatato che libri e insegnanti si contraddicono senza speranza. Perciò leggo e ascolto tutto col beneficio del dubbio. "Può essere, sì e no", è la prima reazione. E poiché la mia mente è incapace di distinguere il vero dal falso, resto imperterrito con tutti i dubbi. Nello yoga una mente che dubita è molto svantaggiata.
M.: Sono lieto di sentirlo, perché anche il mio maestro mi aveva insegnato a dubitare: di tutto e in modo inderogabile. "Nega ogni cosa, tranne te(4) ", mi diceva. Attraverso il desiderio, il creatore del mondo, coi suoi dolori e piaceri, sei tu.
I.: Non può non essere doloroso, vero?
M.: Per sua natura, il piacere è limitato e temporaneo. Il desiderio nasce, si appaga e si esaurisce nel dolore della frustrazione e dello sconforto. Il dolore è il fondamento del piacere, ogni ricerca di piacere si volge in dolore.
I.: Mentre lo dite è tutto chiaro. Ma non appena sorge un problema, la mente mi diventa torpida e grigia, o si dibatte per cercare un sollievo.
M.: La mente è torpida e inquieta, non tu. Ad esempio, in questa stanza accadono cose di vario genere. Le provoco forse io? Accadono, semplicemente. Lo stesso è con te: il rotolo del destino si svolge e attua l'inevitabile. Il corso degli eventi è quello che è, ma puoi cambiare il tuo atteggiamento, e ciò che conta davvero è solo l'atteggiamento, non quello che accade(5). Il mondo è il luogo dei desideri e delle paure, è escluso perciò trovarvi la pace, a meno di andare al di là. La causa radicale del mondo è l'amore egocentrico. Per causa sua, insegui il piacere ed eviti il dolore. Sostituisci all'amore di sé l'amore per il Sé, e il quadro cambia. Brahma, il Creatore, è la somma complessiva di tutti i desideri. Il mondo è lo strumento per appagarli. Le anime catturano ogni sorta di piaceri e pagano in lacrime. Il tempo livella i loro conti. La legge dell'equilibrio regna suprema.
I.: Prima di essere un uomo superiore, bisogna essere un uomo. L'umanità è il frutto di un'esperienza incalcolabile. Il desiderio spinge all'esperienza. In questo senso, a suo tempo e misura, è legittimo.
M.: In parte è vero. Ma viene il giorno in cui hai ammucchiato abbastanza, e devi iniziare a costruire. A quel punto, la discriminazione e il taglio (viveka-vairagya) sono indispensabili. Tutto deve essere esaminato, e il superfluo eliminato senza esitare. Credimi, ce n'è sempre di troppo(6). Sii appassionatamente spassionato: questo è tutto.
I.: Il bambino va a scuola e impara molte cose che in futuro non gli serviranno. Ma mentre apprende, cresce. Anche noi attraversiamo innumerevoli esperienze e le dimentichiamo, ma nel frattempo cresciamo. Il sapiente è semplicemente un uomo che ha il genio della realtà. Questo mio mondo non può essere un accidente. Ha un significato. Deve corrispondere a un piano. Il mio Dio ha un piano.
M.: Se il mondo è falso, lo saranno anche il piano e i suoi orditori.
I.: Eccovi di nuovo a negare il mondo. Non c'è ponte tra noi!
M.: Non serve il ponte. Credi di essere nato un certo giorno in un dato luogo, con un corpo specifico che è il tuo. Il tuo errore è tutto in quella convinzione: non sei mai nato né morirai(7).
I.: C'è il mondo, ci sono io. È un fatto.
M.: Perché ti occupi prima del mondo che di te? Vuoi salvarlo, non è vero? Ma puoi salvarlo prima di salvarti?



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione


Vedi Margherita:
(MP, cap. 59) Quest'Anima che vive di vita divina è sempre senza di sé.
Vedi Margherita:
(MP, cap. 24) Queste Anime sono sole in tutte le cose, e comuni in tutte le cose.
Vedi Margherita:
(MP, cap. 91) Qui non c'è nessuno tranne lui; nessuno ama tranne lui, perché nessuno è, tranne lui; lui che, quindi, da solo ama, vede e loda il suo stesso essere.
Vedi Eckhart:
(E3 a pag. 130) Perché l'anima sia unita o si unisca a Dio, deve esser separata da tutte le cose e sola come Dio è solo.
Vedi Eckhart:
(E1 a pag. 81) Quando pervengo nel fondo, nel terreno, nella corrente e nella fonte della divinità, nessuno mi chiede da dove venga o dove sia stato.
Vedi Eckhart:
(citato in ED a pag. 14) È peccato mortale non riportare tutto quanto a noi stessi.
Vedi Eckhart:
(E5, num. 583) Come, infatti, potrebbe rendere buono l'uomo qualcosa che non è nell'uomo [l'atto esteriore], ma ne è al di fuori e dipende da altro, e che può essere impedito e interrotto contro la volontà dell'uomo? Invece l'atto interiore, in quanto divino, non può essere interrotto né impedito.
Vedi Eckhart:
(E2 a pag. 25) L'operazione esteriore non può mai essere piccola se l'operazione interiore è grande, né può essere grande e buona se l'operazione interiore è piccola e senza valore.
Vedi Eckhart:
(E2 a pag. 62) Devi sapere che non v'è uomo tanto distaccato in questa vita che non possa più ancora rinunciare a se stesso.
Vedi Eckhart:
(E1 a pag. 137) Io sono non nato, e, secondo il modo del mio non esser nato, non posso mai morire. Secondo il modo del mio non esser nato, io sono stato in eterno, e sono ora, e rimarrò in eterno.