Nisargadatta Maharaj
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15. 24 Giugno 1970




I.: Tutto dipende dal potere di Dio. Anche queste conversazioni non potrebbero avvenire se Lui non volesse.
M.: Non c'è dubbio che tutto è opera di Dio, ma visto che non voglio nulla, che cosa può darmi o togliermi Dio? Ciò che è mio è mio, e mi apparteneva da prima che Dio fosse. Ovviamente è una cosa minima, giusto un puntolino: l'"io sono", il fatto che sono. Questo è il mio posto, che nessuno mi ha dato(1). La terra è mia; i raccolti, di Dio.
I.: Dio ha affittato la terra da voi?
M.: Dio è il mio devoto, ha fatto tutto questo per me(2).
I.: Non c'è alcun Dio fuori di voi?
M.: "Io sono" è la radice, Dio è l'albero. Chi sono io per adorarLo, e a che scopo?
I.: Siete allora sia il devoto che l'oggetto della devozione?
M.: Né l'uno né l'altro. Sono la devozione.
I.: La devozione nel mondo è scarsa.
M.: Tu insegui sempre il miglioramento del mondo. Credi davvero che il mondo aspetti te per essere salvato?
I.: Quanto posso fare non so. Ma almeno ci provo. C'è qualcos'altro che vorreste facessi?
M.: C'è forse il mondo senza di te? Del mondo sai tutto, ma di te niente. Gli arnesi della tua opera sono te. Perché non badi ad essi prima di pensare all'opera?
I.: Io posso attendere, il mondo no.
M.: Se non cerchi, costringi il mondo ad attendere.
I.: Attendere che cosa?
M.: Qualcuno che venga a salvarlo.
I.: Dio regge il mondo. Dio lo salverà.
M.: Questo lo pensi tu! È forse venuto Lui a dirti che il mondo è opera Sua, e oggetto della Sua cura e non della tua?
I.: Perché dovrebbe essere la mia unica cura?
M.: Vàluta. Chi altri conosce il mondo in cui vivi?
I.: Voi, ognuno lo conosce.
M.: Te l'ha detto qualcuno che sta fuori del tuo mondo? Io e chiunque altro nel tuo mondo appariamo e scompariamo. Siamo tutti alla tua mercé.
I.: Non può essere! Io esisto nel vostro mondo come voi nel mio.
M.: Del mio mondo non hai alcuna prova. Sei fasciato in un mondo interamente costruito da te.
I.: Capisco. Interamente, ma - anche - senza speranza?
M.: Nella prigione del tuo mondo compare un uomo che ti annuncia che il mondo di dolorose contraddizioni creato da te non ha né continuità né permanenza e si regge su un equivoco. Ti esorta a uscirne per la stessa via per cui vi entrasti. Eri entrato perché avevi dimenticato chi sei, e ne uscirai perché ti sarai conosciuto quale sei.
I.: In che modo s'influenza il mondo?
M.: Puoi fare qualcosa per salvarlo, solo se ne sei libero. Se sei prigioniero del mondo, non solo non lo cambi ma, qualunque cosa tu faccia, aggraverai la situazione.
I.: La rettitudine mi renderà libero.
M.: La rettitudine certo ti aiuterà a rendere il mondo più confortevole, quasi un posto felice. Ma che te ne fai? Non ha realtà. Non può durare.
I.: Dio mi aiuterà.
M.: Per aiutarti, deve sapere che esisti, ma tu e il tuo mondo siete fatti di sogni. Nel sogno puoi patire pene terribili. Nessuno lo sa, né può soccorrerti.
I.: Dunque, tutto il mio domandare, cercare, studiare è inutile?
M.: I tuoi sono i fremiti di un uomo che è stanco di dormire. Non sono la causa del risveglio ma i suoi primi segni. Piuttosto, smetti di porre sciocche domande, di cui, tra l'altro, sai già le risposte.
I.: Come ottengo una vera risposta?
M.: Ponendo una vera domanda: non a parole, ma osando vivere secondo la tua idea dell'esistenza. Un uomo disposto a morire per la verità, la ottiene.
I.: C'è la persona, il conoscitore della persona e il testimone. Il conoscitore e il testimone sono due realtà distinte, o una sola?
M.: Sia due che una sola. Due, quando il conoscitore si vede separato dal conosciuto. In quel caso, il testimone resta solo e disgiunto. Quando conoscitore e conosciuto si fondono, il testimone diventa tutt'uno con essi.
I.: Colui che si è realizzato, il sapiente (gnani), è il testimone o addirittura il Supremo?
M.: Sia l'uno che l'altro, ovvero, sia l'essere che la consapevolezza. Rispetto alla coscienza, egli è consapevolezza. Rispetto all'universo è puro essere: il Supremo.
I.: E chi viene prima, la persona o il conoscitore?
M.: La persona è una cosuccia. Di fatto, un composto, non puoi dire che esista di per sé. Se viene percepita, è come se non ci fosse. È l'ombra della mente, la somma complessiva dei ricordi. Il puro essere si riflette nello specchio della mente come conoscere. Ciò che è noto assume la sembianza della persona, basata sul ricordo e l'abitudine. La persona è l'ombra del conoscitore, la sua proiezione sullo schermo della mente.
I.: C'è lo specchio e l'immagine riflessa, ma dov'è il sole?
M.: Il sole è il Supremo.
I.: È cosciente?
M.: Non pensarlo in termini di coscienza o incoscienza. È la vita, il fiume che contiene ambedue e le trascende.
I.: La vita è così acuta, geniale! Come può non avere coscienza?
M.: Un vuoto nella memoria, per te equivale all'incoscienza. In realtà, tutto è coscienza. La vita intera è cosciente, e la coscienza è vita.
I.: E le pietre?
M.: Anche le pietre. Coscienti e vive(3).
I.: Il mio problema è che tendo a negare esistenza a ciò che non immagino.
M.: Sarebbe meglio che facessi il contrario. È l'immaginato che è irreale.
I.: L'immaginabile è tutto irreale?
M.: L'immaginazione fondata sui ricordi è irreale. Il futuro non è interamente irreale.
I.: Quale parte del futuro è reale, e quale no?
M.: L'inaspettato, l'imprevedibile sono reali.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione


Vedi Eckhart:
(E1 a pag. 132) Quando ero nella mia causa prima, non avevo alcun Dio, e là ero causa di me stesso. Nulla volevo, nulla desideravo, perché ero un puro essere, che conosceva se stesso nella gioia della verità. Allora volevo me stesso e niente altro; ciò che volevo lo ero, e ciò che ero, lo volevo, e là stavo libero da Dio e da tutte le cose.
Vedi Margherita:
(MP, cap. 136) È giusto che tutte le cose mi siano sottomesse, poiché sono state create per me.
Vedi Eckhart:
(E1 a pag. 165) La vita e l'essere di Dio stanno anche in una pietra o in un pezzo di legno.