Nisargadatta Maharaj
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3. 11 Maggio 1976




I.: Secondo me, non c'è nulla di sbagliato nel mio corpo e nel mio essere. Non li ho fatti io e non occorre migliorarli. Piuttosto, qualcosa non funziona nel "corpo interno", mente, coscienza, antahkarana, o comunque si chiami.
M.: Che cosa non va nella mente?
I.: È inquieta, assetata del piacevole e impaurita dallo spiacevole.
M.: E che c'è di sbagliato nel cercare l'uno e schivare l'altro? Tra le rive del piacere e del dolore scorre il fiume della vita. Solo quando la mente rifiuta di fluire e s'insabbia alle rive, incominciano i guai. Fluire con la vita significa accettare, lasciar venire ciò che viene e andare ciò che va. Non desiderare, non temere, osserva il fatto come e quando accade, perché tu non sei ciò che accade, ma colui al quale accade, l'osservatore, e nemmeno solo quello. Sei l'ultima potenzialità in cui si esprime e manifesta la coscienza universale.
I.: Eppure tra il corpo e il sé si frappone una nuvola di pensieri e sentimenti che non servono né il corpo né il sé: sono inconsistenti, fuggevoli e insensati, una polvere mentale che soffoca e acceca, ottenebra e nuoce.
M.: Certo, né il ricordo di un evento né la sua anticipazione possono essere confusi con l'evento stesso. Nella sua immediatezza c'è qualcosa di unico, che l'evento precedente e il successivo non possono avere: una vivezza, una tremenda attualità che lo staglia come se fosse illuminato. C'è un marchio di realtà sul presente, che il passato e il futuro non hanno.
I.: Che cosa dà al presente questo marchio di realtà?
M.: Non c'è niente che giustifichi una diversità così vistosa. Per un attimo, il passato fu attuale e il futuro lo sarà. Che cosa fa così diverso l'attuale? Ovviamente, la mia presenza. Sono reale perché sono sempre "ora", e ciò che è con me nel presente partecipa della mia realtà. Il passato è nella memoria, il futuro nell'immaginazione. Non c'è niente nell'evento presente, in sé, che lo faccia spiccare come reale. Appartiene a una vicenda periodica, come il battito d'un orologio; e anche se sappiamo che i battiti successivi saranno tali e quali, quello presente resta inconfondibile. Una cosa messa a fuoco "ora", è con me perché io sono "ora"; io contagio il presente con la mia realtà.
I.: Trattiamo i ricordi come se fossero presenze vive.
M.: Ce ne ricordiamo solo quando si affacciano nel presente; la dimenticanza consiste nel lasciarli dove sono.
I.: È vero, c'è nel presente un non so che di ignoto che dà una realtà momentanea al suo veloce trascorrere.
M.: Ignoto non direi, visto che lo vedi costantemente in azione, e da quando sei nato, è sempre uguale. Cose e pensieri sono venuti cambiando via via, ma la percezione che ciò che è ora è reale, è rimasta immutata persino nel sogno.
I.: Nel sonno profondo, non c'è esperienza del presente.
M.: Il vuoto del sonno profondo dipende dall'assenza di ricordi specifici, ma una memoria diffusa di benessere non è scomparsa. È una sensazione ben diversa quella che mi fa riconoscere "Dormivo profondamente", piuttosto che "Ero assente". Nel sonno il corpo funziona al di sotto del livello di coscienza cerebrale.
I.: Ritorno alla domanda che avevo posto all'inizio: tra la fonte della vita e la sua espressione - che è il corpo - sta la mente, coi suoi stati variabili. Il loro flusso è ininterrotto, insensato e doloroso. Il dolore è il fattore costante. Ciò che chiamiamo piacere non è che l'intervallo tra due stati di dolore. Desiderio e paura sono la trama e l'ordito dell'esistenza, e tutt'e due sono composti di dolore. Domando: può esserci una mente felice?
M.: Il desiderio è il ricordo del piacere, la paura il ricordo del dolore. La mente è inquieta per causa loro. I momenti di piacere sono puri arresti nel flusso del dolore. Come può esistere, in simili condizioni, una mente felice?
I.: Sono d'accordo nei casi scontati, quando desideriamo il piacere o ci attendiamo un dolore, ma esistono degli attimi di gioia imprevista, non contaminata dal desiderio, non cercata, non meritata, un vero dono di Dio.
M.: Tuttavia la gioia resta gioia sullo sfondo del dolore.
I.: Il dolore è un fatto cosmico o solo mentale?
M.: L'universo è completo, e dove c'è completezza, dove niente manchi, che cosa può arrecare il dolore?
I.: L'universo può essere completo nell'insieme, ma incompleto nei dettagli.
M.: Anche una parte, se è vista in rapporto all'intero, è a sua volta completa(1). Solo se la consideri a sé stante, diventa manchevole e fomenta il dolore(2). Che cosa provoca l'isolamento?
I.: I limiti della mente. Vedere l'intero attraverso la parte, le è impossibile.
M.: Sì, la mente è fatta per dividere e contrapporre. Ma perché non può esistere una mente diversa, capace di unificare e armonizzare, di cogliere l'intero nella parte, e la parte, strettamente legata all'intero?
I.: Una mente diversa, dove cercarla?
M.: Se trascendi la mente che divide e contrappone, e metti fine al processo mentale che conosciamo, la sua cessazione equivale alla nascita della nuova mente.
I.: In questa nuova mente, c'è posto ancora per la gioia e il dolore?
M.: Non per quelli che ci sono noti, rispettivamente, come desiderabile e detestabile. Diventa piuttosto un empito di amore, che cerca di esprimersi e incontra degli ostacoli. La mente che tutto comprende, è amore in azione, frustrato all'inizio, ma alla fine vittorioso.
I.: Il ponte tra lo spirito e il corpo è l'amore?
M.: E che altro? La mente crea l'abisso, il cuore lo valica.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione


Vedi Eckhart:
(E8, num. 37) Scopo primo e fine della creazione è un universo perfetto, la cui perfezione e unità consiste tuttavia nella molteplicità e diversità delle parti.
Vedi Eckhart:
(E4, num. 439) Ogni creato, ogni due, ogni molto che separa dall'Uno, e, di conseguenza, dal vero, dal bene, dall'essere, è amaro, tenebra e in certo modo nulla.