Nisargadatta Maharaj
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1. 7 Maggio 1970




I.: Ogni giorno, al risveglio, il mondo si mostra a noi. Da dove ci viene quell'esperienza?
M.: Prima che qualcosa si mostri, dev'esserci qualcuno cui mostrarsi. Ogni apparizione e sparizione presuppongono un mutamento su uno sfondo immutabile.
I.: Prima di svegliarmi, non ero cosciente.
M.: In che senso? Perché non lo ricordi o perché non l'hai provato? Anche senza coscienza, non c'è forse esperienza? Puoi esistere se non lo sai? Un vuoto nella memoria è una prova di non-esistenza? Puoi parlare della tua non-esistenza come di un'esperienza vera e propria, o sostenere la non-esistenza della mente durante il sonno? Se ti chiamano, sei subito sveglio, e la tua prima percezione non è forse l'"io sono"? Perciò un qualche seme di coscienza deve pur annidarsi nel sonno o nel deliquio. L'esperienza del risveglio scorre così: "Io sono... un corpo... nel mondo". In realtà non sono tre percezioni distinte e susseguenti, ma una sola e complessiva, quella di avere un corpo nel mondo. Può esserci l'"io sono" senza qualcuno che lo riconosca?
I.: Si è sempre qualcuno, con i suoi ricordi e abitudini. Non conosco altri "io sono" al di fuori di me.
M.: Forse c'è qualcosa che t'impedisce di conoscere. Quando ignori una cosa nota ad altri, come procedi?
I.: Mi faccio guidare da loro, per risalire alla fonte di ciò che sanno.
M.: Non ci tieni a sapere se sei solo un corpo o qualcos'altro, o magari niente del tutto? Non vedi che i tuoi problemi sono tutti del corpo - cibo, vestiario, casa, famiglia, amicizie, posizione, fama, sicurezza, sopravvivenza - e che diventano subito irrilevanti appena ti rendi conto che non puoi essere solo il corpo?
I.: Che cosa ci guadagno a saperlo?
M.: Anche dire che non sei il corpo non è esatto. In un certo senso sei tutti i corpi, i cuori e le menti, e molto di più. Scava nell'"Io sono", e troverai. Come fai a ritrovare una cosa smarrita o dimenticata? La tieni in mente finché non riaffiora. Il primo a emergere è il senso di essere, l'"Io sono". Domandati da dove viene o osservalo quieto. Quando la mente s'installa nell'"Io sono" senza muoversi, entri in uno stato di cui puoi solo dire che ci sei dentro. L'unica è allenarsi continuamente. Dopotutto l'"io sono" è sempre con te; non lo cogli perché gli hai sovrapposto una quantità di cose: corpo, sentimenti, pensieri, idee, proprietà interne ed esterne, e così via. Sono tutte auto-identificazioni infedeli. Per causa loro, ti prendi per quello che non sei.
I.: Ma allora, chi sono?
M.: Non ti serve sapere chi sei, ma che cosa non sei. Infatti, se per conoscenza s'intende una descrizione a partire da ciò che è già noto, sia in senso fisico che concettuale, non può esserci la cosiddetta autoconoscenza, visto che ciò che sei è descrivibile solo come totale negazione: "Non sono questo, non sono quello". Affermare "Questo è ciò che sono" non ha senso, perché se lo indichi, non puoi essere tu(1). Niente di percepibile o immaginabile coincide con te e tuttavia, se non ci sei, non può esserci né percezione, né immaginazione. Il cuore sente, la mente pensa, il corpo agisce, e tu li osservi; l'atto stesso di osservare mostra che non sei le tue percezioni, benché non ci sia percezione o esperienza senza di te. Un'esperienza deve "appartenere". Qualcuno dovrà venire a rivendicarla come sua. Senza lo sperimentatore, un'esperienza non è reale, è lui che le dà realtà. Un'esperienza preclusa, a che vale?
I.: La coscienza di essere l'"Io sono", lo sperimentatore, non è a sua volta un'esperienza?
M.: Certo, ogni cosa sperimentata è un'esperienza, e in ogni esperienza è presente chi la fa. La memoria crea l'illusione della continuità. Di fatto, per ogni esperienza c'è uno sperimentatore, e il senso dell'identità è implicito in tutte le relazioni sperimentatore-sperimentato, come il fattore costante che le accomuna. Sia l'identità che la continuità variano. Come ogni fiore ha il suo colore, ma tutti i colori dipendono dall'unica luce, così molti sperimentatori trapelano nella consapevolezza, che è una e indivisa. La memoria li fa diversi; l'essenza, identici. Questa essenza è la radice e il fondamento di ogni esperienza, la sua perenne "possibilità" fuori dello spazio e del tempo.
I.: Come la ottengo?
M.: Non ti occorre ottenerla perché sei già essa. Si manifesterà non appena gliene darai l'occasione. Smetti di dipendere dall'irreale, e il reale rientrerà sofficemente in sé; smetti di immaginare che sei o che fai questo o quello, e scoprirai che la fonte e il fulcro di tutto è dentro di te(2). A quel punto amerai, e sarà un grande afflato, senza scelta, predilezione o attaccamento, la forza che rende tutte le cose care, e degne d'amore.



Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò
Riprodotto su autorizzazione


Vedi Eckhart:
(E1 a pag. 142) L'anima non può conoscersi con nulla. Infatti le immagini giungono sempre attraverso i sensi, e dunque essa non può avere alcuna immagine di se stessa. Così essa conosce tutte le altre cose, ma non se stessa.
Vedi Eckhart:
(E1 a pag. 232) Essere questo o quello non significa essere tutto, giacché, in quanto sono questo o quello, o in quanto possiedo questo o quello, in tanto io non sono tutto e non possiedo tutto; ma se tu togli il tuo esser questo o quello, o il tuo possedere questo o quello, tu sei tutto e tutto possiedi. Nello stesso modo, se non sei qui o là, sei dappertutto. Così dunque, se non sei questo né quello, sei tutto.