Meister Eckhart
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Homo quidam nobilis




Questo testo è scritto nel Vangelo, e significa in volgare: Vi fu un uomo nobile che partì per un paese straniero, lontano da lui, e ritornò più ricco. Ora si legge in un Vangelo che il Cristo ha detto: Nessuno può essere mio discepolo se non mi segue; se non ha abbandonato se stesso, non mantenendo nulla per sé; e questi ha tutto, perché non aver nulla è aver tutto. Ma sottomettersi a Dio col desiderio e col cuore, porre totalmente la propria volontà nella volontà di Dio e non rivolgere lo sguardo al creato: chi è così uscito da se stesso, sarà veramente reso a se stesso.
La bontà in sé non quieta l'anima... Se Dio mi desse qualcosa senza la sua volontà, io non vi farei attenzione; infatti la più piccola cosa che Dio mi dà con la sua volontà, questa mi rende felice.
Tutte le creature sono uscite dalla volontà di Dio. Se potessi desiderare soltanto la bontà di Dio, questa volontà sarebbe così nobile che lo Spirito santo direttamente ne fluirebbe. Ogni bene fluisce dalla sovrabbondanza della bontà divina. Sì, la volontà di Dio non ha sapore per me che nella Unità, nella quale la bontà di tutte le creature ha la sua quiete in Dio; là dove questa stessa bontà riposa come nel suo fine supremo, come tutto quello che ha avuto vita ed essere; è là che tu devi amare lo Spirito santo, come esso è nell'Unità, non in se stesso, ma là dove è gustato insieme alla bontà di Dio, unicamente nell'Unità, da dove ogni bontà sgorga dalla sovrabbondanza della grazia divina. Quest'uomo ritorna in se stesso più ricco di quando partì. Chi fosse così uscito da se stesso, sarebbe reso a se stesso in modo più vero, e tutte le cose abbandonate nella molteplicità gli sono del tutto rese nella semplicità, giacché egli ritrova se stesso e tutte le cose nell'istante presente della Unità. E chi fosse così uscito da se stesso, tornerebbe in se stesso molto più nobile di quando era uscito. Quest'uomo vive allora in una perfetta libertà e in una pura nudità, giacché non deve sottostare a nulla né prendere nulla, né poco né molto; infatti tutto quello che è bene proprio di Dio è bene suo proprio.
Il sole corrisponde a Dio: la più alta parte della sua insondabile profondità risponde al supremo abbassarsi nella profondità dell'umiltà. Sì, e perciò l'uomo umile non ha bisogno di chiedere a Dio, ma può comandare a Dio; infatti la altezza della Divinità non può considerare nulla se non nella profondità dell'umiltà, l'uomo umile e Dio essendo uno e non due. Questo uomo umile ha Dio in suo potere, quanto Dio ha potere su se stesso, e tutto il bene che è negli angeli e nei santi tutti, tutto gli appartiene in proprio, come appartiene in proprio a Dio. Dio e questo uomo umile sono assolutamente uno e non due, giacché ciò che Dio opera, anche egli lo opera, e ciò che Dio vuole, anche egli lo vuole, e ciò che Dio è, anche egli lo è: una vita ed un essere. Sì, in nome di Dio, se quest'uomo fosse all'inferno, Dio dovrebbe andare all'inferno verso di lui, e l'inferno sarebbe per lui un regno dei cieli. Dio deve farlo di necessità, sarebbe costretto a farlo, giacché quest'uomo è l'essere di Dio, e l'essere di Dio è quest'uomo. Qui avviene il bacio della unità di Dio e dell'uomo umile, giacché la virtù che ha nome umiltà è una radice nel fondo della Divinità, in cui essa è piantata, perché abbia il suo essere soltanto nell'Uno eterno, e non altrove. Ho detto a Parigi, nella scuola, che nell'uomo umile sarebbero compiute tutte le cose, e perciò dico che niente può nuocere o turbare l'uomo davvero umile, giacché non v'è alcuna cosa che non fugga quel che potrebbe distruggerla; questo fuggono tutte le cose create, perché esse sono assolutamente nulla in se stesse. Perciò l'uomo umile fugge tutto quel che potrebbe condurlo in errore nei confronti di Dio. Così io fuggo la brace perché essa potrebbe annientarmi, giacché essa vorrebbe togliermi il mio essere.
È detto: un uomo partì. Aristotele cominciò un libro, e voleva parlare di tutte le cose. Fate ora attenzione a quello che Aristotele dice dell'uomo. Uomo, ovvero un essere umano al quale è stata data una forma che gli conferisce una vita ed un essere in comune con tutte le creature, con quelle dotate di ragione e con quelle che ne sono prive, con tutte le creature corporee e con quelle dotate di ragione: gli angeli. E Aristotele dice: Come tutte le creature con le loro immagini e forme sono comprese intellettualmente dagli angeli, i quali conoscono intellettualmente ogni cosa in sé - il che causa loro una tale gioia da fare meraviglia a coloro che non l'hanno provata e gustata -, nello stesso modo l'uomo riconosce l'immagine e la forma di tutte le creature nella loro distinzione. È questo ciò che Aristotele attribuiva all'uomo perché fosse tale: la capacità di riconoscere le immagini e le forme; per questo un uomo è un uomo. Questa era la spiegazione più alta con cui Aristotele poteva definire un uomo.
Anche io voglio ora mostrare cosa è un uomo. Homo vuol dire un uomo a cui è partecipata una sostanza che gli dà vita ed essere, ed un essere dotato di intelletto. Un uomo dotato di intelletto è quello che comprende se stesso intellettualmente, e che è distaccato in se stesso da ogni materia ed ogni forma. Più è distaccato da tutte le cose e rivolto a se stesso, più chiaramente ed intellettivamente conosce in se stesso tutte le cose, senza rivolgersi alla esteriorità, e più è uomo.
Ora io dico: come può avvenire che il distacco dell'intelletto senza forme né immagini riconosca in sé tutte le cose, senza rivolgersi verso l'esteriorità e trasformare se stesso? Dico che ciò deriva dalla sua semplicità: più l'uomo è puramente e semplicemente distaccato da se stesso in se stesso, più semplicemente riconosce ogni molteplicità in se stesso, e permane immutabile in se stesso.
Boezio dice: Dio è un bene immutabile, che permane stabile in se stesso, non toccato o mosso da niente e motore di tutte le cose. Una conoscenza semplice è così pura in se stessa che conosce direttamente l'essere divino puro e nudo, e in questo influsso essa riceve la natura divina come gli angeli, il che dà agli angeli grande gioia. Per vedere un angelo, si accetterebbe di passare mille anni all'inferno. Questa conoscenza è così pura e chiara in se stessa, che tutto ciò che in essa si vedesse, diventerebbe un angelo.
Fate bene attenzione a quel che Aristotele dice dei puri spiriti nel libro chiamato Metafisica. Il più grande di tutti i maestri che abbiano mai trattato di scienza della natura, parla di questi puri spiriti, e dice che essi non sono forma di alcuna cosa, ma ricevono il loro essere fluente direttamente da Dio; ed essi fluiscono e ricevono l'effusione direttamente da Dio, al di sopra degli angeli, e contemplano l'essere puro di Dio senza distinzione. Aristotele chiama questo essere limpido e puro un "qualcosa". È quel che Aristotele ha mai detto di più elevato sulla conoscenza della natura, e nessun maestro può dire qualcosa di più alto, se non nello Spirito santo. Ora io dico che questo uomo nobile non si contenta dell'essere che gli angeli colgono senza forma e da cui direttamente dipendono: solo l'unico Uno lo soddisfa.
Ho già parlato anche del primo inizio e della fine. Il Padre è un inizio della Divinità, giacché si conosce in se stesso. Da lui emana il Verbo eterno, che permane in lui, e lo Spirito santo emana dall'uno e dall'altro, dimorante nell'interno, e il Padre non lo genera, perché esso è fine della Divinità e di tutte le creature, dimorante in se stessa, nella quale v'è il puro riposo e la pace di tutto quel che mai ha avuto l'essere. L'inizio è in vista della fine, giacché nella fine ultima riposa tutto quello che mai ha ricevuto l'essere dotato di intelletto. Fine ultima dell'essere è la tenebra, o non-conoscenza della Divinità nascosta, che spande la luce, ma le tenebre non l'hanno compresa(1). Perciò Mosè disse: Colui che è, mi ha mandato: chi è senza nome, e negazione di ogni nome, senza aver mai avuto nomi. Perciò il profeta disse: In verità, tu sei il Dio nascosto, al fondo dell'anima, là dove il fondo dell'anima ed il fondo di Dio sono un solo fondo. Più ti si cerca, meno ti si trova. Tu devi cercarlo in guisa tale da non trovarlo in alcun luogo. Se non lo cerchi, allora lo trovi(2).
Che Dio ci aiuti a cercarlo in modo tale da dimorare eternamente presso di lui. Amen.



Tratto da Opere Tedesche
A cura di Marco Vannini
La Nuova Italia Editrice - Firenze, 1982
Riprodotto su autorizzazione


Vedi Maharaj:
(I2 a pag. 126) È solo quando sei sazio del mutevole e spasimi per l'immutabile, che sei pronto a volgerti verso ciò che la mente non può che descrivere come vuoto e tenebra. Infatti, essa è avida di contenuto e varietà, mentre la realtà le si mostra vuota e invariabile.
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(I2 a pag. 107) Che rapporto può esserci tra ciò che è e ciò che si limita ad apparire? O tra l'oceano e le sue onde? Il reale fa apparire e sparire l'irreale. La successione di istanti fuggevoli crea l'illusione del tempo, ma la realtà intemporale del puro essere non si muove, perché ogni movimento presuppone uno sfondo immobile; ed è esso stesso quello sfondo. Quando scopri di averlo in te, scopri anche di non aver mai smarrito il puro essere, che non ha di che dividersi o separarsi. Ma se lo cerchi nella coscienza, non lo troverai. Non cercarlo da nessuna parte, perché nulla lo contiene. È lui che, al contrario, tutto contiene e manifesta. Simile alla luce del sole che rende tutto visibile, restando invisibile.
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(I1 a pag. 85) Quello che puoi cercare e trovare, non è il reale. Trova ciò che non hai mai perduto, l'inalienabile.
Vedi Maharaj:
(I1 a pag. 117) La vera conoscenza di te, del sé che è in te, non è un conoscere. Non è qualcosa che trovi rovistando dappertutto. Nello spazio e nel tempo non la trovi.
Vedi Maharaj:
(I1 a pag. 146) Ricorda questo: non desiderare niente, perché niente ti manca. Proprio la ricerca ti impedisce di trovare.
Vedi Maharaj:
(I1 a pag. 176) Ciò che non è stato mai perduto, non si può ritrovare. La tua ricerca della sicurezza e della gioia te ne tiene lontano. Smetti di cercare e cessa di perdere. La malattia e il rimedio sono ugualmente semplici.
Vedi Maharaj:
(I1 a pag. 197) Non c'è da praticare. Per conoscerti, sii te stesso. Per esserlo, smetti di immaginarti come "questo" o "quello". Sii, soltanto. Lascia emergere la tua natura. Non disturbare la mente con la ricerca.
Vedi Maharaj:
(I2 a pag. 81) La verità non è un premio di buona condotta, o perché hai superato gli esami. Non si ottiene. È la fonte ancestrale e non-nata di tutto l'esistente. Perciò non devi meritarla. Ne hai diritto perché sei. È tua, purché tu smetta di fuggirla inseguendola. Sii calmo e quieto.