Meister Eckhart
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La vita

Grande figura di predicatore medioevale, domenicano, fu tanto considerato "maestro" dai contemporanei che tale qualifica è quasi diventata il suo nome proprio (che probabilmente era Johannes). Nasce verso il 1260 in Turingia, dove studia dai domenicani. Nel 1302 e nel 1311-13 a Parigi tiene la cattedra universitaria che fu di Tommaso d'Aquino e dal 1314 al 1322 opera, come vicario generale, a Strasburgo. Dal 1323 lavora a Colonia dove, nel 1326, l'arcivescovo Enrico di Virneburg apre un processo di Inquisizione a suo carico. Eckhart rivendica il diritto di essere giudicato direttamente dal papa, Giovanni XXII, allora ad Avignone. Lì Eckhart si reca nel 1327 dopo aver pubblicamente dichiarato la propria ortodossia e lì, probabilmente l'anno seguente, muore. Il 27 marzo 1329 il papa promulga la bolla In agro dominico dove alcune proposizioni di Eckhart vengono dichiarate eretiche. La bolla avrà un effetto negativo sulla diffusione del pensiero del maestro (il suo nome venne perfino cancellato dal catalogo degli scrittori dell'ordine), che però non venne mai dimenticato completamente. Inizialmente i suoi confratelli Enrico Suso e Giovanni Taulero, poi Niccolò Cusano, anche Lutero (che nel 1518 diede alle stampe la Teologia tedesca, opera di evidente ispirazione eckhartiana, oggi nota col nome originale di Libretto della vita perfetta) fino ad Angelus Silesius, con il suo Pellegrino cherubico (1674), Fichte, Hegel, Schopenhauer per finire con Heidegger, tutti conobbero il pensiero di Eckhart.

Il pensiero

Nel suo Scritto di difesa Eckhart cita come fondamentali due punti:

  1. Quando si tratta del divino, occorre lavorare solo con l'intelletto, non affidarsi alle immagini.
  2. È peccato mortale il non riportare tutto a noi stessi.

Circa il primo punto va osservato che le immagini sulle quali non si deve fare affidamento sono quelle di Dio ( "[a causa del] peccato Dio è un certo ente, determinato così e così, qui e là, determinato nel 'dove'", scrive nel suo Commento alla Genesi). Perfetto esempio di "immagine" da abbandonare è appunto il Dio biblico, "Altro" per eccellenza ("Perciò preghiamo Dio di diventare liberi da Dio", nel sermone Beati pauperes spiritu, vedi). Infine nessuno può conoscere Dio se prima non conosce se stesso, e qui ci colleghiamo al secondo punto che paradossalmente afferma l'assoluta relatività dell'"io". Riportare tutto a se stessi significa finalmente accorgersi di come tutto, assolutamente tutto, sia costretto ad essere (apparire?) così e così perché io sono (appaio?) così e così, e viceversa. Ora si vede come "lavorare con l'intelletto" e "riportare tutto a noi stessi": con il distacco. Potrebbe quella del distacco essere definita la "pratica" del pensiero di Eckhart, la sua logica conseguenza: distaccandosi da tutte le cose, da tutti i contenuti, da tutte le immagini si coglie il duplice senso di "io": da una parte l'"io" psicologico, quello limitato nel tempo e nello spazio, che nasce e che muore; dall'altro la nascita nel "fondo dell'anima" (termine spesso usato da Eckhart) del Figlio, di "quell'eterno essere che l'uomo è stato, e che ora è, e che sarà in eterno", come si legge nel sermone Beati pauperes spiritu, vedi.